VECCHIETTI, Tullio
– Nacque a Roma il 29 luglio 1914, figlio di Maria Forcella e di Pilade.
Dopo essersi laureato in scienze politiche frequentò la Scuola romana di storia diretta da Gioacchino Volpe, occupandosi soprattutto di pensiero politico italiano tra Settecento e Ottocento. Avvicinatosi ai gruppi giovanili comunisti raccoltisi intorno a Mario Alicata e Antonio Amendola, nel 1938 vinse una borsa di studio alla Sorbona di Parigi, dove entrò in contatto con i militanti socialisti e di Giustizia e libertà ivi emigrati. Tornato a Roma, formò, con Achille Corona e Mario Zagari, il gruppo locale del Movimento di unità proletaria (MUP), particolarmente influenzato dalla lettura dei testi di Lev Trotzky e di Rosa Luxemburg.
Nell’agosto del 1943 partecipò alla ricostruzione del Partito socialista nelle cui fila prese parte alla Resistenza a Roma. Dopo la Liberazione, al consiglio nazionale tenutosi dal 29 luglio al 1° agosto 1945 fu uno dei presentatori, insieme a Giuseppe Saragat e Ignazio Silone (della cui rivista Europa socialista Vecchietti fu anche redattore, rifiutando la concezione del «socialismo in un paese solo» e auspicando una rivoluzione socialista a livello europeo), di una mozione ‘autonomista’, che ottenne il 24% dei voti rispetto alla mozione Basso-Cacciatore-Morandi-Pertini, che auspicava la formazione di un partito unico della classe operaia. Costituita la corrente di Iniziativa socialista il gruppo di Vecchietti, alleatosi con la corrente Pertini-Silone, vinse il XXIV Congresso del partito, tenutosi a Firenze dall’11 al 16 aprile 1946. Dopo l’adesione di Zagari, come di molti altri esponenti della sua corrente, alla scissione di Palazzo Barberini, Vecchietti lo sostituì nell’incarico di responsabile esteri del partito, entrando a far parte della direzione. Al Congresso straordinario di Genova (27 giugno-1° luglio 1948) si schierò con la mozione della sinistra di Pietro Nenni e Rodolfo Morandi, a sostegno della validità, nonostante la sconfitta, della politica del Fronte popolare: una linea che tenne anche successivamente guidando, dal 1949 al 1951, la rivista Mondo operaio e dal 1952 al 1956 il quotidiano del partito, l’Avanti!.
Con il fallimento della ‘legge truffa’ e la morte di Iosif V. Stalin nel 1953 (quando fu eletto per la prima volta deputato) si aprirono però nuovi spazi per la distensione, interna ed esterna, e per una possibile ‘apertura a sinistra’, auspicata dal Congresso di Torino del Partito socialista italiano (PSI) dell’aprile del 1955, ponendo però come pregiudiziale, come sottolineò Vecchietti nel suo intervento, l’abbandono della concezione degasperiana di ‘democrazia protetta’ e l’estensione dei diritti costituzionali a tutta la classe lavoratrice. Dopo la scomparsa improvvisa di Morandi, divenne, di fatto, il dirigente di riferimento dell’apparato del partito e della sua struttura. Condivise, almeno inizialmente, l’atteggiamento di Nenni sul XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica, affermando la necessità di un approfondimento del tema della via democratica al socialismo, pur difendendo la politica del PSI degli anni precedenti. Nei suoi interventi di questo periodo in direzione si spinse a sostenere la necessità di recuperare l’indipendenza del PSI nei confronti della politica sovietica, rimanendo però la netta critica al «bagaglio decrepito e fallimentare di un riformismo del genere opportunistico» e della socialdemocrazia (I nostri e gli altrui doveri, in Avanti!, 2 agosto 1956, p. 1). Di fronte alla rivoluzione ungherese ne riconobbe dapprima il carattere democratico, per poi esortare, pochi giorni dopo, la classe operaia ungherese a riprendere il controllo della situazione «per salvaguardare le conquiste socialiste e respingere le minacce delle cricche militari e feudali» (Il punto critico dell’Ungheria, ibid., 3 novembre 1956, p. 1).
Con l’articolo di Vecchietti nacquero i cosiddetti carristi. Il termine è però errato se si riferisce a un appoggio diretto all’invasione sovietica: la preoccupazione principale degli esponenti del gruppo fu, oltre al mantenimento della solidarietà con il mondo comunista, la salvaguardia della politica ‘unitaria’ e il rifiuto di ogni ‘cedimento’ socialdemocratico. Al Congresso di Venezia (6-10 febbraio 1957) queste differenze emersero nella loro evidenza: la sinistra di Vecchietti e Dario Valori ottenne quaranta seggi nel comitato centrale, Nenni trenta, Basso tredici. Vecchietti lasciò la guida dell’Avanti!, passando a dirigere il settimanale della corrente, Mondo nuovo. Da questo momento fino alla scissione del 1964 i contrasti all’interno del PSI si andarono progressivamente accentuando. Nella riunione della direzione del 17 ottobre 1958 Vecchietti respinse la relazione presentata da Nenni in vista della successiva sessione del comitato centrale, annunciando l’intenzione di presentarne una propria che ottenne trentotto voti contro i ventisei di quella di Nenni, costringendolo alle dimissioni da segretario del partito, che furono però ‘congelate’ in attesa degli esiti del Congresso nazionale che si sarebbe svolto a Napoli dal 15 al 18 gennaio 1959. Sconfitto con il 32,65% dei voti contro il 58% della mozione autonomista di Nenni, Vecchietti fu escluso dalla direzione, il che però non gli impedì di votare, nel comitato centrale del febbraio del 1961, con la maggioranza del partito per l’astensione nei confronti del nascente governo di Amintore Fanfani.
Al Congresso di Milano del marzo del 1961, pur avvertendo dei rischi di una politica che, a suo parere, disorientava l’elettorato tradizionale socialista, rientrò in direzione, senza però alcun incarico. Di fronte alla prospettiva, sempre più vicina, di una partecipazione diretta dei socialisti a un governo di centro-sinistra, l’opposizione di Vecchietti si fece sempre più netta, accusando la politica di Nenni di aver rinunciato alla lotta per un avanzamento reale della democrazia, mentre il centro-sinistra non rappresentava nient’altro che «una copertura per il neocapitalismo» (Il fallimento del centro-sinistra e il futuro della politica socialista, in Mondo nuovo, 20 gennaio 1963, p. 5). Al trentacinquesimo Congresso straordinario del PSI, convocato a Roma dal 25 al 28 ottobre 1963, dopo la spaccatura della maggioranza autonomista nella ‘notte di S. Gregorio’, Vecchietti, dopo aver affermato che il suo dissenso dalla relazione di Nenni non aveva origine nel rifiutare a priori la formula del centro-sinistra, ribadì che la partecipazione al governo comportava prezzi inaccettabili per un partito di classe. Battuto al Congresso (la sinistra ottenne il 39,3%, contro il 57,4% degli autonomisti), Vecchietti respinse gli accordi programmatici che portarono alla nascita del primo governo di Aldo Moro, definendoli, nella sua dichiarazione a nome della minoranza al comitato centrale del 27 novembre 1963, come un sostanziale rovesciamento delle tradizionali posizioni ideologiche e politiche del PSI. Era, di fatto, il preannuncio della scissione, per evitare la quale la sinistra socialista pose come condizioni la non delimitazione della maggioranza di governo (per impedire rotture con i comunisti nelle giunte locali), l’opposizione a una politica economica deflazionistica e, in politica estera, il rifiuto del progetto di forza atomica multilaterale.
Dopo la decisione di non partecipare al voto di fiducia, Vecchietti fu quindi deferito ai probiviri del partito. L’11 gennaio 1964 nasceva perciò il Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), di cui fu nominato segretario, forte di ventisei deputati, undici senatori e 117.895 iscritti. Per Vecchietti e i suoi seguaci fu una scelta obbligata (nonostante i dubbi del Partito comunista italiano - PCI), «imposta da quanti fuori e dentro il PSI hanno concepito la partecipazione di socialisti alla maggioranza di centro-sinistra non come un’azione tattica, ma un indirizzo strategico, la via più spedita per fare del PSI un partito socialdemocratico» (Una scelta obbligata, in Mondo nuovo, 1° dicembre 1963, p. 1). In effetti, agli inizi, nel clima politico degli anni Sessanta, di lotte sindacali e di movimenti giovanili, il nuovo partito mostrò una certa vitalità, pur nei contrasti e, spesso, nella contraddittorietà, delle diverse linee politiche che si potevano scorgere al suo interno, come si vide quando la sua proposta di un accordo per un’intesa elettorale al Senato con il PCI in vista delle elezioni politiche del maggio del 1968 (nelle quali il PSIUP ottenne il 4,45% dei voti, ventitré deputati e tredici senatori) passò solo a maggioranza negli organismi dirigenti. Le divisioni emersero con nettezza pochi mesi dopo, di fronte ai gravi avvenimenti della Cecoslovacchia, culminati con l’invasione sovietica e la fine della ‘primavera di Praga’. Nel suo intervento al comitato centrale del 22 settembre 1968 Vecchietti dovette riconoscere che l’intervento delle truppe del Patto di Varsavia aveva turbato il movimento operaio internazionale e respinse le accuse di reticenza. Un tema che si ripropose al secondo congresso del partito, quando il segretario, pur ammettendo l’esistenza di ritardi nella costruzione del socialismo nei Paesi del blocco sovietico, criticò le «impazienze» e le tendenze settarie che si erano manifestate su questi temi all’interno del partito, definendole «risposte sbagliate a problemi tuttavia esistenti» (PSIUP, 2° Congresso nazionale, 1969, p. 57). Vecchietti tentò comunque di cavalcare le lotte di massa di quel periodo, mostrando anche, però, una certa diffidenza, come apparve nel suo intervento al comitato centrale del 1°-3 ottobre 1969, in cui affermò che il loro successo era tutt’altro che scontato: bisognava anzi opporsi «alle tendenze a esaltare e promuovere l’autogestione delle lotte come forma spontanea, in opposizione al sindacato e al partito» (Il PSIUP sulle lotte, in Rassegna socialista, ottobre-novembre 1969, pp. 4 s.).
Le elezioni politiche anticipate del 7 giugno 1970 videro un netto arretramento del PSIUP, che raggiunse alla Camera solo il 3,2%, provocando un duro dibattito all’interno del comitato centrale svoltosi alla fine del mese, in cui Vecchietti attribuì la sconfitta a una serie di fattori diversi, dalla fase di stanchezza delle lotte alla rappresentazione del partito data dalla stampa, fino alle divisioni interne, tra filocinesi e filosovietici. Nel marzo del 1971 venne comunque rieletto segretario al III Congresso del partito; ma dopo l’ulteriore sconfitta alle elezioni amministrative del giugno dello stesso anno si presentò dimissionario al comitato centrale del 19-21 ottobre, venendo sostituito da Valori. Le nuove elezioni politiche anticipate del maggio del 1972 si tradussero in una vera e propria disfatta per il PSIUP che, nonostante i 648.591 voti (1,94%), non ottenne alcun seggio alla Camera. Al IV Congresso del partito, nel luglio del 1972, propose quindi la confluenza nel PCI, in cui entrò a far parte, seguito dalla maggioranza del partito, come membro della direzione. Nel 1976 fu eletto deputato nelle liste del PCI e, a partire dal 1979, venne invece eletto senatore, fino al 1987, anno in cui pubblicò il suo ultimo libro (L’individualismo nella società contemporanea: gli Stati Uniti, la Francia), una riflessione sull’individualismo nella società contemporanea, visto come conseguenza della crisi morale, sociale e politica innescata dal neoliberismo di Ronald Reagan e Margaret Thatcher.
Morì a Roma il 15 febbraio 1999.
Opere. Tre momenti dell’evoluzione giobertiana, in Rivista storica italiana, 31 marzo 1940, pp. 3-48; Il pensiero politico di Vincenzo Gioberti, Milano 1940; Nazionalità e stato nazionale, in Civiltà fascista, gennaio 1943, pp. 70-80; Le origini della democrazia in Italia: Mario Pagano, in Nuova Antologia, rivista di lettere, scienze ed arti, novembre 1945, pp. 245-263; Vincenzo Russo e le origini della democrazia in Italia, ibid., pp. 161-187; Creare nel Paese le condizioni per un’alternativa al centro-sinistra, Roma 1964; L’individualismo nella società contemporanea: gli Stati Uniti, la Francia, Roma 1987.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Carte Tullio Vecchietti; Archivio PSIUP; PSIUP, 1° Congresso nazionale. Roma, 16-19 dicembre 1965, Milano 1966; PSIUP, 2° Congresso nazionale. Napoli, 18-21 dicembre 1968, Milano 1969; PSIUP, 4° Congresso nazionale. Roma, 13-16 luglio 1972, Roma 1973.
S. Miniati, PSIUP 1964-1972. Vita e morte di un partito, Roma 1981, passim; M. Degl’Innocenti, Storia del PSI, III, Dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari 1993, ad ind.; S. Neri Serneri, Resistenza e democrazia dei partiti. I socialisti nell’Italia del 1943-1945, Manduria 1995, ad ind.; L. Solari, I giovani socialisti nel crocevia degli anni ’40, Roma 2009, passim; G. Scroccu, Il partito al bivio. Il PSI dall’opposizione al governo (1953-1963), Roma 2011, passim; A. Agosti, Il partito provvisorio. Storia del PSIUP nel lungo Sessantotto italiano, Roma-Bari 2013, ad ind.; Il PSIUP: la costituzione e la parabola di un partito (1964-1972), a cura di L. Andalò - D. Bigalli - P. Nerozzi, Bologna 2015, passim; T. Nencioni, La sinistra del PSI (1956-1963), in I riformismi socialisti al tempo del centro-sinistra 1957-1976, a cura di E. Bartocci, Roma 2019, pp. 259-312.