UGUCCIONE da Lodi
Mancano dati certi su questo poeta, nato verso la fine del XII secolo in una città lombarda, forse Lodi.
L’unica attestazione del suo nome ci viene offerta dal celebre codice Saibante-Hamilton 390 della Staatsbibliothek di Berlino (primissimi anni Ottanta del Duecento), che attribuisce a «Uguçon da Laodho» quelli che tradizionalmente si denominano Libro e Istoria, qui considerati un solo «libro». Il primo editore dei testi, Adolf Tobler (1884, p. 8), pur avendo segnalato (sulla scorta di C. Vignati, Codice diplomatico laudense. Parte seconda. Lodi nuovo, Milano 1883, pp. 158 e 233) l’esistenza di alcuni individui con nome simile in documenti lodigiani sul finire del XII secolo («Ugonzonus de Vistarino», nell’anno 1188; «Ugentionus… de Pantiliate» nel 1198) propendeva per l’idea che l’autore, nativo di Lodi, fosse stato attivo lontano dalla madrepatria. L’ipotesi di Francesco Torraca (1902, pp. 355 s.) che si potesse identificare Uguccione (nella forma italianizzata invalsa dal secolo scorso) con l’«Uguenzonus Brina» console di Lodi nel 1167 venne contestata da Ezio Levi (1921, p. 108): a parere di quest’ultimo, infatti, la contiguità delle opere suddette nel codice Saibante con lo Splanamento de li Proverbii de Salamone di Gerardo Patecchio suggeriva invece di collocare il nostro autore a Cremona, dove era ben documentata l’esistenza della famiglia dei (da) Lodi, «nel Borgo di Porta Pertusio». Tale congettura, ripresa da Gianfranco Contini (1960, I, pp. 597-99) è stata sostanzialmente acquisita dalla critica, anche in ragione della lingua dell’unica opera di sicura attribuzione, cioè il Libro, che per vari tratti si accosta al lombardo orientale, come i testi di Patecchio; tuttavia alcune divergenze minute su questo versante rispetto allo Splanamento, a fronte dell’esiguità di tracce propriamente cremonesi, fanno sì che non si possa escludere per Uguccione una sede diversa; resta però assai arduo localizzare quest’ultima con precisione, anzitutto in ragione della stratigrafia linguistica dei testimoni del Libro: il ms. berlinese, che lo contiene per intero, venne infatti approntato a Treviso (Il manoscritto Hamilton-Saibante 390, 2019), mentre la parte conservata dal codice γ.Y.6.10. della Biblioteca Estense di Modena (assieme a gran parte della Istoria) è stata toscanizzata a fondo; ancora dal Veneto, questa volta occidentale, sembra provenire il ms. 4251 della Biblioteca Casanatense di Roma, latore dei frammenti di un Dibattito dell’anima e del corpo attribuibile, secondo Claudio Ciociola (1990), al nostro autore.
Sul piano della diacronia il Libro andrà collocato nella prima metà del Duecento: ne sono indizio sia l’eco, al v. 621, del sirventese Conseil don a l’emperador di Raimbaut de Vaqueiras, non posteriore al 1205 (Beretta, 2001), sia il riuso in chiave devota di strutture e stilemi dell’epica francese nelle forme che andavano affermandosi in quel periodo nell’Italia settentrionale; in particolare il passaggio dell’opera dove si legge un attacco esplicito al pontefice (vv. 166-168: «l’apostolico de Roma non à quela ventura / çà no lo defendrà né sorte né agura / né la cristinitad, c’à tuta en soa rancura»; Sacchi, 2019, p. 63) potrebbe inquadrarsi nella fase di forte conflittualità tra Impero e Papato degli anni Trenta-Quaranta, che coinvolse pienamente anche i Comuni lombardi (Ibid., p. 263).
Il profilo che Uguccione ha tracciato di sé nel Libro è quello di un miles che, approdato alla conversione (vv. 556-557: «Mai eu era sì fole, quand avea cento ’l brando / k’eu me tegnia meio delo conte Rolando»; p. 72), rivolge con particolare virulenza agli aristocratici i propri strali, sollecitandoli al timore di Dio e all’espiazione dei peccati. La cultura dell’autore – di cui spicca, anche sul piano lessicale, la matrice galloromanza – e la genericità dei suoi riferimenti ai dogmi fanno pensare a una figura estranea al clero (v. 389: «Se voi me volé crere, anc no se’-eu abadho»; p. 68), senza che se ne debba per questo dedurre la partecipazione a qualche movimento ereticale, come sosteneva Levi; il richiamo esplicito a comunità dedite alla preghiera e alle opere di bene (vv. 197-200: «Queste n’è miga flabe, anz è bone rason, / et è tute parole de libri e de sermon / qe se pò ben contar en çascuna mason / qe sea de caritad e de religion») e altri dettagli minori potrebbero legarsi piuttosto a contatti con ambienti Umiliati, secondo la proposta di Matthias Bürgel (2014).
Denominato sermone da Romano Broggini, il Libro consta di 702 versi, alessandrini e décasyllabes rimati, ripartiti in 19 lasse; esso presenta indubbi punti di contatto strutturali e tematici con la tradizione francese dell’omiletica in versi: più che ai celebri Vers de la mort di Hélinand de Froidmont bisogna guardare al Sermon di Guischart de Beaulieu, o ai Vers di Thibaut de Marly, tutti del XII secolo. Come tali antecedenti Uguccione annunciava a coloro che si allontanavano da Dio la vanità del mondo, l’imminenza della morte che cancella ogni privilegio e gli orrori della dannazione, facendo ricorso a figurazioni di notevole impatto, come quella dell’albero immane che costituisce la soglia degli inferi (Sacchi, 2017); altrettanta, se non maggiore, efficacia caratterizza la sua rappresentazione della vita terrena, con le lusinghe (dagli svaghi altolocati ai piatti squisiti) e le meschinità quotidiane, rivelatrici dell’ipocrisia umana. Nella seconda parte dell’opera, inoltre, il tono da maestoso si fa raccolto, lasciando il posto a una serie di invocazioni a Dio, veri e propri canti di penitenza in prima persona (Di Girolamo, 2005, p. 399).
Di autore diverso, benché prossimo sul piano della lingua, l’Istoria è a sua volta un macrotesto, ma di estensione maggiore, essendo composta di sette sermoni in distici di novenari e ottonari a rima baciata, per un totale di oltre 1100 versi. Coerente per temi con il Libro, di cui sono evidenti varie riprese (ad es. nella rappresentazione grottesca del compianto funebre da parte dei parenti del morto, vv. 115-158; pp. 78-79), quest’opera si caratterizza per una più decisa proiezione in senso propriamente omiletico: vi contribuiscono la ricorrenza delle formule di apertura e chiusura rivolte all’uditorio dei fedeli, lo sviluppo regolare delle argomentazioni, il ricorso a narrazioni estese di eventi chiave della storia sacra (la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso; la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone; il giudizio universale); pure il ricorso a fonti dottrinarie vi diviene più puntuale, come si osserva nella descrizione dell’avvento dell’Anticristo, tratta in buona parte dal De ortu et tempore Antichristi di Adso di Montier-en-Der, forse associato all’Elucidarium di Onorio Augustodunense (Beretta, 1996). Furono probabilmente tali caratteristiche a favorire presso il pubblico devoto un maggiore interesse per l’Istoria che per il Libro; ce ne dà conferma la presenza di qualche eco del secondo nel De Babilonia civitate infernali di Giacomino da Verona, a fronte, invece, del riuso sistematico di ampi stralci della prima nel Sermone di Pietro da Barsegapè (Romano, 1995; Frugoni, 2018).
Se diamo credito all’affermazione del Libro secondo cui l’autore, all’epoca in cui scrive, avrebbe già raggiunto l’età matura (v. 552: «fin questo dì q’eu son veio e ferranto»; p. 72) possiamo approssimare la data della morte di Uguccione alla metà del XIII secolo.
Berlin, Staatsbibliothek, Hamilton 390; Modena, Biblioteca Estense, γ.Y.6.10. A. Tobler, Das Buch des Uguçon da Laodho, in Abhandlung der Königlichen Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, XVIII (1884), pp. 3-96; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, ad ind.; E. Levi, U. da Lodi e i primordi della poesia italiana, Firenze 1921; A. Medin, L’opera poetica di U. da Lodi, in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, LXXXI (1921-1922), pp. 185-209; R. Broggini, L’opera di U. da Lodi, in Studj romanzi, XXXII (1956), pp. 5-124; Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, I, Milano-Napoli 1960, pp. 597-599; C. Ciociola, Nominare gli anonimi (per Uguccione), in Filologia e Critica, XV (1990), pp. 419-433; M.E. Romano, Su alcune fonti del sermone di Pietro da Bescapè. Cronologia relativa di antichi testi settentrionali, in Studi mediolatini e volgari, XLI (1995), pp. 77-111; C. Beretta, Il ‘De ortu et tempore Antichristi’ di Adso di Montier-en-Der e l’’Istoria’ dello Pseudo-Uguccione, in Medioevo Romanzo, XX (1996), pp. 170-197; Id., Su alcune fonti (vere e presunte) del ‘Libro’ di U. da Lodi, in La cultura dell’Italia padana e la presenza francese nei secoli XIII-XV (Pavia, 11-14 settembre 1994), a cura di L. Morini, Alessandria 2001, pp. 69-94; C. Di Girolamo, Longino che vide. Una riflessione sulle preghiere formulari e una nota per Arnaut Daniel, in Romania, CXXIII (2005), pp. 384-405; G. Palumbo, La ‘Chanson de Roland’ in Italia nel Medioevo, Roma 2013, pp. 63-78; M. Bürgel, Für eine Einordnung Uguccione da Lodis, in Literaturwissenschaftliches Jahrbuch, LV (2014), pp. 59-97; L. Sacchi, Barlumi infernali nelle carte di Uguçon da Laodho, in Italiani di Milano. Studi in onore di Silvia Morgana, a cura di G. Sergio - M. Prada, Milano 2017, pp. 117-130; C. Frugoni, Il Sermone o i Sermoni?, in Il ‘Sermone’ di Pietro da Barsegapè. Indagini sul codice AD XIII 48 della Biblioteca Nazionale Braidense, a cura di G. Polimeni, Roma 2018, pp. 175-205; L. Sacchi, U. da Lodi, Libro - Pseudo Uguccione, Istoria in Il manoscritto Hamilton-Saibante 390, dir. M.L. Meneghetti, Roma 2019, pp. 59-102, 257-313.