MARULLI, Troiano (Trojano)
– Nacque ad Ascoli Satriano, in Capitanata, il 2 dic. 1759 da Sebastiano, duca di Ascoli, e da Maria Giuseppa Carafa dei duchi di Calvello.
Il padre discendeva da un’antica famiglia di origine pugliese, insignita nel 1679 del titolo ducale di Ascoli, poi stabilitasi a Napoli dove nel 1788 era entrata nel «sedile» di Portanova.
La comune passione per la caccia fornì al M. l’occasione per entrare in contatto con il re Ferdinando IV di Borbone, che lo prese a benvolere e lo ammise alla vita di corte, nominandolo successivamente gentiluomo di camera (1794), capitano comandante di cavalleria, proprio aiutante di campo (1798) e tenente colonnello nelle milizie di cavalleria (1799). Nel 1798 gli affidò anche alcune missioni all’estero e il M. seguì il sovrano nella ingloriosa spedizione per liberare Roma dall’occupazione francese. Si diffuse allora la leggenda che nella ritirata verso Napoli Ferdinando IV avesse scambiato i suoi abiti con quelli del M. fino all’arrivo nella reggia di Caserta.
Tale pittoresco particolare appare poco verosimile, data la differente statura dei due uomini, piccolo e snello il M., decisamente robusto il sovrano. Subito dopo, con il Regno invaso dai Francesi, il M. dimostrò la propria fedeltà al re seguendo lui e la sua corte a Palermo e lasciando nella capitale la moglie Maria Gratimola Filomarino della Torre, i sette figli e l’anziana madre (Roma, Arch. privato Marulli, T. Marulli, Memorie, c. 242r). La fuga in Sicilia lo costrinse tuttavia a interrompere ogni contatto con il feudo di Ascoli Satriano, lasciato all’amministrazione di A. Forni e M. Gallo che, all’insaputa del M., si contraddistinsero per una gestione dispotica del potere, degenerata nella sanguinosa repressione del governo municipale ricordata come «la strage dei galantuomini».
Durante la Repubblica napoletana il M. svolse un importante ruolo di raccordo tra il re e la regina, soprattutto nei mesi della riconquista sanfedista, informando con un carteggio segreto Maria Carolina d’Asburgo Lorena della salute del marito, impegnato nella riconquista del Regno. In questo frangente il M. raccolse sempre con cauta prudenza le sollecitazioni della sovrana alla repressione, astenendosi dall’incoraggiare esplicitamente le insurrezioni popolari per le quali provava una connaturata diffidenza, dovuta alla sua sfiducia nei confronti di ogni movimento che non fosse sottoposto al controllo istituzionale. Dopo la restaurazione la fedeltà del M. non fu dimenticata dal re, che lo nominò cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di S. Ferdinando e del Merito (1800), primo cavallerizzo ordinario (1800), aiutante reale (1801) e consigliere, con altri sette membri, di quel Supremo tribunale conservatore della nobiltà (1800), presieduto dal marchese Michele del Vasto, volto a ridimensionare i poteri dell’aristocrazia municipale e a regolare l’accesso delle famiglie nobili napoletane nel Libro d’oro, in luogo dei soppressi sedili.
Per guidare nel Regno liberato un’efficace lotta al brigantaggio e ai rei di Stato, il M. fu poi nominato, con real dispaccio del 22 sett. 1801, vicario generale nelle province di Matera, Lucera, Trani e Lecce con «facoltà dell’alter ego» e ampi poteri militari e amministrativi. In sostituzione dei visitatori, che furono aboliti, il M. si occupò in prima persona dello svolgimento delle inquisizioni, combattendo contro l’inefficienza del sistema giurisdizionale delle udienze, nelle quali egli vedeva «poca o niuna premura» nello «spedire le cause e punire esemplarmente» (Ibid., Carteggio di S.M. Ferdinando, c. 19r).
Influenzato dalle riforme teorizzate da G.M. Galanti, il M. riordinò le strutture del governo periferico, nella convinzione che i giudici locali dovessero comportarsi come i ministri di Polizia delle «metropoli» e «attaccarsi» al governo centrale in maniera gerarchica con «vincoli indissolubili».
Divise allora ogni provincia in sei o sette «riparti», assoggettati alle dipendenze di un «caporiparto» e di un governo regio, dotati di una squadra addetta al pattugliamento delle singole corti, per contrastare i delitti e ridurre «il continuato armamento delle popolazioni». Obbligò, quindi, le forze di polizia a dettagliati resoconti scritti da indirizzare alle Udienze e al direttore di polizia a Napoli, che provvedevano a informare direttamente il re. Con una precisa valorizzazione dei tribunali regi a scapito di quelli baronali, il M. impose una organizzazione strutturata e capillare delle forze locali, per assicurare il «buon ordine», con uno stretto controllo delle categorie più a rischio (perturbatori, sospetti, detentori di armi e giacobini), per la tutela dell’ordine pubblico (De Martino, 2003, pp. 57-61).
Consapevole dell’importanza della cognizione criminale nella prevenzione dei delitti, il M., durante la sua attività di vicario, si occupò personalmente dell’analisi delle carte processuali relative ai provvedimenti criminali con un serrato studio di tutti i giudizi pendenti presso le regie udienze, di cui regolò speditamente il corso con la trasmissione degli atti sospesi e l’esecuzione dei procedimenti maturi per la decisione.
La procedura utilizzata per la repressione del banditismo nelle province era quella «ad modum belli et per horas», che consentiva l’immediata apertura del processo nei confronti del reo, senza necessità di riti formali da parte del M., cui arrivava puntuale l’apprezzamento del sovrano per lo «zelo» e la «prudenza» mostrati con i suoi sbrigativi metodi processuali (Carteggio di S.M. Ferdinando, c. 35r).
Proprio la positiva attività svolta dal M. nelle province fu alla base dell’estensione della riforma a tutto il Regno e del conseguente reale decreto 11 maggio 1803 con il quale egli fu nominato sovrintendente generale della polizia e della giustizia criminale della città di Napoli.
Come sovrintendente il M. esercitò le sue funzioni nella capitale e nelle province, assistito da un capo della polizia in luogo del direttore, di cui veniva disposta l’abolizione. Riorganizzazione degli apparati di giustizia criminale, ispezione sulla Gran Corte della Vicaria e organizzazione sul campo delle forze militari in concorso con quelle politiche erano le incombenze che venivano indicate al M. per garantire un deciso controllo dell’ordine pubblico nella città e nel Regno. In esecuzione delle disposizioni inevase della regia prammatica 1798 gli fu infine richiesta espressamente un’opera di semplificazione normativa, con la conseguente redazione di un codice di polizia criminale per la città di Napoli, che avrebbe dovuto uniformare e rendere efficace il controllo dell’ordine pubblico partenopeo (Arch. di Stato di Napoli, Ministero degli Affari esteri, inc. 56, Reale decreto, cc. 2v-7r).
Il M. riorganizzò l’attività degli ispettori e delle squadre di polizia sui dodici quartieri di Napoli (ulteriormente divisi in rioni), controllati da un giudice con l’utilizzo di estesi poteri di prevenzione, controllo e punizione sulla popolazione, per la difesa del ius promovendae salutis. Rafforzò, inoltre, il controllo politico e ideologico sulla città concentrando l’attività poliziesca su determinate categorie di soggetti (sospetti, stranieri, giacobini) considerati socialmente pericolosi e quindi perseguibili in maniera preventiva. La sovrintendenza del M. era obbligata a numerosi rapporti al re e ai ministri, sebbene spesso avesse la cognizione esclusiva di molti delitti – in materia di vagabondaggio, giochi proibiti, ladri in flagranza, risse, luoghi pubblici, porto d’armi, «gamorristi» – considerati reati di «bassa criminalità», per i quali il M. si sostituiva liberamente al tribunale ordinario, esercitando di fatto un ruolo giurisdizionale e cognitivo e ricorrendo ove necessario a rapidi «processi verbali» (Ibid., inc. 79, Relazione, cc. 5r-6v).
Affermando la propria opposizione ai fori speciali e particolari, che deterioravano l’idea stessa di un controllo criminale centrale e autorevole, il M. ribadì la netta separazione tra Gran Corte della Vicaria e giudizi dei giudici di quartiere, le cui cause continuarono a celebrarsi in aule separate, stabilendo per i processi di polizia la possibilità di un giudizio di secondo grado (o riesame) da inoltrare al capo o al sovrintendente.
Nella sua attività di controllo sul territorio il M. – divenuto primo cavallerizzo e tenente colonnello dei reali eserciti (1803) – si distinse nelle operazioni di soccorso a Napoli durante il terribile terremoto di S. Anna del 26 luglio 1805, in cui fu impegnato a garantire la sicurezza e l’ordine pubblico nei quartieri.
L’originale attività di riforma così avviata e i progetti di codificazione subirono un brusco arresto con l’occupazione francese (febbraio 1806), quando il M. abbandonò di nuovo la sua famiglia, che subì la confisca dei beni e la carcerazione a S. Elmo. Egli seguì, invece, i sovrani in Sicilia, partecipando come colonnello generale della guardia reale alla fallita impresa di Leopoldo, principe di Salerno, a Cadice (1808), nel tentativo di riconquista del trono spagnolo da parte dei Borboni, e a Procida (1809) nella spedizione antifrancese. Rifiutata decisamente ogni collaborazione con il governo di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, il M. sconsigliò a Ferdinando IV l’ipotesi di una seconda rivolta di matrice sanfedista, come invece era vivamente auspicato dalla regina. Contrario per principio a un’evoluzione di tipo liberale, come consigliere di Stato cercò di mediare tra il re e le istanze costituzionali siciliane del 1812, fino a quando lord W. Bentinck, per favorire i lavori del neoconvocato Parlamento e garantire la reggenza del più duttile principe Francesco, chiese e ottenne l’esilio del M. a Cagliari.
Dopo l’esilio sardo, nel 1815 il M. tornò a Napoli, dove fu nominato cavallerizzo maggiore, tenente generale, governatore di Napoli e delle Province (1815). Fu quindi insignito della Gran Croce dell’Ordine di S. Leopoldo (1819) e dell’Ordine di S. Giorgio della Riunione e nominato cavaliere dell’Ordine della Concezione di Spagna, incarichi e onorificenze che conservò durante i moti del 1820 e del 1821, quando fu sospettato, salvo essere immediatamente scagionato, di simpatie per i rivoluzionari.
Il M. morì a Napoli il 19 maggio 1823.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. privato Marulli d’Ascoli, Mss., fascio 41: Carteggio di d. Maria Carolina d’Austria con il duca d’Ascoli, Lettera della regina Maria Carolina al duca d’Ascoli, c. 27r; fascio 43: Carteggio di S.M. Ferdinando IV re delle Due Sicilie, S.A.R. il principe ereditario d. Francesco, e la regina donna Maria Carolina d’Austria, con il duca d’Ascoli Trojano Marulli durante la di costui commissione di vicario generale, e comandante generale delle armi nelle Province di Puglia e Basilicata nel 1801 e 1802, cc. 17r, 19r, 21r, 29v, 35r, 37v, 39r, 49r; T. Marulli, Memorie istoriche della famiglia Marulla (1804-48), cc. 240v-246r; Maria Carolina d’Asburgo, Novità successe all’ingrosso esposte dai 16 genn. 1812, fascio 8, cc. 93r-100v; Arch. di Stato di Napoli, Borbone, Affari di Spagna, fascio 295; Ministero degli Affari esteri, fascio 3577, Dispaccio per i regolamenti ed istruzioni per la disciplina di carrozze e vetture nella capitale (1803), c. 1r; fascio 3577, inc. 51: Dispacci del sovrintendente di polizia Troiano Marulli, cc. 1, 3r, 5, 7, 9r, 11r, 13; inc. 56: Reale decreto per la nomina del sovrintendente generale di polizia (11 maggio 1803), cc. 1r-10v; inc. 79: Relazione del sovrintendente di polizia T. M. d’Ascoli, cc. 1r-9r; fascio 137, inc. 128: Ministero di polizia, Reale editto per la conservazione della nobiltà. Calendario e notiziari della Corte per l’anno 1795, Napoli 1795, p. 64; Calendario… per l’anno bisestile 1804, ibid. 1804, p. 76; Almanacco reale della Sicilia per l’anno 1818, Napoli 1818, pp. 72, 320, 340; G. Ventura, Elogio funebre di T. M. duca di Ascoli, Napoli 1823, pp. 2-26, 31 s., 54 s.; T. Vulpes, All’onorata memoria del duca d’Ascoli don T. M., Napoli 1823, pp. 5-8; F. De Iorio da Paternò Castello, Cavalier T. M. duca d’Ascoli, in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, XIII, Napoli 1828, pp. 91-104; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli. Dal 1734 sino al 1825, Capolago 1834, I, pp. 292 s., 448 s.; II, pp. 414, 425, 489; N. Palmieri, Saggio stor. e politico sulla costituzione del Regno di Sicilia infino al 1816, con un’appendice sulla rivoluzione del 1820, Losanna 1847, pp. 108 s.; F. Helfert, Memorie segrete. Des Freiherrn Giangiacomo von Cresceri Enthüllungen über den Hof von Neapel 1796-1816, in Sitzungsberichte der philosophisch-historischen Classe der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften (Wien), 1892, vol. 127, pp. 161-164, 173, 178, 193 s., 202, 205, 226 s.; P. Pieri, Il Regno di Napoli dal luglio 1799 al marzo 1806, Bari 1924, II, pp. 217-234; G. Savarese, Tra rivoluzioni e reazioni: ricordi su Giuseppe Zurlo (1759-1828), a cura di A. Romano, Torino 1941, pp. 71-73; A. Valente, Gioacchino Murat e l’Italia meridionale, Torino 1965, pp. 18, 85-87, 102, 131, 147, 215, 250, 370; A. De Martino, Antico regime e rivoluzione nel Regno di Napoli, Napoli 1972, pp. 24-26, 59-63, 114-124; H. Acton, I Borboni di Napoli, 1734-1825, Firenze 1985, pp. 345 s., 530, 573, 592, 609, 654, 657, 660, 756; A. Coletti, La regina di Napoli, Novara 1986, pp. 237, 287; G. Alessi, Giustizia e polizia. Il controllo di una capitale. Napoli 1779-1803, Napoli 1992, pp. 133-170, Id., Ad modum belli. Il governo delle province napoletane tra antiche segreterie e nuovi ministeri, in Frontiere d’Europa, 1995, n. 2, pp. 127-178; P. Franzese, L’organizzazione della polizia a Napoli e l’Arch. del ministro della Polizia generale, in Napoli nobilissima, s. 5, V (2002), pp. 21-32; A. De Martino, Giustizia e politica nel Mezzogiorno. 1799-1825, Torino 2003, pp. 55-81; M. Vanga, I Marulli d’Ascoli e l’Arch. stor. di famiglia, in Manoscritti, editoria e biblioteche dal Medioevo all’Età contemporanea. Studi offerti a Domenico Maffei per il suo ottantesimo compleanno, a cura di M. Ascheri - G. Colli, Roma 2006, pp. 1334-1356.