triangolo (triangulo)
Il termine ricorre in D. nel senso proprio di " figura che ha tre angoli ", sia nella forma volgare (apocopata in poesia) che in quella latina.
In Cv IV VII 14, parafrasando un luogo aristotelico, D. afferma: Ché, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, le potenze de l'anima stanno sopra sé come la figura de lo quadrangulo sta sopra lo triangulo, e lo pentangulo... sta sopra lo quadrangulo: e così la sensitiva sta sopra la vegetativa, e la intellettiva sta sopra la sensitiva.
Il passo di Aristotele a cui D. rimanda è quello di An. II 3, 414b 28-32 " Similiter autem se habet ei quod de figuris est, et quae sunt secundum animam, semper enim in eo quod est consequenter, est potentia, quod prius est, in figuris et in animatis, ut in tetragono quidem trigonum est, in sensitivo autem vegetativum ". Come si vede, quella dantesca è una citazione a senso, che non deriva direttamente dal passo aristotelico, ma ne costituisce un'alterazione e un'amplificazione. Se la presenza del pentangulo nell'esemplificazione esclude la diretta dipendenza da Aristotele o da commentatori come Averroè o Alberto Magno (De Anima II I 11), neppure è riconducibile, come vuole il Busnelli (commento ad l.), commento di Tommaso, in cui pure è presente l'esempio del " pentagonus " (Comm. de An. II lect. V).
Caratteristica del passo dantesco è infatti quella di concepire il rapporto t.-quadrato-pentagono (e le rispettive potenze de l'anima) non tanto nella sequenza genetica potenza-atto (nel quadrato è compreso il t. in quanto ciò che vien dopo racchiude, in potenza, attuandolo, ciò che precede), com'è in Aristotele e nei commentatori citati, quanto piuttosto nella sovrapposizione gerarchica di inferiore-superiore (di qui l'uso di sopra sé e sopra in D.). Se il principio che ne è alla base era enunciato nel citato luogo di Alberto Magno (" in omnibus autem potestatibus semper ‛ quidquid potest potentia inferior, potest et superior ', sed non convertitur; et ideo inferior est semper in superiori secundum omnes suas operationes, sed nobilitantur operationes inferioris, quando sunt in superiori "), sia la sovrapposizione gerarchica sia l'esempio del pentagono troviamo in un passo di Bonaventura (Coll. in Hexaëm. I I 10): " Quod patet, quia animatum addit vere super corpus, sensibile super animatum, rationale super sensibile. Si ergo loquamur de hac additione, hic est additio realis, quia anima est aliquid ultra naturam corporis, licet essentialiter ad illud ordinatum; similiter de sensibilitate et rationabilitate, ut tetragonum super trigonum addit novum angulum et pentagonum super tetragonum addit non solum modum essendi ". Con ogni probabilità D. attinse a una formulazione del detto aristotelico corrente nelle scuole e che si ritrova all'interno della polemica sulla pluralità delle forme sostanziali dell'anima (cfr. Tommaso Sum. theol. I 76 3; Guglielmo de la Mare Correctorium corruptorii Thomae a. XXXI, ediz. Glorieux, p. 134; Riccardo di Mediaville Quaestio de gradu formarum, ediz. Z. Zavalloni, pp. 42-43, 138-139 e rinvii; da vedere inoltre B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 360-361).
Ancora da una formulazione scolastica è tratto l'esempio di Mn I XII 2 tota die logici nostri faciunt de quibusdam propositionibus, quae ad exemplum logicalibus inseruntur; puta de hac: ‛ triangulus habet tres duobus rectis aequales '. Nelle Summulae logicales di Pietro Ispano (v.) troviamo infatti, inserita come esempio, la proposizione " ‛ omnis triangulus habet tres angulos equales duobus rectis... ' " (VII 109, e cfr. 111 e 113, ma l'esempio del t. era corrente negli Analitici di Aristotele).
Sempre in riferimento alle vane dispute di scuola, in Pd XIII 102 è citata quella attinente al problema se in un semicerchio possa essere inscritto un t. che - avendo come base il diametro - non sia anche rettangolo (o se del mezzo cerchio far si puote / trïangol sì ch'un retto non avesse).
Viceversa, in Pd XVII 15, come esempio di evidenza intuitiva analoga a quella con cui Cacciaguida - elevandosi in Dio - antevede i futuri contingenti, è dato il postulato secondo cui in un t. non possono essere contenuti due angoli ottusi (O cara piota mia che sì t'insusi, / che, come veggion le terrene menti / non capere in triangol due ottusi, / così vedi le cose contingenti / anzi che sieno in sé).