VIVALDI, Ugolino e Guido
Navigatori genovesi, ai quali appartiene l'invidiatissima gloria di avere tentato, alla fine del secolo XIII, precorrendo di un secolo e mezzo le navigazioni portoghesi e di due secoli l'impresa di Colombo, il primo viaggio transatlantico per raggiungere l'India. Quale fosse però la loro meta precisa - data l'estensione ch'ebbe nel Medioevo il termine India, comprendente spesso l'Asia pressoché intera - e quale sia stata la fine della spedizione è, e sembra ormai destinato a rimanere per sempre, un mistero. Le uniche, ma scarsissime notizie positive che si possiedono, e che purtroppo si fermano a poco dopo l'inizio dell'impresa, sono i brevi cenni che a questa dedica l'annalista genovese Iacopo Doria nella sua cronaca (1280-1294): ricorda il Doria che nel maggio del 1291 due navi guidate dai fratelli Vivaldi lasciarono il porto di Genova per un viaggio "quod aliquis usque nunc minime attemptavit" per recarsi, attraversato lo Stretto di Gibilterra, "per mare Oceanum ad partes Indiae, mercimonia utilia inde deferentes". Le due navi furono viste per l'ultima volta presso Gozora (la regione delle parti meridionali del Sus el-Acsa, spingentesi sino al C. Juby, di fronte alle Canarie), e da allora in poi non si ebbero più "aliqua certa nova" di esse; ma l'annalista, che terminò la sua opera nel 1294, conservava sempre la speranza che i due fratelli potessero ancora ritornare in patria.
La spedizione, a scopo puramente commerciale, era certo stata determinata dalla necessità di trovare una nuova via diretta per le Indie, dopo che la conquista del Soldano, nei paesi occupati dai Franchi, s'era ormai estesa a tutta la Siria (l'ultima città, S. Giovanni d'Acri, cadde nello stesso maggio del 1291), onde le relazioni degli occidentali con l'Oriente avevano subito un fierissimo colpo. Mentre si cercava, per terra, di riparare intensificando le comunicazioni col Golfo Persico da Laiazzo e Trebisonda, i due Genovesi concepirono il nuovo audacissimo tentativo di raggiungere l'India per mare, attraverso l'Atlantico.
Un'impresa come questa, e il mistero della sua fine, certamente tragica, dovevano lasciare traccia profonda nei contemporanei e nella memoria dei posteri; così la ricorda Pietro d'Abano (primi del sec. XIV), e l'hanno ben presente cronache e documenti di varia natura, come le iscrizioni delle carte nautiche, dal sec. XIV al sec. XVI. Ma purtroppo, per quello che riguarda la critica moderna, le uniche notizie positive, già così scarse e vaghe, dell'annalista sincrono, furono conosciute assai tardi, essendo apparse solo nel 1843 in un'opera dello storico genovese Canale, e, più tardi, con maggiore diffusione, nei Mon. Germ. Hist. del Pertz (1860); poiché il cod. ch'era servito per i Rer. It. Script. (t. VI) del Muratori per la riproduzione degli annali del Doria, mancava del brano relativo ai V. Onde sino ad allora scopo e vicende e data della spedizione si era tentato di ricostruirli in base a documenti comparsi quando già a quel pochissimo di positivo che si sapeva in origine s'erano fusi o sovrapposti elementi leggendarî e interpretazioni arbitrarie; e gli storici moderni, anche in seguito, si sentirono in obbligo di tener conto del lavoro compiuto dai loro predecessori per aggiungere qualche cosa ai dati, autentici sì, ma così scarsi dell'annalista sincrono. E così anche oggi si conserva e prevale l'antica tradizione, che i V. s'erano proposti di raggiungere l'India propria, e che finirono prigionieri nientemeno che in Abissinia. Solo di recente è stata sostenuta l'ipotesi che il loro scopo potesse invece essere stato quello di raggiungere l'India verso occidente, e che il viaggio fosse terminato in un punto delle coste marocchine dell'Atlantico.
Le fonti dalle quali deriva la prima interpretazione sono soprattutto il cosiddetto Itinerarium Ususmaris, e il Libro del conocimiento de todos los Reyños, ecc., d'un autore spagnolo della seconda metà del secolo XIV. Il primo è un cod. ms., che si conserva nella Bibl. Un. di Genova, della seconda metà del sec. XV, e che fu attribuito al noto navigatore genovese Antoniotto Usodimare, mentre in realtà il titolo fu aggiunto nel sec. XVII e non corrisponde affatto al contenuto (è una raccolta di leggende tratte dalle carte nautiche e un riassunto della Imago Mundi di Onorio d'Autun). Dell'Usodimare il cod. contiene solo una copia, malamente trascritta, d'una lettera diretta ai creditori di Genova, da Lisbona, nel dicembre 1455, e contenente un breve, confuso ragguaglio del viaggio compiuto insieme col veneziano Alvise Ca' da Mosto alla foce del Gambia; nella lettera si fa cenno dei Vivaldi. E di questi si parla anche in una leggenda, tratta da una carta nautica, pure nello stesso codice. Leggenda e lettera furono pubblicate per la prima volta nel 1802 dal dotto svedese Gräberg di Hemsö. Nella leggenda è detto che una delle due navi, non risulta dove, naufragò, e che l'altra proseguì sino alla foce del fiume Sion (Senegal), un fiume che secondo la tradizione cosmografica diffusa comunemente nel Medioevo era considerato come un ramo del Nilo, che dall'Atlantico risaliva a congiungersi col Nilo di Nubia. IV. fatti prigionieri con i loro compagni furono condotti in Abissinia, dominata, come è noto, dal cosiddetto prete Gianni; e nessuno fece più ritorno. La leggenda, che costituisce la base più antica di codesta tradizione del trasporto in Abissinia, venne sin qui attribuita allo stesso Usodimare; ma di recente si è constatato che il nome di questo fu aggiunto arbitrariamente in margine dal possessore del codice, mentre nel testo si legge che la notizia (da questo cancellata) si deve a mercanti abissini nel Cairo. L'assurdità del suo contenuto si manifesta da sé. Quanto alla lettera, l'Usodimare narra in questa che nell'interno, in un luogo indeterminato fra il Senegal e la Gambia vicino al dominio del prete Gianni, incontrò un bianco, il quale gli dichiarò che era l'unico discendente della spedizione V. Notizia, anche questa, che a priori si lascia giudicare fantastica, non fosse altro perchè è assurdo che in un paese abitato esclusivamente da Negri, codesto personaggio abbia potuto, a 170 anni di distanza, conservare il colore dei suoi presunti ascendenti e il ricordo della sua origine. Di un genovese incontrato in quei luoghi parla effettivamente il Ca' da Mosto, prima d'essersi unito all'Usodimare, ed è ammissibile che il navigatore veneziano ne abbia fatto cenno a quest'ultimo; onde può essere che l'Usodimare (il quale già in qualche altro punto della lettera si lascia dominare dalla fantasia) abbia senz'altro trasformato codesto genovese in un discendente dei V. per avere occasione di dire qualche cosa di nuovo e di diverso dalla leggenda e che potesse interessare e colpire i suoi concittadini (la leggenda infatti diceva che nessuno aveva mai potuto uscire fuori dall'Abissinia).
Il Libro del conocimiento, che vorrebbe apparire come il resoconto di un viaggio compiuto da un anonimo spagnolo per tutti i luoghi del mondo allora conosciuto, in realtà non è altro che la narrazione di un viaggio immaginario fatto sopra un planisfero del tempo seguendo itinerarî fantastici, consistenti più che altro in aridi elenchi di nomi di luoghi. Per due volte l'autore accenna ai fratelli V.: in un primo accenno dice che in Aksum seppe che quivi erano stati condotti i genovesi ch'erano sfuggiti da una galera incendiatasi all'estremità interna di un golfo, fantastico, addentrantesi dall'Atlantico, risalendo l'Eufrate e quindi il Nilo di Nubia. Anche qui siamo in presenza della tradizionale idrografia africana con i fiumi del Paradiso terrestre. Dice poi l'autore che a Magdasor (Mogadiscio) gli dissero che Sorleone.V., figlio di Ugolino, era ivi sbarcato per ricercare il padre nell'interno, ma che il principe del luogo non gli permise di proseguire. Racconto anche questo, di pura fantasia. Eppure tanto i due documenti dell'Itinerarium, per il fatto che erano considerati entrambi opera d'un genovese, quanto quello del Libro, dato che Sorleone V. esistette realmente, furono sempre e sono ancor oggi tenuti in conto; tantoché qualche scrittore recente ha ammesso che gli stessi V. si spinsero sino a Mogadiscio e che di qui furono condotti ad Aksum.
Minori difficoltà dovrebbe invece presentare la nuova ipotesi che i V. abbiano tentato di raggiungere l'India navigando a occidente. Anzitutto le leggende di cui abbiamo parlato non accennano neppur esse a un progetto di vera e propria circumnavigazione dell'Africa, ma solo di un raggiungimento dell'Abissinia risalendo fiumi fantastici dalla costa atlantica. Si osservi poi che l'espressione stessa dell'annalista "ad partes Indiae per Oceanum" non esclude affatto il viaggio a occidente. Questo invece viene più o meno esplicitamente ammesso dagli storici genovesi del sec. XVI. Così A. Giustiniani (1537) parla di "un viaggio nuovo e inusitato di volere andare in India di verso Ponente". U. Folieta (1581) dice ancor più espressamente: "fretumque herculeum egressi cursum in occidentem direxerunt", soggiungendo poi che il successo dell'impresa doveva essere riservato a Colombo. E un altro storico della repubblica, sebbene non genovese, P. Bizzarri da Sassoferrato (1579), fa viaggiare i V. verso O., "novas insulas et regiones ad occidentem orbem vergentes". Non può non riuscire significativo questo fatto, che a Genova nessuno storico tenga conto del romanzesco racconto di Usodimare, e non si parli affatto di circumnavigazione dell'Africa. Dobbiamo inoltre aver presente che un progetto siffatto poteva, sì, apparire possibile agli antichi; ma solo perché l'Africa non giungeva (tranne nella concezione speciale di Tolomeo) all'Equatore, onde il percorso (come ad Eudosso, sec. II a. C.) poteva sembrare assai più breve. Ma nel '200 si sapeva perfettamente che l'Africa si spingeva di parecchi gradi a S., ed era ben noto che gli Arabi nell'Oceano Indiano s'erano inoltrati a S. del Capricorno; e di codesta estensione del continente verso Mezzogiorno noi abbiamo chiara traccia in mappamondi di poco posteriori, come in quello del genovese P. Vesconte del 1318. Un viaggio così lungo, e in massima parte nella zona torrida, dovrebbe scartarsi a priori, quando si pensi che i Portoghesi nel sec. XV impiegarono 60 anni di esplorazioni metodiche prima di passare il Capo. Noi sappiamo poi che le idee della sfericità della terra, del valore del grado, della supposta vicinanza delle coste occidentali e orientali del mondo antico - cioè i presupposti dell'impresa colombiana - erano già diffuse nel sec. XIII; e Ruggero Bacone le aveva già enunciate nel suo Opus maius, da cui più tardi le trasse letteralmente il cardinale D'Ailly, dal quale trasse poi le sue cognizioni cosmografiche Colombo.
Il viaggio potrebbe ricostruirsi così: le due navi costeggiarono l'Africa sino press'a poco al C. Juby di fronte alle Canarie, nell'intento di raggiungere queste isole (già scoperte qualche anno prima dai Genovesi) e di spingersi di qui verso occidente. Ma in quei paraggi esse dovettero essere distrutte da una tempesta, o catturate dai Berberi (allora il Marocco era in guerra con Genova), e l'equipaggio fu condotto nell'interno, donde nessuno ritornò più. La somiglianza dei due nomi Magdasor di Somalia e Mogador, porto della costa marocchina (già segnato sulle più antiche carte nautiche), poté a qualche decennio di distanza far confondere all'anonimo spagnolo autore del Libro le due località, in modo da identificare il porto marocchino, al quale è lecito ammettere sia sbarcato Sorleone V per ricercare il padre, al lontanissimo porto somalo: sono così frequenti le alterazioni, le incomprensioni e le trasposizioni dei toponimi nell'opera dell'autore, che l'ipotesi non dovrebbe apparire insostenibile. Ché se anche di fronte a questa si dovesse esitare, rimarrà sempre cosa certa che i due fratelli genovesi si dovranno considerare precursori sia di Vasco da Gama, sia di Colombo, onde la loro impresa, tentata alla fine del '200, non ha forse l'uguale per ardimento fra le spedizioni marittime di tutti i tempi.
Bibl.: Gräberg di Hemsö, in Annali di geografia e statistica, Genova 1802; Pertz, Der älteste Versuch zur Entd. der Seeweges nach Ostindien, comunicazione letta il 28 maggio 1859 all'Acc. delle Scienze di Monaco; Santarem, Recherches sur la priorité de la découverte des pays situés sur la côte occidentale d'Afrique au dela du cap Bojador, Parigi 1842; D'Avezac, l'expédition des Frères V., in Nouv. Ann. des voyages, sett. 1859; Belgrano, Nota sulla spedizione dei Fratelli Vivaldi nel MCCXCI, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, 1881; Ch. De la Roncière, La découverte de l'Afrique au M. Âge, Cairo 1921, I, cap. 4°; Caddeo, Le navigazioni atlantiche di Alvise da Ca' da Mosto, Milano 1929; A. Magnaghi, Precursori di Colombo? Il tentativo di viaggio transoceanico dei genovesi fratelli V. nel 1291, Roma 1935.