TOMMASUCCIO da Foligno
TOMMASUCCIO da Foligno (Tomasuccio). – Nacque nel 1319 nei pressi di Nocera Umbra da un padre di cui non si conosce il nome e da una certa Bona.
Senza fondamento si è proposto che il nome sia il risultato della sincrasi e semplificazione del nome (Tommaso) e del cognome (Unzio, secondo Iacobilli, 1644, p. 10; Sucho, secondo de Sigüenza, 1600, p. 8), anziché un banale vezzeggiativo. Difficile anche pronunciarsi sullo statuto canonico del personaggio. Sepolto in abito francescano prima nella fraternita della Trinità di Foligno, poi (dal 1436) nel convento di S. Agostino della stessa città, egli fu un eremita, poi predicatore, appartenente al terz’ordine francescano (Morçay, 1913, p. 3 ; vedi anche l’apoteosi della fraternitate presente nella Leggenda: Faloci Pulignani, 1932, p. 60).
Di famiglia benestante (non aristocratica: il padre viene definito «lavoratore») del contado di Nocera Umbra, Tommasuccio fu ultimo di quattro figli (due fratelli e due sorelle). Per una lunga, prima parte della sua esistenza, si dedicò a una vita eremitica di tipo stanziale. Dopo aver aderito giovanissimo (a 12 anni; Faloci Pulignani, 1931, p. 246) al voto di castità che osservavano, su sollecitazione della divotissima madre, anche i fratelli, dai 24 ai 48 anni Tommasuccio (dunque dal 1343 al 1367 circa) fece parte dei discepoli di Pietro, un fraticello «di obbedienza episcopale» (Piron, 2009, p. 36) che dimorava presso l’eremo di Serrasanta, vicino a Gualdo Tadino. Successivamente, per 3 anni, si murò in una celletta presso il castello di Gualdo (forse a S. Marzio sulla Rocca). Nel 1370 circa si verificò un cambiamento sensibile nella scelta religiosa del fraticello, che diventò un predicatore itinerante.
Tommasuccio iniziò allora (1371) un lungo percorso attraverso l’Italia mediana (con qualche puntata estera): innanzitutto nella Marca, e specificamente ad Ancona, dove incontrò il cardinale Egidio Albornoz (Gagliardi, 2019, p. 135), a cui profetizzò la morte dopo la vittoria sul Ducato; a Nocera fu all’origine della congregazione dei Battuti; si spostò ad Assisi, dove entrò in contatto con i minori; poi a Perugia, a Cortona e soprattutto ad Arezzo, dove risanò miracolosamente Giusto della Rosa, forse suo agiografo; quindi a Siena, luogo di importante proselitismo (si unirono a lui il folignate frate Stoppa, suo vero erede, ed Enrico dei Tolomei: Montefusco, 2013, p. 276). Da qui si spostò a San Miniato, Pisa e Lucca, dove erano già presenti «due suoi compagni» (Faloci Pulignani, 1932, p. 12), segno di un salto di scala nell’aggregazione intorno a lui. Dopo un pellegrinaggio a San Giacomo di Compostela e una sosta a Montserrat, in Catalogna, riprese l’attività di predicazione italiana. Dalla Catalogna, si diresse nuovamente in Toscana, facendo sosta a Genova. Passò a Pisa, poi a Firenze e tornò quindi in Umbria, a Perugia, dove gli venne predetta la morte entro quattro anni e gli fu ordinato di dirigersi a Foligno, dove verranno conservate le sue «reliquie, cioè le sue ossa» (p. 14).
A Foligno Tommasuccio dettò una lunga profezia sulle città d’Italia e sulla chiesa, «in versi [...] ed in lingua non troppo bella, per essere antica» (ibid.), che è probabilmente la composizione Tu più vuoli ch’io dica. In seguito, dopo essersi fermato ad Assisi e diretto a Nocera, ebbe, nel giorno di Ognissanti, una visione del paradiso, narrata ai compagni su richiesta di Giusto della Rosa e inserita nella Leggenda (Faloci Pulignani, 1932, pp. 15-17, 53-64). Si diresse poi verso Foligno, sua ultima meta, non senza una sosta a Spello. A Foligno, in un tugurio non lontano dalla confraternita della Trinità, dove venne inizialmente sepolto (Iacobilli, 1644, p. 89), morì il 15 di settembre di un anno imprecisato, all’inizio del Quattrocento.
Sulla data di morte sono state fatte varie ipotesi. È insostenibile il 1377, segnalato dalla Leggenda e accettato da molta letteratura critica: si basa sulla datazione erronea al 1373 della composizione Tu più vuoli ch’io dica, che presuppone il grande scisma in atto e menziona la morte della regina di Napoli Giovanna I (1382). Oltre a varie altre incongruenze, sei anni sarebbero in ogni caso troppo pochi per la campagna di predicazione svolta da Tommasuccio. Bisognerà, dunque, dar ragione a frate Mariano da Firenze (1910, p. 704), che spingeva la morte fino al 1404, facendo di Tommasuccio quasi un nonagenario.
Dal punto di vista del profilo religioso, bisogna insistere sul fatto che Tommasuccio incappò più e più volte in indagini inquisitoriali e si scontrò con continuità con il problema del mancato riconoscimento da parte della Chiesa ufficiale. È stato recentemente mostrato come i suoi spostamenti e le città toccate dalla sua predicazione coincidessero con centri interessati dai picchi della repressione trecentesca rivolta contro i fraticelli (Montefusco, 2013, pp. 270-275). Le sue dimore dovettero essere costituite perlopiù da eremi dove erano attivi o gruppi di fraticelli di obbedienza episcopale, o agostiniani (Sensi, 1985); si mosse soprattutto in Toscana, e in particolare fu Firenze (e la politica tollerante della Inquisizione locale) che permise l’installazione di gruppi appartenenti alla dissidenza francescana provenienti dalla Marca. Tommasuccio contribuì al successo di questi gruppi con un’attività che sembra collocarsi nel periodo del conflitto con la S. Sede (1375-78), a cui si fa riferimento specifico in Tu più vuoli ch’io dica. Questa attività di predicatore e profeta si concretizza in una serie di poesie in volgare che lo rendono un’auctoritas di un vasto gruppo di produzioni in versi di stampo politico-escatologico, sviluppate e diffuse in particolare nell’epoca del grande scisma (Rusconi, 1979, pp. 143-184).
Gli sono attribuiti molti testi che si richiamano alla tradizione laudistica e al magistero iacoponico, con apertura all’escatologismo politico, pur se alcuni sono da escludere sicuramente, come Ave Iesù, figliol de Maria, databile al 1411 e redatto in sostegno del papato avignonese, idea del tutto incompatibile con la posizione nota di Tommasuccio (Mazzatinti, 1887, pp. 4-7). Gli unici testi di sicura attribuzione sono la Visione, che costituisce la terza parte della Leggenda attribuita a Giusto della Rosa, e Tu più vuoli ch’io dica.
La visione, che dà il titolo al primo testo, avviene per somnium, e si sviluppa in una serie di incontri, realizzati con la guida dell’Angelo; particolarmente importante quello con san Francesco, che si raccomanda di far rispettare «alli miei frati [...] la santa regola e povertà» (Faloci Pulignani, 1932, p. 62); il testo termina evocando diverse figure escatologiche, in particolare un imperatore incoronato, nuovo Costantino, e un re di nome Carlo, ispirate a testi profetici che si diffusero proprio durante la vita di Tommasuccio (basta pensare a Telesforo di Cosenza e soprattutto alla profezia Karolus filius Karoli: Potestà, 2014, p. 124). Quanto a Tu più vuoli ch’io dica, che ha una ricca tradizione manoscritta (e non ancora un’edizione critica), è composta da 212 quartine a rima incrociata. Oltre a trattare della crisi religiosa il testo si occupa delle condizioni delle varie città della penisola, per poi terminare sull’attesa della fine delle tribolazioni, prevista per lo scadere del secolo, e l’arrivo del «rinnovatore» finale (di nuovo un sovrano) che porterà una condizione di pace (Le profezie del beato Tommasuccio da Foligno..., 1886, pp. 181 s., strofe 207-212).
L’immagine trasmessa dalla Leggenda, che insiste sulla presenza di segretari (Bartolomeo di ser Riccardo Landi e Giusto della Rosa) in particolare per la redazione delle profezie, induce a pensare che Tommasuccio fosse un semicolto, forse non capace di scrivere da sé.
Ciò che sappiamo di lui si basa su fonti limitate e ancora da approfondire: nessun documento se non sul culto; solo qualche cenno pur se di cronologia ravvicinata nelle Cronache dell’arcivescovo di Firenze Antonino Pierozzi (1389-1459), che visse a Foligno; un’agiografia tarda e variamente manipolata, tradizionalmente attribuita al seguace fiorentino di Tommasuccio, Giusto della Rosa (ma l’attribuzione è da riconsiderare). Non mancano manoscritti più tardi forse da valorizzare: il ms. Milano, Ambrosiana, I 115 inf. contiene varie biografie di osservanti non ancora ‘normalizzate’ dalla stereotipa subordinazione all’ufficialità di Paoluccio Trinci come iniziatore; indipendente risulta un incunabolo vicentino del 1495; un altro filone della tradizione è confluito nel testo di Iacobilli; da ricordare anche un manoscritto pavese (Biblioteca Universitaria, Aldini 67) che, nell’unità codicologica quattrocentesca, trasmette la sola Visione (De Marchi-Bertolani, 1894, p. 31). Tale condizione deve indurre a qualche cautela nel tirare conclusioni troppo stringenti in merito a datazione e attribuzione del testo.
I dati raccolti nella Legenda sono complessivamente affidabili, seppure sia riscontrabile una avvertita riorganizzazione del percorso biografico secondo una cronologia di base ternaria (gli avvenimenti soprannaturali che presiedono alle svolte di questo percorso si realizzano secondo una progressione basata sul dodici) nonché secondo un modello di ‘frate perseguitato’ tratteggiato su quello di Angelo Clareno, campione degli ‘spirituali’ e traghettatore istituzionale del dissenso francescano nel Trecento (Gagliardi, 2019, p. 152).
Il ruolo che Tommasuccio ricoprì nel mondo religioso trecentesco, ingiustamente sottovalutato, fu piuttosto rilevante. Egli fu capo spirituale di un vasto movimento penitenziale e di riforma, la cui attività molto probabilmente non si limitò all’Italia. Dall’attività di questo movimento (in particolare di uno dei suoi seguaci, Vascone) prese forma l’installazione dei gerolamini in Spagna (con una missione collocabile al 1377); sempre in rapporto agli eremiti di San Girolamo era la cella e l’oratorio di Fiesole, che vennero raggiunti anch’essi da alcuni membri del gruppo (precisamente, il noto frate Stoppa di Foligno) all’inizio del Quattrocento, quando la congregazione si avviava alla approvazione (Wadding, 1625-1654, IV, a. 1377, IX, a. 1405; Perazzolo, 1976).
Fonti e Bibl.: Legenda del beato Galeoto Roberto da Rimino. Legenda del beato Tomasuzio..., per maistro Rigo da sancto Urso, Vicenza s.d. (ma 1495); J. De Sigüenza, Segunda parte de la historia de la Orden de San Geronimo, Madrid 1600; L. Wadding, Annales Minorum seu trium ordinum a s. Francisco institutorum, Romae 1625-1654; L. Iacobilli, Vita del Beato Tomaso, Foligno 1644; G. Mazzatinti, Un profeta umbro del secolo XIV (T. da Foligno), in Il Propugnatore, XV (1882), pp. 3-40; Le profezie del beato T. da Foligno del Terz’Ordine di San Francesco, a cura di M. Faloci Pulignani, in Miscellanea francescana, I (1886), pp. 81-93, 121-125, 151-157, 173-182; G. Mazzatinti, Una profezia attribuita al beato T. da Foligno, in Miscellanea francescana, II (1887), pp. 3-7; L. De Marchi - G. Bertolani, Inventario dei manoscritti della R. Biblioteca Universitaria di Pavia, I, Milano 1894; Mariano da Firenze, Compendium Chronicarum fratrum Minorum, in Archivum franciscanum historicum, I (1908), pp. 98-107, II (1909), pp. 92-107, 305-318, 457-472, 626-641, III (1910), pp. 204-309, 700-715, IV (1911), pp. 122-137; R. Morçay, Chroniques de saint Antonin. Fragments originaux du titre XXII (1378-1459), tesi di dottorato, Paris 1913; Id., Saint Antonin, fondateur du couvent de Saint-Marc, archevêque de Florence, 1389-1459, Paris 1914; M. Faloci Pulignani, La leggenda del beato T., in Miscellanea francescana, XXXI (1931), pp. 149-151, 244-251, XXXII (1932), pp. 6-17, 53-67; A. Messini, Profetismo e profezie ritmiche italiane d’ispirazione gioachimita francescana nei secoli XIII, XIV, XV, ibid., XXXVII (1937), pp. 39-54, XXXIX (1939), pp. 109-130; G. Perazzolo, Eremiti di S. Girolamo, in Dizionario degli Istituti di perfezione, III, Roma 1976, p. 1203; R. Rusconi, L’attesa della fine. Crisi della società, profezia ed Apocalisse in Italia al tempo del grande scisma d’Occidente (1378-1417), Roma 1979, pp. 143-184; G. Tognetti, I fraticelli, il principio di povertà e i secolari, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo e Archivio Muratoriano, XC (1982-1983), pp. 77-145; M. Sensi, Il beato T.: biografi, biografie e culto, in Le osservanze francescane nell’Italia centrale (secoli XIV-XV), Roma 1985, pp. 97-135; S. Piron, Le mouvement clandestin des dissidents franciscains au milieu du XIVe siècle, in Oliviana, III (2009), http://oliviana.revues.org/index337.html (17 novembre 2019); A. Bartolomei Romagnoli, La cronaca di Bernardino Aquilano dai piccoli santi dell’Umbria alla grande osservanza, in Amicitiae sensibus. Studi in onore di Mario Sensi, a cura di A. Bartolomei Romagnoli - F. Frezza, Foligno 2011, pp. 1-34; A. Montefusco, Indagine su un fraticello al di sopra di ogni sospetto: il caso di Muzio da Perugia (con osservazioni su Tomasuccio, frate Stoppa e i fraticelli di Firenze), in «Pueden alzarse las gentiles palabras» per Emma Scoles, a cura di I. Ravasini - I. Tomassetti, Roma 2013, pp. 259-280; G.L. Potestà, L’ultimo messia. Sovranità e profezia nel Medioevo, Bologna 2014, p. 124; M. Sensi, «Eremiti dell’Apocalisse» e terziari regolari di fra Tommasuccio «in deserto Alpis» (secoli XI-XV): una Tebaide nel casentino?, in Annali aretini, XXII (2014), pp. 287-315; I. Gagliardi, Predicazione e profezia in T. da Foligno, in Fra elemosina e la riscrittura della memoria cittadina a Gualdo Tadino, Spoleto 2019, pp. 149-158.