UGANDA
(XXXIV, p. 609; App. III, II, p. 1006; IV, III, p. 711)
La popolazione (16.583.000 ab. al censimento 1991) appartiene per buona parte (70%) al ceppo bantu (Baganda, Banyoro, Banyankole, Bagisu, Iteso, Basoga e Bachiga sono le etnie maggiori), per il 16% al ceppo nilotico (Lango e Acholi) e per il resto al ceppo nilo-hamitico (Turkana e Karamojong). Dopo i tragici eventi della guerra civile (ufficialmente cessata nel 1985) e in seguito al perdurare dell'insicurezza delle aree agricole, nelle città si sono rifugiati molti abitanti dei villaggi; la capitale Kampala (773.463 ab.) ospita in miserevoli bidonvilles centinaia di migliaia di profughi.
I lunghi periodi di guerriglia hanno ridotto l'economia del paese a condizioni di grave difficoltà. Agricoltura e allevamento impiegano l'80% dell'intera forza lavorativa, ma le continue variazioni climatiche, l'esodo della popolazione rurale, la mancanza di collegamenti e l'insicurezza generale hanno reso difficile una politica di ripresa di questo importante settore economico. Nell'agricoltura commerciale il maggiore prodotto di esportazione è il caffè (1.770.000 q nel 1993), seguito dal tè e dal cotone. Le colture alimentari principali sono la cassava, la batata, il miglio, il sorgo, il mais e ortaggi vari, coltivati in tante piccole aziende familiari: per coprire il fabbisogno alimentare interno oggi si punta soprattutto sul mais che sembra offrire buone prospettive d'incremento. L'allevamento estensivo è praticato dalle popolazioni nilo-hamitiche ed entra solo in piccola parte nel circuito commerciale. L'attività mineraria un tempo importante è cessata quasi completamente dopo che la miniera di Kilembe (rame) ha terminato di essere sfruttata, provocando anche la chiusura dell'impianto di raffinazione di Jinja. Il paese possiede anche giacimenti di cobalto, di apatite, di tungsteno e di altri minerali, ma sempre in piccole quantità. La produzione idroelettrica della centrale di Owen Falls è oggi esportata per buona parte in Kenya a causa delle ridotte necessità interne, in quanto l'attività industriale è limitata ad alcuni stabilimenti per la lavorazione dei prodotti agricoli e dell'allevamento, a quattro impianti tessili e ad alcuni stabilimenti metalmeccanici. Il turismo è praticamente cessato e le vie di comunicazione sono fortemente deteriorate; i paesi dell'Unione Europea si sono impegnati a ricostruire almeno le arterie di collegamento con i paesi vicini. L'U. utilizza il porto di Mombasa e in minor misura quello di Dār es-Salāām. Il commercio con l'estero oggi è molto limitato e vede ai primi posti, per le importazioni, Kenya e Regno Unito, mentre per le esportazioni Paesi Bassi, Stati Uniti e Francia.
Bibl.: A.F. Robertson, Uganda's first republic: chiefs, administrators and politicians 1967-1971, Cambridge 1982; Banca Mondiale, Uganda: growing out of poverty, Washington 1993; Id., Uganda: agriculture, ivi 1993.
Storia. - Il crollo della dittatura sanguinaria e grottesca di Idi Amin Dada, rimasto al potere dal 1971 al 1979, fu opera, congiuntamente, dell'azione delle forze armate della Tanzania e di gruppi militarizzati di esuli ugandesi che avevano trovato rifugio nella stessa Tanzania. L'11 aprile 1979 Amin fuggì dalla capitale alla volta della Libia e successivamente si rifugiò in definitivo esilio in Arabia Saudita, lasciandosi dietro un paese in rovina, percorso da bande armate, in preda ai saccheggi e al terrore. Il movimento ''di liberazione'' (l'Uganda National Liberation Army e il suo braccio politico, l'Uganda National Liberation Front) godeva della protezione della Tanzania ed era eterogeneo, diviso in più partiti, formato da personalità poco disposte a condividere il potere con altri; il punto di riferimento ideale dell'opposizione ad Amin in Tanzania era stato per anni l'ex presidente ugandese M. Obote − e su di lui puntava verosimilmente anche il presidente della Tanzania J.K. Nyerere − ma la sua candidatura era tutt'altro che indiscussa.
Per gestire la transizione verso quella che si pensava dovesse essere una normalizzazione a livello politico e istituzionale fu scelto un personaggio di secondo piano, Y. Lule, con poca esperienza politica e pochissimo seguito personale, che cercò di rafforzarsi promettendo la restaurazione della ''centralità'' dei Baganda, la popolazione più importante dell'U., la cui integrazione nella compagine statale aveva rappresentato il problema essenziale dopo l'indipendenza. Lule restò in carica solo alcuni mesi, dall'aprile al giugno 1979, e al suo posto fu insediato un altro uomo di compromesso, G. Binaisa, che inserì nel governo due degli uomini politici in ascesa: P. Muwanga, esponente dell'UPC (Uganda People's Congress) e vicino a Obote, come ministro degli Interni, e Y. Museveni, ambiziosa figura d'intellettuale passato alla guerriglia, che assunse il portafoglio chiave della Difesa. La sostituzione ai vertici del paese non mutò il quadro politico che rimase ai limiti dell'ingovernabilità, con la proliferazione di eserciti su base tribale, ognuno con un suo insediamento in una parte del paese. Contemporaneamente l'intesa fra l'UNLA e la Tanzania entrò in crisi e Nyerere mostrò di volersi dissociare ritirando gradualmente le truppe. Prima che le elezioni fossero indette, nel maggio del 1980, ci fu l'intervento diretto dell'esercito e venne istituita una commissione collettiva che comprendeva tutti i protagonisti delle vicende successive: Muwanga, i generali D. Oyite-Ojok e T. Okello, Museveni.
Il ritorno trionfale di Obote in patria sembrò essere un'anticipazione dell'esito elettorale. In effetti l'UPC s'impose nelle elezioni del 10 dicembre 1980, ma in condizioni di sospetto e d'irregolarità che lasciarono dietro di sé frustrazione e sentimenti di rivincita nei partiti sconfitti, fra cui il Democratic Party di P. Ssemogerere e il partito dello stesso Museveni, il quale era ormai schierato contro Obote dopo aver militato nell'UPC e soprattutto nella sua radicale associazione giovanile. Obote si mantenne al potere per un quinquennio in un crescendo d'instabilità e di accuse di malversazione, violenze e corruzione, mentre Museveni aveva optato per la lotta armata, fondando il National Resistance Army (NRA). Altri focolai di rivolta militare sorsero in vari punti del paese, riproponendo tra l'altro i soliti dissidi tribali. Nel luglio 1985 un'ala dell'esercito agli ordini del gen. B. Okello destituì Obote, sospese la Costituzione e insediò come nuovo presidente il gen. T. Okello, che formò un consiglio militare a prevalente composizione Acholi (una popolazione del Nord) e con qualche esponente politico, fra cui Ssemogerere; ma la dissidenza del NRA, forte nel Sud-Ovest del paese, non accennò a diminuire. Museveni conquistò la capitale il 26 gennaio 1986, giurando come presidente il 29 dello stesso mese. Egli aveva la pretesa di non essere uno dei tanti ''signori della guerra'' che avevano devastato l'U. in quegli anni, non solo perché si presentava come un leader nazionale invece che tribale, ma perché era convinto di capeggiare un esercito disciplinato, rispettoso dei diritti umani e ''politicizzato''. Nel Nord e nell'Est del paese continuarono in effetti a operare gruppi armati di non chiara identificazione, ma l'U. incominciò a uscire progressivamente dallo stato di guerra endemica in cui aveva vissuto per tanto tempo. Museveni dimostrò di avere carisma, autorità e consenso; sotto la sua guida l'U. acquistò prestigio a livello regionale, e anche questo riconoscimento l'aiutò a superare i problemi di stabilità perché cessarono le interferenze attorno alle sue frontiere; fu lo stesso U. se mai a influire sulle vicende dei paesi vicini, come quando il sostegno al Fronte patriottico ruandese, composto da esuli tutsi ospitati nel suo territorio e addestrati in parte fra le forze di Museveni, contribuì all'offensiva che portò a un cambio di governo nel Ruanda e agli eccidi del 1994. Museveni assumeva la carica di capo dello Stato e, in attesa che venisse formulata una nuova costituzione, governava assistito da un Consiglio della resistenza nazionale (NRC) con 216 membri eletti e 68 membri di nomina presidenziale. Il governo si reggeva su una coalizione dominata dal National Resistance Movement (NRM), braccio politico del NRA; l'attività politica organizzata era ufficialmente al bando, ma i partiti tradizionali continuavano a esistere ed erano anche rappresentati nel governo. La parziale smobilitazione dell'esercito e una politica di decentramento amministrativo avevano ridotto il potere del centro rispettando in qualche modo il pluralismo che in passato aveva costituito il principale ostacolo alla pace del paese. Un programma di aggiustamento economico finanziato dal Fondo monetario internazionale avviò le riforme e la stabilizzazione: la buona amministrazione economica fu premiata con la cancellazione dei due terzi del debito estero su basi bilaterali. Nel 1994 fu eletta l'Assemblea costituente (114 dei 214 seggi sono stati conquistati da seguaci del presidente), ma si accese una gravissima disputa fra i diversi partiti a seguito della decisione di prolungare il governo del NRM per 5 anni dopo la promulgazione della Costituzione. A parte la situazione critica al confine con il Ruanda, un ''fronte'' d'insicurezza si riapriva con il Sudan, che il governo ugandese accusò di fomentare focolai di ribellione, e il 23 aprile 1995 l'U. decise di rompere le relazioni diplomatiche con Khartoum.
Bibl.: S.R.A. Karugire, A political history of Uganda, Londra 1980; J.J. Jorgensen, Uganda: A modern history, ivi 1981; T.V. Sathymurthy, The political development of Uganda, 1980-86, Aldershot 1986; H.B. Hansen, M. Twaddle, Uganda now: between decay and development, Londra 1988; H. Bernt, M. Twaddle, Uganda now, ivi 1988; E.A. Brett, Rebuilding organization capacity in Uganda under the National Resistence Movement, in Journal of Modern African Studies, 32, 1 (1994), pp. 53-80; G. Prunier, B. Calas, L'Ouganda contemporain, Parigi 1994.