FOLA (Phola, Foli), Torello
Nacque a Poppi, località del Casentino allora compresa nel distretto fiorentino, in data sconosciuta da collocarsi entro il primo quindicennio del '500, da Agnolo di Baccio, piccolo proprietario terriero.
Avendo deciso di dedicarsi al sacerdozio, il F. compì gli studi nell'ambito della diocesi aretina; si ignora tuttavia l'anno dell'ordinazione. Parimenti ignote rimangono le circostanze e l'epoca in cui egli si trasferì a Firenze ed entrò nell'orbita della potente famiglia Pucci, al cui servizio lo troviamo fino dal 1537, quando da Firenze scrisse una lettera a Roberto Pucci, impegnato a Roma nei suoi molteplici incarichi presso la corte pontificia. Durante i lunghi soggiorni romani del Pucci, il F. gli scriveva almeno una volta alla settimana per informarlo sull'andamento degli affari, sui raccolti dei poderi e sulle minute necessità del resto della famiglia.
Nel 1544 il Pucci, divenuto cardinale, investì il F. del rettorato dell'ospedale di S. Iacopo a Castelnuovo Valdelsa e di altri benefici minori nella stessa zona, compresi nella diocesi di Volterra, di cui i Pucci detenevano il giuspatronato. Il F. tuttavia continuò a vivere in casa dei Pucci a Firenze, preferendo "affittare" tali benefici, in cambio di una pensione annua di 33 scudi d'oro.
Morto il cardinale nel 1547, il F. rimase al servizio del figlio di questo, Pandolfo, per conto del quale sorvegliava i lavori di restauro al palazzo di Firenze, curava le relazioni con i contadini e gli agenti agrari dei Pucci, riceveva deleghe a stipulare contratti, riscuotere crediti, contrarre obbligazioni.
Benché nei libri contabili della famiglia Pucci egli venga definito "segretario", il ruolo del F. sembra piuttosto essere stato quello di maestro di casa, dato anche il fatto che, durante i lunghi soggiorni romani del cardinale Roberto, e poi del figlio Pandolfò, il F. sembra non essersi mai mosso dalla casa fiorentina deì Pucci, informandoli minuziosamente di quanto vi accadeva.
Morto anche Pandolfo nel gennaio 1560, impiccato in seguito alla congiura da lui ordita contro Cosimo de' Medici, il F. rimase ancora qualche tempo con i figli di questo; nel mese di ottobre dello stesso anno, saldati i conti tra lui e la famiglia, venne sostituito come amministratore dal prete volterrano U. Conti, ma continuò a godere dei benefici ecclesiastici in Valdelsa. Il periodo compreso tra l'ottobre 1560 e lo stesso mese dell'anno successivo egli lo trascorse, almeno in parte, a Roma, dove accettò l'invito di Pietro Camaiani, vescovo di Fiesole, che presumibilmente egli conosceva già dai tempi dei suoi studi ad Arezzo e che aveva poi frequentato in casa Pucci, di accompagnarlo a Trento, ove nel frattempo erano ripresi i lavori dei concilio, in qualità di segretario. Il F. fece quindi parte della segreteria del concilio, dal suo arrivo, nell'ottobre 1561, fino al termine della terza fase, nel dicembre 1563, partecipando assiduamente ai lavori.
Tornato in Toscana nel luglio 1564, senza dubbio per interessamento del Camaiani ottenne un canonicato nella chiesa cattedrale di Fiesole, già detenuto dal prete Domenico di Antonio del Veggia, cui in cambio sarebbero dovuti andare i benefici del F. in diocesi di Volterra; sembra tuttavia che lo scambio progettato sia riuscito soltanto a metà, poiché il vicario dell'arcivescovo di Firenze stabilì che il censo dei benefici suddetti continuasse ad essere corrisposto al F., anche dopo il suo ingresso nel capitolo fiesolano.
Il F. si stabilì pertanto a Fiesole, città da cui sembra non essersi mai allontanato per il resto della sua vita, partecipando assiduamente alle adunanze del capitolo; in quest'ambito ricoprì anche diversi incarichi, come quello di curatore e revisore dei conti del capitolo, cui fu nominato a più riprese. Il 12 sett. 1564 partecipò al sinodo diocesano e ricevette mandato, insieme col canonico L. Epifanio, di riformare le costituzioni del capitolo stesso per adeguarle al dettato del concilio di Trento.
In questi anni il F. portò a compimento diverse opere; prima di tutto fu impegnato a redigere, su suoi appunti, un diario del concilio di Trento, che è la sua opera più nota. Benché egli avesse partecipato di persona soltanto alla terza fase dei lavori conciliari, il diario parte dalla prima convocazione e riassume sessione per sessione il concilio nel suo complesso. Questo diario ebbe subito una certa diffusione nella versione manoscritta, terminata entro il 1564 (Firenze, Bibl. nazionale, ms. II.II. 382, Diarium actorum sacrosancti ecumenici et generalis concilii Tridentini), ma arrivò alle stampe per la prima volta soltanto nel 1733, nella raccolta curata da E. Martin e O. Durant: Feterum scriptorum et monumentorum histonorum ... amplissima collectio, VIII, Parisiis 1733, coll. 122-1433.
Dopo questa, che fu la sua opera più importante, si dedicò ad emendare gli atti della canonizzazione di s. Romolo, primo vescovo di Fiesole, opera completata il 1° nov. 1567 ma rimasta manoscritta (è conservata a Fiesole, Archivio capitolare, sez. XXII, 2 e Archivio vescovile, II.B.1). Tradusse poi in italiano le Regole generali ovvero Rubriche del breviario, uscite fuori di nuovo sotto Pio V, con il repertorio di tutte le rubriche, opera che fu stampata a Firenze nel 1569; scrisse quindi una vita del beato Torello da Poppi, patrono del suo paese, rimasta manoscritta (ricordata dall'Inghirami, XV, p. 286 che però non indica la collocazione archivistica). La sua ultima fatica sembra essere stata la volgarizzazione dei Dialoghi di papa Gregorio I (Venezia 1575), preceduta da una vita del medesimo, composta dallo stesso F. (cc. II-III, n.n.) con un ampio repertorio finale delle materie trattate, con chiari fini didascalici.
Nella lettera dedicatoria a F. Cattani da Diacceto, allora vescovo di Fiesole, premessa a questa opera, il F. annunciava l'intenzione di dedicarsi ad un adeguamento della liturgia alle direttive emanate in materia dal concilio di Trento. Sembra che egli sia morto poco dopo e questa lettera, datata 1° ag. 1575, è l'ultimo documento da cui il F. risulti ancora in vita.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, I serie, 338, cc. 26 s.; 339, cc. 291 s., 337-340; Raccolta genealogica Sebregondi 2260; Decima granducale 6850, c. 54; 6851, c. 138v; 9353 c. 300; Riccardi 620, cc. 4, 95; 622, cc. 29-32; 623, cc. 1-27, 76v; 625, c. 20; Notarile antecosimiano 225, cc. 290, 424, 429; 226, cc. 41, 51, 75, 86, 121, 190, 220; 232, cc. 164, 176 s.; 3484, cc. 155, 192, 340v; 210-33, cc. 91v, 212; Notarile moderno 222, cc. 11v, 12v, 81, 122, 150; 223, cc. 32, 34v, 36, 52; F. Inghirami, Storia della Toscana, Fiesole 1843, II, p. 65; XV, p. 286; H. Jedin, Il concilio di Trento, IV, 1, Brescia 1979, pp. 418, 423; G. Raspini, Pietro Camaiani. Vescovo ai Fiesole e di Ascoli Piceno, nunzio apostolico, [Fiesole] 1983, pp. 67 s.; G. Mazzatinti, Inventario dd manoscritti delle biblioteche italiane, IX, p. 113.