CONTI, Torquato
Nacque a Poli (Roma), feudo della famiglia, nell'anno 1519 da Carlo duca di Poli e da Tarquinia Savelli. Non si hanno sue notizie sino al maggio del 1541, quando le milizie pontificie al comando di Pier Luigi Farnese posero l'assedio a Paliano, roccaforte dei Colonna: il C., imparentato con costoro. era tra i difensori della rocca, la cui caduta, il 10 di quel mese, segnò l'inizio del declino per la potenza colonnese.
Nel 1547 il C. dette alla Comunità di Guadagnolo gli statuti in sessantatré articoli in cui si regolava la vita interna dei feudo.
Nel 1548 Paolo III dette in sposa Violante, figlia di Ottavio Farnese duca di Parma, al C., sebbene questi si fosse già impegnato a sposare una fanciulla di casa Colonna. Alla morte di Paolo III il C. venne incaricato dalla Congregazione dei cardinali, insieme con altri nobili militari, fra cui erano Astorre Baglioni da Perugia, Papirio Capizucchi e Giulio Orsini, di radunare 4.500 fanti per mantenere l'ordine in città nel periodo della sede vacante. Legato ormai alla fazione farnesiana, il C. seguì Orazio Farnese al servizio di Enrico II di Francia; nel 1552 partecipò alla difesa di Metz assediata dalle truppe imperiali; nel 1553 a Hesdin cadde prigioniero di Emànuele Filiberto. Fu liberato nel settembre; alle trattative partecipò anche Annibal Caro, legato da amicizia al Conti.
Tornato in Italia, il C. partecipò alla difesa di Anagni nel settembre 1556, quando, nella guerra detta di Campagna o dei Caraffeschi, fu assediata dal duca d'Alba.
Paolo IV inviò il C. con ottocento fanti per fortificare la città, ma l'operazione fu resa impossibile dal, sopraggiungere delle truppe del Toledo che bombardarono la città per tre giorni e lo costrinsero a rinunziare a ogni ulteriore resistenza e a ritirarsi prima ad Acuto, poi a Paliano, dove erano state radunate altre forze pontificie al comando di Giulio Orsini. L'anno seguente il C. si unì all'esercito del duca di Guisa, sceso in Italia insoccorso di Paolo IV. I Francesi posero il quartier generale a Tivoli e il C. riuscì, con uno stratagemma, a evitare la vendetta dei Francesi contro gli abitanti, accusati di aver aperto in precedenza le porte al duca d'Alba.
In questo periodo il C. dovette impegnarsi con il partito dei Carafa non soltanto sul piano militare, poiché, eletto Pio IV, anche il C. fu compreso nelle misure punitive decise dal nuovo papa contro i familiari dei predecessore: infatti da un avviso dell'8 giugno 1560si ha notizia che prima dei concistoro del 7 maggio erano stati fatti arrestare i cardinali Carlo ed Antonio Carafa e "... fra li presi... Torquato Conte ch'era l'anima et governo del card. Caraffa nelli suoi trionfi" (v. Pastor, VII, p. 602). Pio IVtuttavia lo nominò in seguito capo dei soldati a piedi e governatore di Anagni.
In questo periodo il C. trascorse gran parte dei tempo nei suoi feudi, dedicandosi ad ingrandire ed abbellire la sua villa di Poli chiamata Catena. Esperto nell'architettura militare - l'ambasciatore Navagero scriveva in un dispaccio al Senato veneto: "Dicono ch'intende bene la cosa delle fortezze e sa metter in ordine una batteria et ha modo assai di far passar fiumi..." (Nonciatures de France, I, 2, p. 193 n. 2) - il C. nutrì anche un vivo interesse per l'architettura civile. Arricchì la villa Catena di stravaganze e bizzarrie, secondo il gusto tardo cinquecentesco che trovò espressione massima nei giardini di Bornarzo, voluti da Vicino Orsini, amico dei Conti. Proprio al modello di Bomarzo si riferisce il Caro nelle lettere al C. in cui dà suggerimenti sulle stravaganze architettoniche e figurative da realizzare alla Catena, "tali - auspica il Caro - da dar la stretta al boschetto dei Vicino" (Lettere, III, p. 164). Gli interessi artistici del C. lomisero in contatto con alcuni giovani architetti, tra i quali Giovanni Antonio Dosio che lavorava a Roma verso il 1560 e fu inviato dal Caro a Poli, ospite presso il Conti. Il periodo trascorso lontano da impegni militari permise al C. di ampliare ed approfondire i suoi molteplici interessi culturali: per mezzo di amici, come il Caro e Sperone Speroni, si faceva inviare da Roma libri sui più vari argomenti, fra i quali la Questione sull'Alchimia di Benedetto Varchi. Sperone Speroni lo pose fra gli interlocutori del suo Dialogo del ciudizio di Senofonte, insieme al cardinale Iñigo d'Aragona, Paolo Manuzio e Antonio Scaino.
Nel 1564, nominato da Pio IV generale della milizia dell'Umbria e dei Piceno, combatté con successo contro i banditi che, insieme con i fuorusciti politici, infestavano l'Ascolano; nel 1566, poco dopo l'elezione di Pio V, fu inviato ad Ascoli in sostituzione di Girolamo Grasso, col preciso ordine di sterminare le bande.
Mentre il C. era impegnato nella repressione dei banditi, ad Anagni scoppiò contro di lui una rivolta, ordita e capeggiata dal vescovo Michele Torrella.
Le cause e i fini della congiura non sono ben chiari: il Cascioli fornisce una dettagliata descrizione dell'episodio ficostruito sulla base di notizie ricavate da un manoscritto conservato nell'Archivio di Poli. Gli Anagnini avevano tramato di uccidere il C. al suo ritorno in città da Ascoli; intanto avevano inviato un'ambasceria al pontefice per chiedere la destituzione del C. dalla carica di governatore di Anagni e la inclusione della città nella giurisdizione di Campagna e Marittima. La congiura non sortì però alcun effetto ed il C., al suo ritorno, poté ristabilire l'ordine senza difficoltà. Fra i motivi che avrebbero indotto la maggioranza della popolazione anagnina a ribellarsi, il Cascioli avanza l'ipotesi che fosse ancor vivo nei cittadini il ricordo dei danni sofferti durante l'assedio del 1556 e che li imputassero al C.; tuttavia ammette anche che il C. possa aver mostrato uno zelo eccessivo nel far rispettare le leggi divine e i diritti feudali.
Il 18 apr. 1570il C. fu nominato prefetto generale delle armi in Avignone e nel Contado Venassino e inviato con alcune migliaia di soldati nei possessi pontifici in Francia.
Si temeva infatti un colpo di mano da parte degli ugonotti che, esiliati e privati dei beni, pretendevano la reintegrazione nei loro diritti; inoltre, la stessa posizione dei possessi pontifici era assai delicata: il re, infatti, pur riconoscendo la sovranità papale su Avignone, reclamava un diritto di sorveglianza. In aiuto dei C., che univa alla perizia militare la conoscenza dei luoghi per avervi combattuto in precedenza al seguito di Orazio Farnese, furono inviati 800 fanti comandati da Alfonso d'Appiano: fu così possibile conseguire la vittoria sugli ugonotti comandati dal Coligny, i quali passarono prima nel Delfinato, poi nel Lionese. Con una lettera dell'8 ag. 1571 a Fabio Mirto Frarigipane, il C. chiedeva che il re di Francia mettesse a sua disposizione alcune galere per ricondurre le truppe a Civitavecchia, affermando di ritenere ormai conclusa l'operazione militare. Mentre il re era favorevole ad affrettare il rimpatrio del contingente pontificio, il Frangipane, temendo un nuovo attacco protestante, riuscì a ritardare il ritorno in Italia dei C., che solo il 20 nov. 1571 ebbe ordine da Pio V dì rientrare ed il 29 dello stesso mese lasciò Avignone.
Non trova conferma la notizia, riferita dal Dionigi, segretario dei figlio del C., Lotario, secondo la quale Pio V avrebbe dapprima pensato di affidare al C. il comando delle milizie pontificie inviate contro i Turchi nella campagna che si concluse a Lepanto, ma ne fu poi dissuaso dall'importanza ancora più grande attribuita alla sua presenza sul fronte francese.
Nella primavera del 1572 il C. fu incaricato, insieme al generale Gentile Sassatelli, di condurre a Otranto un contingente di 2.000 fanti destinati a ricostruire parte dell'esercito cattolico, in conformità degli accordi sottoscritti dopo Lepanto; nel medesimo anno, il C. fu impegnato da Pio V come architetto militare per la realizzazione di fortificazioni in Borgo, insieme con altri "ingegneri di piazza", quali Cesare Guasco e Francesco Paciotto.
Morì a Poli il 3 sett. 1572; da Violante Farnese aveva avuto quattro figli: Carlo, Appio, Lotario e Costanza.
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