Tra cristianesimo e cultura classica: da Ambrogio a Girolamo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Insieme ad Agostino, Ambrogio e Girolamo sono i maggiori padri latini. Ambrogio svolge un’attività intensa come vescovo di Milano, attento alle questioni politiche, così come alla difesa della dottrina ortodossa; grande predicatore, propone una soluzione di conciliazione con la cultura pagana. In Girolamo, una personalità complessa, tormentata dal dissidio tra cristianesimo e cultura pagana, si intrecciano le due linee fondamentali dell’ascetismo e dell’interesse filologico per il testo biblico.
Ambrogio nasce intorno al 340 a Treviri, in una famiglia cristiana, anche se legata agli ambienti pagani della classe senatoria. Vive a Roma gli anni della formazione e si avvia alla carriera di funzionario imperiale già esercitata dal padre; questa lo porta a Milano, dove infuriano gli scontri tra ariani e ortodossi. Ambrogio rivela di fronte alla cittadinanza un carisma tanto straordinario da essere acclamato vescovo a furor di popolo, prima ancora di ricevere il battesimo.
L’epistolario di Ambrogio è per noi la principale fonte per la conoscenza del suo operato; da vescovo egli si trova a combattere principalmente su due fronti: contro il paganesimo e contro l’eresia ariana. Sul fronte antipagano si scontra con Simmaco, una delle maggiori personalità impegnate a favore delle tradizioni e dei culti pagani, sulla questione dell’altare della Vittoria, assumendo una posizione radicale.
Sul piano della lotta contro l’arianesimo lo scontro è invece con l’imperatrice Giustina, filoariana, che vuole imporre la consegna agli eretici di una delle tre basiliche milanesi; Ambrogio, che ha al suo fianco il popolo dei fedeli all’ortodossia, guida un’opposizione inflessibile che porterà alla sconfitta dell’arianesimo.
La figura di Ambrogio si caratterizza anche per la grande influenza esercitata nei confronti del potere politico: esemplare è la scomunica imposta nel 390 a Teodosio a causa dell’eccidio degli abitanti di Tessalonica compiuto dall’esercito imperiale. Già in vita, inoltre, si guadagna la fama di santo: fioriscono intorno alla sua persona racconti di eventi miracolosi che lo accompagnano fino alla morte nel 397.
La sua produzione abbraccia diversi campi; nelle varie tipologie dei suoi scritti un posto di rilievo è occupato dalla rielaborazione dei sermoni, a testimonianza di come l’attività della predicazione costituisca la vocazione primaria di Ambrogio. La predicazione ambrosiana è incentrata sull’interpretazione allegorica delle Scritture, ancora poco praticata in Occidente; Ambrogio applica quindi il metodo allegorico, appreso da Filone Alessandrino e Origene, nei suoi scritti esegetici, il più importante dei quali è l’Exameron, una serie di omelie sul racconto biblico della creazione.
L’attività omiletica viene rielaborata anche in vista di alcuni trattati morali; particolarmente importanti quelli sulla verginità nei quali Ambrogio, pur esaltandone il valore, mostra riguardo al matrimonio in sé o alla possibilità per i vedovi di contrarre un secondo matrimonio un atteggiamento piuttosto moderato, se confrontato con le posizioni di altri Padri come Tertulliano o Girolamo.
Molto importante è il trattato etico De officiis (o De officiis ministrorum), sul modello dell’omonimo trattato ciceroniano: di fronte alla questione che interrogava i cristiani più colti, se cioè rifiutare o accettare, e in che modo, l’eredità della cultura pagana, la via percorsa da Ambrogio è quella di una “riscrittura” cristiana, in questo caso del manuale di Cicerone; una soluzione ben diversa, come vedremo, da quella di Girolamo.
Ambrogio si cimenta, in modo particolarmente felice, con la scrittura poetica e compone gli Inni, genere già in uso nella pratica liturgica, ma che vengono da lui utilizzati nel contesto della lotta contro l’arianesimo. Gli Inni sono composti in un metro quantitativo e rispondono ad un modello classico di cura formale; allo stesso tempo, però, vogliono essere semplici sia nel ritmo che nei contenuti, per poter essere accessibili al maggior numero di fedeli. Solo pochi Inni sono in realtà attribuiti con certezza al vescovo di Milano, ma in quest’epoca si moltiplicano i componimenti che vengono definiti genericamente Inni ambrosiani.
La personalità di Girolamo si presenta molto diversa da quella di Ambrogio per interessi e per temperamento. Girolamo nasce nel 347 a Stridone, in Dalmazia, e non sappiamo molto della sua giovinezza, se non che riceve una formazione classica a Roma sotto la guida di Elio Donato. Ben presto si manifesta in lui una forte vocazione alla vita ascetica che lo porta ad aderire a comunità monastiche, a viaggiare in molte località orientali, a vivere da eremita nel deserto; nel corso di questi viaggi, Girolamo apprende il greco e l’ebraico, entra in contatto con personalità eminenti come Gregorio di Nazianzo e approfondisce la conoscenza della Scrittura dei testi di Origene ed Eusebio di Cesarea. A Roma riceve da papa Damaso l’incarico di rivedere la traduzione latina dei Vangeli ed entra in contatto con l’ambiente dell’ascetismo femminile; diventa la guida spirituale del gruppo di Paola e della figlia di questa, Eustochio, con cui si reca in Terrasanta e fonda a Betlemme due monasteri gemelli, maschile e femminile. A Betlemme morirà nel 419.
Tra le numerose opere di Girolamo si possono distinguere manuali, scritti eruditi, scritti polemici, opere agiografiche dedicate a santi eremiti, e opere sulla Sacra Scrittura, ovvero scritti esegetici e soprattutto l’opera fondamentale, che resta la traduzione della Bibbia. Importantissimo poi è l’epistolario contenente 154 lettere, alcune delle quali in forma di trattato. L’epistolario ci aiuta a ricostruire il carattere di Girolamo, difficile, incline all’astio, pieno di contraddizioni e conflitti interiori; il conflitto più evidente è quello tra cristianesimo e cultura classica: celebre il racconto di una visione in cui Girolamo di fronte al tribunale divino è accusato di essere “ciceroniano, non cristiano” ed ottiene il perdono di Dio solo dopo aver giurato di non leggere mai più gli scrittori pagani. L’episodio è esemplare della posizione di Girolamo sul rapporto tra cultura cristiana e cultura pagana, sentite come inconciliabili e irriducibili, un atteggiamento che esclude ogni forma di dialogo, diversamente da quanto avviene in altri scrittori cristiani come gli stessi Ambrogio ed Agostino.
Il lavoro più impegnativo intrapreso da Girolamo è – si diceva – la traduzione della Bibbia, nella quale egli mette a frutto la propria attitudine alla filologia del testo biblico. La nuova traduzione è destinata a soppiantare le varie traduzioni circolanti (Vetus Latina). Si comprende come un simile impegno debba essere sostenuto da una riflessione teorica; questa è oggetto dell’epistola 57 a Pammachio, De optimo genere interpretandi: l’ideale espresso da Girolamo è quello di una traduzione che esprima il senso profondo del testo originario, non che tenti di riprodurlo parola per parola; è vero che per il testo sacro c’è una maggiore esigenza di fedeltà e di rispetto, ma non è tuttavia accettabile una traduzione letterale come quelle circolanti fino ad allora. L’elemento di novità della traduzione di Girolamo riguarda l’Antico Testamento, per il quale ricorre direttamente all’originale ebraico, a quella che definisce l’hebraica veritas. Per quanto non tutti inizialmente apprezzino la traduzione di Girolamo – Agostino ad esempio è tra quelli che continuano ad usare la Vetus Afra – la Vulgata di Girolamo si impone di fatto e con il Concilio di Trento sarà formalmente dichiarata versione ufficiale in uso nella Chiesa.