Ubaldini, Ruggieri della Pila, arcivescovo di Pisa
Per molto tempo è rimasto incerto a qual famiglia appartenesse. Era dei Durando, secondo l'Ughelli, e a quel tempo c'era chi lo voleva degli Ubaldi di Volterra o anche dei Lanfranchi di Pisa; dei conti di Panico sull'Appennino bolognese, a parer di E. Repetti, sul fondamento di un documento che avremo occasione di ricordare più distesamente nel prosieguo di questo profilo. È stato infine rivendicato giustamente agli U. di Mugello del ramo dei signori del castello della Pila da F. Bonaini, che pubblicò e illustrò una lettera di quel prelato che si dovrà anch'essa ricordare più sotto. Del resto, alla stessa conclusione si poteva arrivare con fonti cronistiche, ad esempio l'annalista Tolomeo da Lucca che, ricordandolo come artefice della cattura del conte Ugolino, scrisse " et coadiuvante archiepiscopo dicti loci [scil. Pisarum], nepote domini Octaviani cardinalis ": orbene, il famoso e fastoso cardinale Ottaviano era degli U. e fu effettivamente zio del nostro personaggio. Più avanti si riporteranno le frasi del Memoriale Potestatum Regiensium edito dal Muratori, dove l'arcivescovo è affermato fratello dell'altro Ottaviano U., vescovo di Bologna per lunga serie di anni (1260-1295), e in realtà tra i due presuli corse quello stretto vincolo di parentela, senza contare poi i molti documenti bolognesi, perugini e addirittura pisani che fanno Ruggieri figlio " domini Ubaldini de la Pila ", oppure " natus domini Ubaldini de Pila ".
Nacque dunque Ruggieri degli U. nel periodo di maggior floridezza della casata, e dal ramo di essa che più fu legato alle vicende politiche della Toscana e di D., quello dei signori del castello della Pila, e nel momento in cui la stirpe brillò per alti dignitari ecclesiastici. È lecito supporre che Ruggieri nascesse nel secondo decennio del sec. XIII, e che venisse introdotto nella carriera ecclesiastica dallo zio cardinale Ottaviano. Alla morte di costui, fu certamente, per dir così, ereditato dal proprio fratello Ottaviano che lo introdusse nella Chiesa bolognese e gli fece far carriera. Vi raggiunse la dignità di arcidiacono; e sempre si ricordò di Bologna anche nel fulgore della propria carriera, tenendosi intorno bolognesi sia laici sia ecclesiastici, quanto più poté. Egli venne alla cattedra archiepiscopale pisana succedendo all'arcivescovo Federigo Visconti deceduto al principio dell'ottobre 1277, e fece l'ingresso solenne nella città il 12 giugno 1278. Non vi può essere dubbio che trascorse i primi tempi del suo ufficio nel conoscere la diocesi, i suoi ecclesiastici sia regolari sia secolari, il ceto dominante della città, sia nel senso politico che in quello economico, capeggiato dalle stirpi nobili di origine feudale dei Gherardesca conti di Donoratico e dei Visconti, e anche le molte casate di signori feudali della Maremma, sia la volterrana, sia la senese, sia la pisana, perché molti erano i legami che le avvincevano a Pisa, quando addirittura non vi avevano una dimora, e forte era la loro influenza sulle cose e sulle faccende ecclesiastiche. Dopo aver sistemate le faccende diocesane e fatta l'esperienza necessaria di cose e uomini, richiese alle autorità comunali, il 2 gennaio 1282, la conferma dei diritti contrastatigli dal comune sul sale che usciva dal contado e dal distretto di Pisa, e che si riscuotevano a Castel del Bosco nel Valdarno inferiore, alla frontiera tra Pisa e Firenze.
Furono i primi dissidi di natura finanziaria tra autorità laiche ed ecclesiastiche, i quali ebbero pure la loro impostazione nell'evoluzione dei rapporti tra i due ordini di autorità. Gl'interessi diocesani dovettero avere la prevalenza nel primo decennio di episcopato e sarà bene ricordare sin da ora un viaggio che Ruggieri fece a Roma sulla fine del 1285, nel quale dettò al suo notaio, Antonio di Rolanduccio di Pescatore (o ser Antonio di Rolanduccio pescatore), una lettera indirizzata al priore dei domenicani di Pisa dove trattava di certi beni immobili in Livorno lasciati a quei frati da Volpe, vedova di Iacopo Salmoli. Il documento ci è rimasto, e porta la data del 23 gennaio 1286. Vi assistettero come testimoni degli ecclesiastici pisani, e inoltre " domino Azone clerico, comite de Panico Bononiensi " e " Ubaldino nato nobilis viri Ugolini de Filizone de Ubaldinis ", cioè il Baldino che stando presso lo zio in Pisa partecipò a tutte le vicende della città. L'arcivescovo, non volendo fare parzialità, proteggeva tutti i parenti, fossero essi della sua casata o di quelle alleate come erano i conti di Panico.
Intanto Pisa, attaccata dalle forze guelfe di Firenze e di Genova, versava in tristi condizioni, e tutto sembrò volgere al precipizio dopo la disastrosa battaglia navale della Meloria che vide il tracollo della sua potenza marinara e il trasferimento a Genova, in dura prigionia, del fior fiore della cittadinanza, nobiliare e commerciale (6 agosto 1284). Il vescovo Ruggieri descrisse la sconfitta della città al fratello, vescovo di Bologna, forse rispondendo a una sua precisa richiesta; e quegli, a sua volta, dové diffondere molte copie della lettera: si legge infatti nel Memoriale Potestatum Regiensium: " Veruntamen archiepiscopus pisanus episcopo Bononiensi, cuius frater germanus est, certum numerum [sott. interfectorum et captivorum] in suis licteris designavit ".
In tale grave contingenza il conte Ugolino di Donoratico, il 18 ottobre 1284, prese a esercitare l'ufficio di podestà; nelle sue nuove vesti quasi signorili, egli dové fronteggiare la minaccia che veniva dai guelfi interni e più ancora dai fuorusciti e dalla forze della lega guelfa di Toscana capeggiata da Firenze e da Lucca. Com'è noto, fu provveduto con la cessione delle castella (If XXXIII 86). Approfittò delle contingenze l'arcivescovo Ruggieri per provocare dal papa la remissione in alcuni ecclesiastici della competenza sulla causa tra l'arcivescovo e il comune di Pisa intorno alla giurisdizione temporale di alcuni castelli; altri castelli tenuti dal comune di Pisa richiese anche il vescovo di Lucca, Paganello da Porcari. La pace con Genova, firmata il 15 aprile 1288, dette inizio alle trattative per la liberazione dei prigionieri, che si svolsero a ritmo sostenuto poiché il ritorno di tanti nobili ghibellini e del loro capo, il conte Fazio di Donoratico, esponente dei consanguinei di quella fede politica, uniti al popolo naturalmente ghibellino, avrebbe portato solidi elementi di speranza a chi voleva abbattere con la signoria di Nino e del conte il pericolo di avere un governo dichiaratamente guelfo, proprio a Pisa: eventualità profondamente osteggiata dall'arcivescovo, ghibellino per tradizione familiare; perciò egli aveva preso contatti con i Gualandi, fieri oppositori del governo, e con altre casate di tradizionale fede ghibellina.
In If XXXIII 32-33 D. fa espressa menzione delle famiglie Gualandi, Sismondi e Lanfranchi come partecipi alla congiura ordita, facendo capo all'arcivescovo. Tutti costoro, insieme, facevano leva e affidamento sui sentimenti del popolo, come si è detto, naturalmente ghibellini.
Ecco certi fatti che, secondo gli antichi storici, avrebbero portato allo scontro diretto i due signori Nino e Ugolino col presule, come l'uccisione di Gano Scornigiani, legato al giudice Nino, per opera di Ugolino Brigata, nipote del conte di Donoratico. Nino per rivalsa accusò l'avo Ugolino di volersi opporre al ritorno dei prigionieri pisani in Genova, e richiese l'alleanza dell'arcivescovo, che peraltro non volle allearsi a un guelfo. Allora i due congiunti abbandonarono simulatamente il potere; si entrò in giorni pieni di sommosse e di lutti, finché Ruggieri si alleò col Donoratico contro il Visconti; e incalzarono i momenti decisivi. Quando i prigioni in Genova e il governo genovese credettero giunto il momento di sollecitare la rivolta, trovarono che la congiura era già sfociata in sommossa e che questa aveva sortito effetti favorevoli: prima fu estromesso il giudice Nino, mentre il conte si trovava nel suo castello di Settimo nei pressi della città. Quando poi la sera il conte e i familiari cercarono di rientrare nelle loro dimore cittadine, si accese una fiera mischia alla quale, stando all'annalista Tolomeo, l'arcivescovo avrebbe dato l'apporto di schiere armate di preti e di frati (dice l'annalista lucchese, sotto il 1288, che il conte Ugolino venne fatto prigioniero dai Pisani " et coadiuvante archiepiscopo dicti loci, cum multis clericis sibi adiunctis. Capitur igitur dictus comes cum duobus filiis Gaddo et Brigata et uno nepote, videlicet Henrico, ponuntur in carcere, ibidemque post longam extorsionem pecuniarum fame ibidem pereunt "). Catturato il signore e toltolo di mezzo, si alzò l'alba del gran giorno per l'arcivescovo e per i congiurati. Nella carenza di ogni potere costituito, " Rogerius " diviene " potestas, rector et gubernator comunis et populi pisani ". È vero anche che egli esercitò i suoi poteri quasi dittatoriali mettendosi fuori più che poté dalla mischia politica, e spostando il peso, per il bimestre luglio-agosto 1288, sulle spalle del fido Bonaccorso Gubbetta della consorteria dei nobili di Ripafratta, cui assegnò il titolo di vicario, e che fece coadiuvare da persone di sua stretta fiducia. Ai primi di novembre 1288 si ebbe il nuovo capitano del popolo nella persona del conte Aldobrandino da Romena (egli era ecclesiastico con la dignità di primicerio della Chiesa aretina, e appena ritornato in sede dall'ufficio pisano, fu eletto dai confratelli del capitolo vescovo della diocesi in sostituzione del vescovo Guglielmino degli Ubertini, caduto sul campo della battaglia di Campaldino), il quale dové svolgere anche le funzioni podestarili fino a quando nel dicembre non venne nominato podestà il conte Gualtieri di Brunforte, da una commissione composta, come i Fragmenta historiae Pisanae dicono, tutta da persone ligie all'arcivescovo come il Gubbetta, Baldino da Panico nipote del presule, Gaddo della consorteria dei Da Caprona, capoccia ghibellino.
Pisa era entrata in un periodo di emergenza, infuriavano la guerra e la guerriglia nel contado, le forze della Lega guelfa scorrevano fin sotto le mura della città, i cui governanti potevano mal controbatterle e arginarle per mancanza di cavalieri, e pertanto provvidero ad arruolarne. All'interno, i ghibellini pisani si erano lanciati al saccheggio e allo sterminio degli avversari politici. Al principio del 1289 il comune concesse per un triennio poteri quasi signorili a un altro personaggio di grande interesse dantesco, al conte Guido da Montefeltro, che secondo la prassi già instaurata per il conte Ugolino, ebbe le cariche di podestà e di capitano a un tempo. Il Montefeltro era capo dei ghibellini della Romagna e venne a Pisa violando il confino ad Asti che gli era stato assegnato dal pontefice. L'efficace latino dell'annalista Tolomeo ha ben posto in chiaro il carattere signorile dei poteri concessi dai Pisani al Montefeltro: " effectus est dominus eorum plenarius cum exspontanea subiectione ". Per poter far ciò fu necessario rimuovere il Brunforte nominato secondo i voleri dell'arcivescovo; ma non si sa se la faccenda venne portata a termine col consenso di Ruggieri o contro la sua volontà. Intanto cominciava la nemesi per l'arcivescovo, cui clero, guelfi e fama facevano risalire la colpa dell'atroce morte del conte Ugolino e dell'eccidio dei figli e dei nipoti. Fu Nino Visconti a denunciare al papa la crudeltà di Ruggieri, ma più di Niccolò IV seppe a chi assegnare la responsabilità del misfatto Bonifacio VIII, il quale se la prese persino con il clero e con il capitolo stesso della cattedrale. La sentenza del cardinale Colonna, cui era stata affidata la causa dal papa, emessa nel 1295, fu inesorabile: privava l'arcivescovo della sua dignità e del suo ufficio e lo condannava a prigione perpetua. Ma Ruggieri venne presto a morte; il suo successore venne eletto alla metà di settembre 1295. Alquanto prima però di chiudere gli occhi, Ruggieri ebbe la consolazione, chiamiamola pur così, di veder tornare dalla prigionia lucchese il nipote Baldino degli U. " dictus de Pila ", oppure " Baldino de Pila de Ubaldinis " che, nel 1287, era stato fatto prigioniero, in un combattimento a Buti, insieme con molti nobili pisani, tra i quali Bonaccorso della consorteria da Ripafratta; e insieme col Ripafratta egli fu liberato. Dal momento che quel nobile era stato ed era nella fiducia e nella confidenza dell'arcivescovo, in quella liberazione, che non piacque a tutti in Lucca e della quale venne data colpa a certi cittadini, si può vedere la longa manus del prelato.
Come si è visto, è assai difficile storicamente accusare Ruggieri di aver tradito Pisa e meno che mai la sua Parte ghibellina. Eppure D. lo pone al limite interno dell'Antenora, la zona del IX cerchio riservata appunto ai traditori della patria e del partito (If XXXII 124-139, XXXIII 1-90). Semmai, secondo una certa versione dei fatti, egli tradì lo stesso Ugolino, attirandolo a Pisa dal contado con la speranza di un accordo e poi facendolo imprigionare. Comunque, è certo che Ugolino parla di Ruggieri come di un traditore personale; significativo anche, a questo riguardo, che Ruggieri, oltre alla pena comune con gli altri traditori, dell'immersione nel ghiaccio, ha per così dire una pena supplementare, per opera proprio di Ugolino. Unendoli, D. volle esprimere il suo orrore per le guerre civili che giungevano all'eccesso della condanna alla morte per fame anche d'innocenti; feroce episodio che del resto aveva così profondamente impressionato l'opinione pubblica da far muovere, anche contro un arcivescovo, lo stesso pontefice. V. UGOLINO della GHERARDESCA. Tutta la luce dei versi danteschi è proiettata su Ugolino; Ruggieri è inerte: solo un teschio da rodere, dei capelli con cui ‛ forbirsi ' la bocca come con uno straccio.
Bibl. - F. Ughelli, Italia sacra, III, Roma 1647, coll. 525-526; R. Roncioni, Istorie pisane, in " Arch. Stor. Ital. " s. 1, VI (1844); vedi le ricche notizie sulla fine del conte Ugolino nella tav. VII di quelle dedicate ai conti della Gherardesca da L. Passerini, in Famiglie celebri d'Italia, di P. Litta, Milano 1860; L. Passerini, Armi e notizie storiche delle famiglie toscane che son nominate nella D.C., in l'Inferno di D. Alighieri, a c. di G. G. Warren lord Vernon, II, Documenti, Firenze-Londra 1862, 594; F. Bonaini, Lettera dell'arcivescovo Ruggieri scritta da Roma il 23 gennaio 1286 a frati predicatori di Pisa, in l'Inf. di D. Alighieri, cit., 123-132 (con facsimile del doc.); gli Annali di Tolomeo Lucchese sono citati dall'ediz. di Firenze, in Cronache dei secc. XIII e XIV, Firenze 1876; U. Dorini, Il tradimento del Conte U. alla luce di un documento inedito, in " Studi d. " XII (1927) 31-64; P. Bacci, Gualandi con Sismondi in un documento del 21 marzo 1283, Pisa 1920; E. Cristiani, Nobiltà e Popolo nel Comune di Pisa, Napoli 1962, tutto il cap. IV.