transgenesi
transgènesi s. f. – Processo tecnologico che permette l’inserimento nel corredo genetico (genoma) di un organismo vivente (per questo motivo detto transgenico) di uno o più geni derivati da un organismo di specie diversa. Alcuni autori considerano transgenici anche organismi il cui genoma sia stato comunque modificato con le tecniche dell’ingegneria genetica. Il termine t. è stato introdotto negli anni Ottanta del 20° sec., dopo che un gruppo di ricercatori americani produsse in laboratorio alcuni topi nel cui DNA erano state inserite copie del gene per l’ormone della crescita di ratto. Grazie all’eccesso di produzione di questo ormone, che funziona anche nel topo, questi animali crescevano in modo abnorme, fino a pesare il doppio dei loro simili non trattati. Qualche anno dopo, alcuni ricercatori belgi ottennero un risultato analogo con i vegetali, introducendo geni estranei nel DNA della pianta di tabacco. I primi organismi transgenici, in realtà, erano stati ottenuti già nel 1973 da Stanley Cohen e Herbert Boyer, che avevano inserito in un plasmide (un piccolo DNA circolare extracromosomico) del batterio Escherichia coli dei frammenti di DNA derivati da una rana: un esperimento che segnò l’inizio dell’ingegneria genetica. Il termine t. viene però solitamente usato solo per gli organismi superiori.
Tecniche di transgenesi negli animali. – I metodi per creare organismi transgenici variano molto a seconda che si tratti di animali o vegetali. Nel caso di animali, i geni esogeni (transgeni) devono essere introdotti nel DNA del ricevente a uno stadio assai precoce dello sviluppo, per garantire che essi siano presenti in tutte le cellule dell’organismo trattato. Un primo metodo consiste nell’introdurre i transgeni nell’uovo fecondato (zigote) mediante microiniezione ed è questa la tecnica utilizzata per l’esperimento sui topi descritto sopra. La percentuale di successo è però bassa e richiede la manipolazione e l’impianto in utero di centinaia di zigoti microiniettati. Una maggiore percentuale di successi può essere ottenuta partendo da . Queste, derivate dalla massa cellulare interna della blastocisti, possono essere coltivate in laboratorio con relativa facilità ed è possibile inserirvi un transgene di interesse. Le staminali modificate possono allora essere introdotte in altre blastocisti, che verranno impiantate nell’utero di femmine predisposte tramite trattamento ormonale per la gravidanza. Gli animali che si svilupperanno da queste blastocisti saranno delle chimere, in quanto conterranno sia cellule con il transgene sia cellule normali, a seconda delle cellule della blastocisti da cui si è sviluppato ciascun organo. Solo gli animali il cui sistema riproduttivo si è sviluppato da una staminale contenente il transgene potranno trasmettere quest’ultimo alle generazioni successive e verranno quindi utilizzati in successivi incroci per generare individui completamente transgenici. Gli animali transgenici possono essere di grande utilità come modelli di malattie umane e come produttori di biofarmaci (v. pharming).
Tecniche di transgenesi nelle piante. – Nel caso dei vegetali non è necessario intervenire a uno stadio precoce dello sviluppo per ottenere piante transgeniche, in quanto il differenziamento risulta reversibile. È possibile infatti rigenerare un’intera pianta da un ramo, o da una foglia, o addirittura da singole cellule di una pianta adulta. Due sono i metodi generalmente utilizzati per l’introduzione di transgeni nei vegetali. Il primo sfrutta l’azione di un batterio parassita che induce nelle piante tumori chiamati galle, ossia grosse escrescenze alla base del fusto o dello stelo. Il batterio si chiama Agrobacterium tumefaciens e attacca la pianta in corrispondenza di ferite o screpolature. Induce il tumore introducendo nelle cellule della pianta infettata un pezzo di DNA presente su un suo plasmide chiamato Ti (Tumor-inducing). Il pezzo di plasmide del batterio si integra nel DNA della cellula infettata e due dei suoi geni producono ormoni che fanno proliferare le cellule della pianta in modo incontrollato, formando il tumore; un terzo gene produce una sostanza nutritiva che solo il batterio è capace di utilizzare, fornendogli così la possibilità di moltiplicarsi. Un gruppo di biologi belgi è riuscito a modificare il plasmide di A. tumefaciens eliminandone i geni nocivi per la pianta e rendendolo adatto a trasportare geni estranei. Il batterio contenente il plasmide modificato viene applicato solitamente su un tessuto della pianta detto meristema, composto di cellule in attiva proliferazione e non ancora differenziate, per es. quelle presenti all’apice di un germoglio. Il trasferimento funziona molto bene, e ha permesso di ottenere piante transgeniche da centinaia di specie vegetali. Tra queste, molte sono di notevole interesse agricolo, come erba medica, girasole, barbabietola, patata, cotone e pioppo, o ortofrutticolo, come pomodoro, banana, asparago, cocomero, melanzana e fragola. A. tumefaciens non è però capace di infettare una grande classe di vegetali, le monocotiledoni, che comprendono i più importanti cereali, come riso, grano e mais; per questi quindi la strategia del plasmide Ti non può funzionare. Un secondo metodo per introdurre DNA estraneo nei vegetali utilizza microproiettili di oro o tungsteno ricoperti di DNA contenente il o i transgeni da introdurre. I microproiettili vengono poi sparati con una microcartuccia o proiettati mediante alta pressione o scarica elettrica su tessuti (generalmente foglie) o su colture di cellule della pianta da trasformare. I proiettili penetrano la parete delle cellule bersaglio e il DNA che li ricopre entra nel nucleo e viene incorporato nel DNA cellulare. Questo metodo è molto efficace e ha permesso di rendere transgeniche molte piante di grande valore agricolo, quali appunto grano, mais e riso.