TRIVULZIO, Gian Giacomo detto il Magno
– Nacque a Crema il 24 giugno 1442, secondo dei tre figli di Antonio, condottiero milanese, e di Franceschina Aicardi Visconti, di famiglia di recente nobiltà. Il luogo di nascita è attestato dal cremasco Pietro Terni, suo segretario (Historia, 1964, p. 27), la data dal pronostico astrologico, stampato da Girolamo Cardano (1547, c. 136).
Incerto se il padre, animatore della Repubblica ambrosiana nel 1447, ma poi fautore di Francesco I Sforza nel 1450, o il parentado l’abbia affidato al duca. Sicuro è che questi, per rinsaldare in fedeltà il loro casato, principale tra i guelfi, lo accolse quale «conturberale» del figlio ed erede Galeazzo: introdotto indi alle lettere dall’umanista Guiniforte Barzizza, fu avviato alle armi sotto la guida del duca stesso e di Donato Borri, detto del Conte, al campo contro Venezia, dal 1452.
Esordiente nell’aiuto a Genova ribelle a Carlo VII re di Francia nel 1461, s’illustrò nel soccorso a Luigi XI per la guerra del Bene pubblico nel 1465 con Galeazzo, ritornando con costui alla morte di Francesco I e contribuendo a salvarlo dall’agguato di fazionari di potenze nemiche a Novalesa nell’aprile del 1466. Consacrato durante un conflitto con veneziani ed esuli fiorentini dalla vittoria di Molinella del 25 luglio 1467 su Bartolomeo Colleoni e dall’elogio di Federico III di Montefeltro – «li novi cazano li vechij» (Gian Giacomo Trivulzio. La vita giovanile, 2013, p. 85) –, si segnalò nelle guerre del Monferrato e Brescello del 1468, attirandosi le invidie del già «conturbernale» Galeazzo Sforza. Per levarsi dall’ambiente ostile e imitare una devozione da poco tornata in auge otto anni dopo si portò in pellegrinaggio in Terrasanta, tornando in tempo per partecipare alla spedizione di Piemonte e assistere a Milano all’assassinio del duca il 26 dicembre 1476.
Capo della fazione guelfa, alleato di Cicco Simonetta, primo segretario della Cancelleria ducale venne aggregato il 3 gennaio 1477 dalla duchessa vedova Bona di Savoia al Consiglio di reggenza del figlio Gian Galeazzo e guidò l’esercito nei conflitti dei Pazzi del 1478 e poi di Genova del 1479 contro gli ambiziosi zii del duca minorenne, attirandosi l’inimicizia di Ludovico Sforza, il Moro. Riammesso quell’anno a Milano da Bona, Sforza non perdette circostanza per mandare Trivulzio incontro a potenziali rovesci contro i Rossi di San Secondo nel Parmense, poi contro Venezia nel Ferrarese dal 1482, ma dovendo assistere ai suoi continui successi, sino alla regia della pace di Bagnolo del 7 agosto 1484.
Di fatto esiliato a Napoli dal 1485, sotto il pretesto d’assistere Ferdinando I di Trastamara contro i baroni ribelli, si distinse cogliendo trionfi, gloria, prebende: elevato a conte di Belcastro dal re e governatore delle milizie dal figlio Alfonso, restato vedovo di Margherita Colleoni parente pavese del condottiero – sposata nell’agosto del 1466, morta il 18 dicembre 1483 –, gli venne destinata il 22 aprile 1487 per nuova consorte Beatrice d’Avalos d’Aquino, figlia e sorella di gran camerlenghi del Regno. Gettato ancora allo sbaraglio da Ludovico, senza soldati né danari, nella spedizione contro Boccolino Gozzoni, tiranno d’Osimo, pagandosi in proprio genti d’arme, lo indusse alla resa, restituendo il 2 agosto 1487 la città a papa Innocenzo VIII ma, ricaduta della riuscita e della fama, inimicandosi del tutto il Moro.
Questi determinò tuttavia – indirettamente, con la sua politica spregiudicata tesa a sostituirsi al nipote Gian Galeazzo, isolato, colpendone nonno e padre della moglie, Isabella di Trastamara, ossia Ferdinando I e il futuro Alfonso II – la svolta più significativa nella carriera del proprio avversario. Incitata da Ludovico, la calata di Carlo VIII nel Napoletano mise Trivulzio davanti a scelte pressoché obbligate: contrario ad abbandonare gli Aragonesi, ai quali era stato proprio da lui accreditato, confiscato dei beni dal duca durante la diversione antifrancese del 1494 nelle Romagne, disorientato dall’abdicazione di Alfonso II e, secondo fonti credibili, autorizzato da Ferdinando II, passò al servizio del re di Francia, da lui tratto in salvo nella ritirata vincendo lo scontro di Fornovo del 6 luglio 1495.
Il cambio di fronte, molesto al Moro per l’autorità conseguita e da costui censurato – benché, essendo formalmente alleato di Carlo VIII, solo per non avergliene richiesta licenza –, rilanciò Trivulzio, stendendo tuttavia su di lui l’ombra del ‘tradimento’, incongrua quanto persistente. Nominato cavaliere di Saint-Michel e governatore di Asti nel 1496, per riappropriarsi dei beni nel Milanese si pose la mira di rovesciare il duca: spalleggiato dai francesi, seguitò a inquietarlo sin a riuscirvi guidando l’esercito di Luigi XII nuovo re di Francia alla conquista dello Stato nel settembre del 1499. Creato maresciallo di Francia, marchese di Vigevano, luogotenente generale, giunto all’apice della fortuna si trovò pure subito esposto a recriminazioni per avere largheggiato nelle prebende alla fazione guelfa, benché con meno parzialità di quanto si tramandi, e reintrodotto su ordine regio dazi e taglie già aboliti.
Al ritorno del Moro nel gennaio del 1500, insorta Milano, la stella di Trivulzio subì una momentanea eclisse, indicato dai ghibellini istruiti dal giurista Girolamo Morone quale unico obiettivo della rivolta, ferma invece la fedeltà a Luigi XII. Costui tuttavia, conscio delle reali responsabilità nei disordini, non gliene diede gran carico: mai riammesso al rango di luogotenente, ne esercitò di fatto gli uffici dietro il paravento dei titolari. Protagonista delle spedizioni contro i Confederati svizzeri invasori nel 1501, 1503, 1510 e 1511, della riconquista di Genova ribellatasi nel 1507, e dei conflitti contro Massimiliano I nel 1508 e Venezia dal 1509, all’incalzare di una successiva coalizione veneto-ispano-elvetico-pontificia dovette ritirarsi in Francia con l’esercito, mentre il suo unico figlio legittimo superstite Gian Nicolò, avuto da Colleoni, si spegneva a 33 anni di mal francese a Torino il 7 luglio 1512.
Fallito, anche per dissidi con il collega Louis II de La Trémoïlle, il primo tentativo di riprendere il Milanese, subendo una bruciante sconfitta dagli svizzeri a Novara il 6 giugno 1513, acceduto al trono Francesco I valicò con lui le Alpi, piombò su Milano e riconquistò lo Stato, sbaragliati gli elvezi occupanti il 14 settembre 1515 a Marignano. Assoldato dai veneziani tornati alleati per riavere Brescia, in mani aragonesi, si distinse poi nella difesa di Milano dall’assedio imperiale nel 1516, ma, inviso al luogotenente generale Odet de Foix, visconte di Lautrec, con mire sui suoi pingui feudi nel Vigevanasco, si avviò al declino accelerato da vicende connesse alla successione nello Stato trivulziano allestitosi nel tempo.
Difatti, comprata nel 1480 nei Grigioni la Mesolcina, con titolo comitale e privilegio imperiale del 1487 di batter moneta, il Rheinwald e il Safiental nel 1493 – alleati alla Lega grigia dal 1496 –, vi aveva unito valle San Giacomo e Chiavenna nel 1500, e Musso nel 1508, tenendo i passi San Bernardino, Spluga, Septimer, Maloja e la strada per il Trentino, caso raro di formazione inoltre di uno Stato in modo pacifico. Perduto ora il figlio, designato successore il nipote Gian Francesco, eletti a difesa i grigioni – della Lega era barone – e gli svizzeri – essendo cittadino dei Cantoni Lucerna dal 1513 e Uri dal 1518 –, disgustato dalla disinvolta cessione francese del suo Chiavennasco alle Leghe grigie per poter sottoscrivere la Pace perpetua di Friburgo, il 29 novembre 1516, e per parare gli appetiti francesi su Vigevano, venne callidamente imputato da Lautrec di volersi render «cantone de Sguizari».
Vecchio, stanco, malato dovette quindi portarsi a corte a giustificarsi e, accolto con freddezza, mal assistito da agenti svizzeri e grigioni – da cui ulteriore ira del re, rinfocolata dall’adesione ai Cantoni del conte Ludovico Borromeo per torti attribuiti ai francesi –, fu convinto a cassare le volontà filoelvetiche. Aggravatosi il mal della pietra sofferto da anni, di lì a poco Trivulzio morì a Chartres il 5 dicembre 1518. La salma, condotta a Milano, fu onorata con solenni esequie il 19 gennaio 1519 per consiglio di papa Leone X a Francesco I, sì da tacitarne casato e fazione in subbuglio per l’affronto subito dal condottiero.
Personalità sfaccettata di soldato alieno da brutalità, lettore di classici e committente di artisti – Bramantino, Leonardo da Vinci, Bernardino de’ Conti –, soprannominato Magno da Massimiliano I, ma detestato, accusato da una storiografia spicciola d’avere mutato casacca portando ‘stranieri’ in Italia, a giudizio più equilibrato ne risalta il destino fissato nell’epitaffio «nunquam quievit», e di ardua mediazione tra invasori, fazioni locali e popoli assoggettati a gravose imposizioni. I fratelli Gian Fermo (Milano, ca. 1436-1491) e Nicola Rainero o Renato (Milano, 1453-1498) ne condivisero il mestiere di condottiero, il secondo pure le inclinazioni letterarie facendosi apprezzare quale rimatore.
Fonti e Bibl.: G. Cardano, Libelli Quinque, Norimberga 1547, c. 136; C. Rosmini, Dell’istoria intorno alle militari imprese e alla vita di Gian-Jacopo Trivulzio detto il Magno, Milano 1815; M. Klein, Die Beziehungen des Marschalls G.G. T. zu den Eidgenossen und Bündnern (1480-1518), Zürich 1939; P. Terni, Historia di Crema, a cura di M. Verga - C. Verga, Crema 1964, p. 27; L. Arcangeli, G.G. T. marchese di Vigevano e il governo francese nello stato di Milano (1499-1518), in Vigevano e i territori circostanti alla fine del Medioevo, a cura di G. Chittolini, Milano 1997, pp. 15-80; G.G. Albriono - G.A. Rebucco, Vita del Magno Trivulzio, a cura di M. Viganò, Milano 2013; G.G. T. La vita giovanile 1442-1483, a cura di M. Viganò, Milano 2013; A. Madrignano, Le imprese dell’illustrissimo G.G. T. il Magno, a cura di M. Viganò, Milano 2014.