TULLIA D'ARAGONA
TULLIA D’ARAGONA. – Non si conoscono con certezza il luogo e l’anno di nascita. Quest’ultimo può essere ricostruito dai versi di Ercole Bentivoglio, che in un testo indirizzato a Tullia scrisse: «ch’abbiate lo spazio di sei brume / e di sei lustri omai vivendo corso» (Rime diverse..., 2001, p. 180); dal momento che Tullia approdò a Ferrara nel giugno del 1537 ed era già sicuramente partita nel novembre del 1540, si presume che sia nata tra il 1501 e il 1504. Secondo Girolamo Muzio nacque a Roma; nella sua egloga Tirrhenia, inclusa nel libro di rime di Tullia, scrisse: «Et non si convenia men chiaro loco / al gran concetto, e al glorioso parto, / che l’honorate piagge triomphali de l’almo Tebro» (The poems..., 2014, p. 178). La madre fu la ferrarese Giulia Pendaglia Campana, figlia di Orsino Pendaglia, mentre l’identità del padre rimane oggetto di discussione. In documenti senesi viene nominato Costanzo Palmieri d’Aragona, di Napoli, ma ancora Muzio attesta che Tullia fosse figlia di un cardinale di questa famiglia (ibid., p. 176), e quindi vari studiosi hanno ipotizzato che il matrimonio tra Giulia e Costanzo fungesse da copertura ai rapporti tra Giulia e il cardinale Luigi d’Aragona.
In giovane età Tullia si trasferì con la madre a Siena, come attestano documenti di archivio e anche un sonetto di Muzio: «visse in tenera etade presso a l’onde / del più bel fonte, che Thoscana honori» (ibid., p. 184), verso nel quale si coglie il riferimento alla senese Fontebranda. Nel novembre del 1518 la madre di Tullia sposò Africano Orlandini, figlio illegittimo di Mariano Orlandini, membro di una nobile famiglia senese con origini a Sinalunga; a gennaio lo zio di Africano, Girolamo, donò al nipote un terzo di una casa situata in piazza Tolomei a Siena, con una clausola specifica che lo obbligava a consegnare 600 fiorini d’oro a Tullia qualora Africano fosse morto prima dello zio.
Non si conosce la data di ritorno di Tullia a Roma, ma già negli anni 1523-24, in occasione di una sua visita in questa città, Philippe Verdelot scrisse due madrigali, Non mai donna più bella e Ardenti miei sospiri, in cui Tullia viene nominata e che contengono riferimenti espliciti a Roma. In questi anni Tullia avviò un rapporto duraturo con il banchiere fiorentino Filippo Strozzi; nel giugno del 1526, da Roma, Filippo scrisse a Francesco Vettori («Non negherò di non passare tempo volentieri con Tullia» (Bardi, 1894, p. 46), rivelando una frequentazione abituale in atto da tempo. Questo rapporto sarebbe terminato solo nel luglio del 1537, quando Filippo lasciò Ferrara, dove si trovava con Tullia, per la battaglia di Montemurlo, durante la quale fu catturato e poi imprigionato nella Fortezza da Basso a Firenze, dove morì suicida nel dicembre del 1538.
Negli anni Venti Tullia potrebbe avere vissuto soprattutto a Roma, anche se una poesia di Ludovico Martelli (cfr. The poems..., 2014, p. 247) indica una sua presenza a Firenze prima del 1527-28, supposto anno della morte di lui. Nel novembre del 1531, da Roma, Filippo scrisse invece a Zanobi Bracci a Firenze per annunciare: «io non sarò costì così presto, ché la Tullia, se io vo seco in questa primavera a Vinetia, ne ha promisso venirsene poi meco costì e starsi tutta l’estate» (Bardi, 1894, p. 46 n.). Non si sa con esattezza quando Tullia sia giunta a Venezia.
Durante gli anni Trenta le doti artistiche e intellettuali di Tullia cominciarono a essere riconosciute: il cardinale Ippolito de’ Medici ammirò il suo «dolce canto» e dichiarò che «in voce dolcemente spiri / il suon ch’avanza ogni mortal costume» (The poems..., 2014, p. 247). Giulio Camillo (1560), forse dopo il suo ritorno dalla Francia nel 1534, la omaggiò come «donna, che col gran Tulio andate a paro / del nome, e del bel dire facondo e raro / l’aurea, felice, e preciosa vena» (p. 270). Elogi per le sue qualità intellettuali e retoriche giunsero anche da Bernardo Tasso e Jacopo Nardi; quest’ultimo le dedicò nel 1537 la traduzione di un’orazione di Cicerone. Alle lodi si contrapposero le critiche: quelle di Pietro Aretino sono note, ma Tullia fu anche ricordata in La tariffa delle puttane di Venegia, poemetto satirico pubblicato nell’agosto del 1535.
Tullia giunse a Ferrara nel giugno del 1537; probabilmente al soggiorno ferrarese risale l’incontro con alcuni letterati con i quali Tullia avrebbe intrattenuto, successivamente, una corrispondenza poetica: Ercole Bentivoglio, Giulio Camillo, Pietro Bembo e, soprattutto, Girolamo Muzio. A Ferrara Tullia fu sempre in compagnia di Filippo Strozzi, in una fase di tumulti che seguì l’assassinio del duca di Firenze Alessandro de’ Medici il 6 gennaio 1537. Bernardino Duretti, spia del nuovo duca Cosimo I, affermò, a metà luglio del 1537, che Filippo fece «venire in Ferrara la sua sig.ra Tullia e con quella si sta in Ferrara a darsi piacere, curandosi poco delle cose di Firenze» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, H filza 3093, c. 25v). Dopo pochi giorni Filippo sarebbe partito per Firenze dove i fuoriusciti si decisero a dare battaglia per ristabilire la repubblica. Quanto Tullia rimase a Ferrara dopo la partenza di Strozzi non è dato sapere, benché Battista Stabellino racconti che rientrò a Roma al termine della permanenza ferrarese.
Sembrerebbe tornata a Roma tra il novembre del 1540 e il gennaio del 1541, quando inviò tre sonetti all’Accademia degli Umidi in lode del duca Cosimo e di sua madre Maria Salviati: il manoscritto precisa che il primo sonetto fu «mandato di Roma» (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VII 195, ora II IV 1, cc. 75r-76r). Nell’agosto dello stesso anno l’avvocato udinese Cornelio Frangipane scrisse un Dialogo d’amore (Venezia 1588) ambientato nella casa veneziana di Tullia, dichiarando, nella lettera di dedica, che la conversazione riportata nel dialogo si era svolta nel mese precedente.
Nel febbraio del 1543 Tullia visse a Roma in una casa a Monti, vicino a S. Lucia in Selci; ad aprile intentò una causa contro Girolamo Orlandini a Siena per la dote stabilita nel gennaio del 1519; questa controversia andò avanti in varie curie senesi per qualche anno fino a quando, nell’aprile del 1545, a Tullia fu riconosciuta la somma di 600 fiorini d’oro al valore dell’anno in corso. Durante questa fase, e probabilmente per stipule contrattuali legate all’eredità, Tullia sposò a Siena l’8 gennaio 1544 il ferrarese Silvestro Guicciardi.
Nel giugno dello stesso anno fu denunciata a Siena per aver indossato nel giorno di Pentecoste una sbernia (un mantello femminile di stoffa pregiata, talvolta decorata con pelliccia, vietato alle cortigiane), e condannata a pagare 250 fiorini. Nel suo appello dichiarò che il fatto non sarebbe sussistito in quanto forestiera e sposata; nel febbraio del 1545 venne esentata per aver condotto «vitam honestissimam» (Archivio di Stato di Siena, Gabella, 758, cc. 12v-14r).
I tumulti di Siena spinsero Tullia alla nomina di un procuratore (si presume per riscuotere la somma riconosciutale), prima di trasferirsi a Firenze, probabilmente nel marzo del 1546. Ad agosto scrisse a Benedetto Varchi dalla campagna nei pressi di Firenze, facendo riferimento al suo dialogo, il che lascia presumere che a quell’epoca il testo fosse più o meno completato: riferimenti intratestuali ne collocherebbero la stesura nel 1545. Sette lettere autografe di Tullia indirizzate a Varchi tra l’agosto del 1546 e l’ottobre del 1548 documentano la permanenza, probabilmente ininterrotta, a Firenze, dove intraprese scambi poetici con alcuni esponenti dell’Accademia degli Umidi (poi Fiorentina) e della corte di Cosimo I (oltre a Varchi, Antonfrancesco Grazzini, Simone Porzio, Niccolò e Ugolino Martelli, Benedetto e Alessandro Arrighi e Lattanzio Benucci).
A Firenze Tullia fu accusata di non rispettare le leggi suntuarie; per difendersi inviò una supplica alla duchessa di Firenze, insieme a un capitolo indirizzato al duca Cosimo intitolato Su una prammatica sul vestire delle donne fatta dal Duca, testo scritto probabilmente da Lattanzio Benucci. Il 1° maggio 1547 ne fu dichiarata esente per «ricognoscere la rara scienzia di poesia et filosofia, che si ritrova con piacer de’ pregiati ingegni la dotta Tullia Aragona» (Archivio di Stato di Firenze, Luogotenenti e Consiglieri di S. E. il Duca di Firenze, Deliberazioni, ad annum).
Prima della fine dell’anno Gabriele Giolito pubblicò a Venezia il dialogo Della infinità di amore e le Rime della Signora Tullia di Aragona e di diversi a lei. Nella dedica al duca Cosimo, Tullia accenna ai benefici ricevuti. Muzio introduce il testo spiegando di averlo pubblicato all’insaputa di Tullia e di aver mutato il nome della interlocutrice da Sabina, come era nella copia in suo possesso, in Tullia. Il testo delle Rime, invece, fu dedicato alla duchessa Eleonora e il suo terminus ante quem è il 5 luglio 1547, data di nascita del principe Garzia. La raccolta contiene numerose poesie, oltre agli scambi con altri poeti e a componimenti dedicati a Tullia da diversi autori nei decenni precedenti; per questa ragione le Rime possono essere definite un’antologia corale più che un canzoniere in senso stretto.
Nell’ottobre del 1548 Tullia lasciò Firenze e nel 1549 fu registrata nella Tassa delle cortigiane di Roma, a Campo Marzio, vicino a palazzo Carpi.
Continuò a scrivere e pubblicare poesie tra il 1550 e il 1556. Alcune di esse furono edite in sillogi collettive: nel Libro primo delle rime spirituali (1550), nel Sesto libro delle rime di Girolamo Ruscelli (1553) e nelle Rime di diversi et eccellenti autori (1556). Nel gennaio del 1551 Tullia scrisse a Margherita d’Austria pregandola di ringraziare a suo nome il cardinale Alessandro Farnese, cognato di Margherita, per la pensione che le aveva concesso.
A Roma Tullia fece l’ultimo testamento il 2 marzo 1556, che venne aperto pochi giorni dopo, il 14 marzo. Lasciò unico erede il figlio Celio sotto la tutela di Pietro Ciocca, scalco del cardinale Luigi Cornaro.
Dopo il 3 agosto 1560 fu pubblicato dai Sessa a Venezia un poema epico di Tullia intitolato Il Meschino, altramente detto il Guerrino con dedica di Claudio Rinieri a Giulio della Valle, probabilmente curato da Ruscelli, il quale firmò la fede di stampa del poema. Si tratta di una trasposizione in ottave, con varie interpolazioni originali, dell’opera omonima di Andrea da Barberino. Dalla fine dell’Ottocento, però, qualche critico ha messo in dubbio che Tullia ne fosse davvero l’autrice.
Due ritratti raffigurerebbero Tullia: uno di Moretto da Brescia alla Pinacoteca Tosio Martinengo e l’altro di Sebastiano del Piombo della collezione del Longford Castle in prestito permanente alla National Gallery di Londra. In entrambi i casi la donna raffigurata indossa una sbernia, ma nel primo caso lo sfondo è di alloro, a segnalarne le doti poetiche.
Opere. Dialogo della signora Tullia d’Aragona della infinità di amore, Venezia 1547; Rime della Signora Tullia d’Aragona, et di diversi a lei, Venezia 1547; Il sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori, nuovamente raccolte et mandate in luce, con un discorso di G. Ruscelli, Venezia 1553, ad ind.; Il Meschino, altramente detto il Guerrino, Venezia 1560; Il Meschino detto il Guerrino, Venezia 1839; Della Infinità d’amore, Milano 1864; Le rime di Tullia d’Aragona cortigiana del secolo XVI, Bologna 1891; G. Ballistreri, Una corrispondenza poetica di Tullia d’Aragona, in Il Mamiani, III (1968), pp. 28-40; The poems and letters of Tullia d’Aragona and others. A bilingual edition, a cura di J.L. Hairston, Toronto 2014.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Siena, Notarile antecosminiano, 696, c. 54, 1107, c. 1315, 2209, c. 824, 2357, c. 207; Gabella 341, f. 105; Gabella 758, cc. 12v-14r; Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, V, 1209, cc. 82, 197; Roma, Archivio storico capitolino, sez. 1, vol. 593/7, c. 150r; Archivio di Stato di Roma, Notai dell’Auditor Camerae, 4516, cc. 66r-67v e 6298; Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VII 195, ora II IV 1, cc. 75r-76v; Archivio di Stato di Mantova, AG b. 1251, cc. 191r-192v; Archivio di Stato di Venezia, Riformatori dello Studio di Padova, f. 247.
G. Camillo, Opere..., I, Venezia 1560, p. 270; G.B. Niccolini, Filippo Strozzi, Firenze 1847, pp. 185 s.; G. Biagi, Un’etèra romana. T. d’A., in Nuova Antologia, s. 3, IV (1886), 16, pp. 655-711; S. Bongi, Annali di Gabriele Giolito de’ Ferrari, I, Roma 1890-1896, pp. 150-199; A. Bardi, Filippo Strozzi (da nuovi documenti), in Archivio storico italiano, XIV (1894), p. 46; Catalogo della Biblioteca del fu Prof. Costantino Corvisieri, a cura di F. Tonetti, II, Roma 1901, p. 374; E.H. Ramsden, Concerning a portrait of a Lady, come, take this lute. A quest of identities in italian Renaissance portraiture, Bath 1983, pp. 95-110; P. Verdelot, Madrigals for four and five voices, a cura di J.A. Owens, New York 1989, pp. 75-83; F. Bausi, Con agra zampogna. T. d’A. a Firenze (1545-48), in Schede umanistiche, II (1993), pp. 61-91; Rime diverse di molti eccellentissimi autori (Giolito, 1545), a cura di F. Tomasi - P. Zaja, Torino 2001, p. 180; P. Simoncelli, Fuoriuscitismo repubblicano fiorentino, 1530-54, Milano 2006, p. 318; J.L. Hairston, Di diversi a lei: l’antologia corale di T. d’A., in Scrivere lettere nel Cinquecento: corrispondenze in prosa e in versi, a cura di L. Fortini - G. Izzi - C. Ranieri, Roma 2016, pp. 173-184; M. Favaro, L’autorità di Petrarca e la lontananza dell’amante: il caso del Dialogo d’amore (1588) di Cornelio Frangipane, in Interdisciplinarità del petrarchismo: prospettive di ricerca fra Italia e Germania, a cura di M. Favaro - B. Huss, Firenze 2018, pp. 17-33; J.L. Hairston, L’attribuzione de Il Meschino, altramente detto il Guerrino di T. d’A.: alcuni documenti, in RR. Roma nel Rinascimento, 2018, pp. 419-439.