GHERARDESCA, Ugolino della
Conte di Donoratico, signore di un sesto del regno di Cagliari, potente cittadino di Pisa, tenne prima politica ghibellina; combatté nel 1256 contro Genova e nel 1267 in Sardegna. Poi si accostò ai Visconti e alla parte guelfa, si adoperò alla conclusione del trattato di Pisa con Carlo d'Angiò (1272), rifiutò al comune il tributo per i feudi di Sardegna. Imprigionato (1274) e cacciato da Pisa (1275), si unì con la taglia guelfa di Toscana, devastò il territorio, batté i Pisani ad Asciano e al Fosso Rinonico; ritornò con i guelfi per la pace del 1276. Fu uno dei due capi della flotta pisana nell'incursione nel porto di Genova; alla Meloria (6 agosto 1284), si ritirò con le sue navi e ne ebbe voce di tradimento. La città, minacciata dalla lega di Genova con la taglia, lo creò podestà (18 ottobre 1284) e capitano del popolo (febbraio 1285) per dieci anni, per tentare un accordo con i guelfi. Ugolino conchiuse infatti la pace con Firenze, cedendo alcuni castelli e Pontedera (dicembre 1285); ai Lucchesi cedette Viareggio e Ripafratta; la città fu salva. Con Genova continuò la guerra. Credette U. di rinsaldare la signoria, associandosi il nipote Nino Visconti, giudice di Gallura, capo di parte guelfa. I due "rettori e governatori del comune" riformarono (1286) il breve communis Pisani e il breve populi Pisani secondo le esigenze di un ristretto governo signorile e cercarono di arrestare l'organizzazione delle arti, favorendo il più basso ceto artigiano. Poi vennero a contrasto; Nino si atteggiò a difensore di libertà, rinunziò e impose a U. di rinunziare alla signoria (dicembre 1287). Rappaciati, la ripresero, parve, col consenso comune (marzo 1288). Risorte le discordie, U. si strinse con l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini e con la nobiltà ghibellina e fece da loro cacciare Nino. Ma l'arcivescovo, dopo avere tentato di dividere con U. il potere, si pose a capo delle casate ghibelline desiderose di restaurare gli ordinamenti repubblicani, l'accusò di tradimento e lo fece imprigionare (1° luglio 1288). Chiuso nella "muda" dei Gualandi, U. fu, nel marzo 1289, lasciato morire di fame, forse per timore che la taglia ne imponesse la liberazione. Pochi anni dopo, Dante ne rendeva immortale la figura.
Bibl.: G. Del Noce, Il conte U. della G., Città di Castello 1894, in Collez. di opuscoli danteschi, n. 15; U. Dorini, Il tradimento del conte U., in Studi danteschi, XII (1927), p. 31 segg.; articoli in Giorn. arcadico, 1906, p. 291 segg., e in Arch. stor. sardo, XII (1916-17). Cfr. anche F. Bonaini, Statuti inediti della città di Pisa, I, Firenze 1854, pp. xx segg., 55 segg.; R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, II, ii, Berlino 1908, passim; N. Ottokar, Il comune di Firenze alla fine del Dugento, Firenze 1926, p. 183 segg.