TRAETTA, Tommaso
Musicista, nato a Bitonto il 30 marzo 1727, morto a Venezia il 6 aprile 1779. A undici anni fu inviato dai genitori a Napoli. Ammesso nel conservatorio di Santa Maria di Loreto, studiò composizione dal '38 al '41 con N. Porpora, dal '42 al '48 con F. Durante; coltivò anche il canto e l'organo. Nel '51 esordì al San Carlo con il Farnace. Ottenuto successo, ebbe incarichi per i teatri di Reggio nell'Emilia, Venezia, Roma. A 31 anni fu nominato dall'infante don Filippo, reggente di Parma, maestro di cappella alla corte e insegnante di canto delle principesse. Era intendente della real casa di Parma il francese Du Tillot, il quale vagheggiava, al pari di altri amatori del teatro, un rinnovamento dell'opera con l'inserzione di cori e di balli, elementi tradizionali della tragédie lyrique, nel melodramma italiano, contesto solamente di recitativi e di arie. Già con tali intendimenti aveva fatto rielaborare nel '55 l'Issipile di P. Metastasio e B. Galuppi. Il T. aderì a tale concezione melodrammatica con l'Ifigenia in Tauride, ch'egli stesso diresse a Vienna nel '58. I cori integravano l'azione, concorrevano con l'orchestra all'interesse drammatico. R. de' Calzabigi e C. W. Gluck non dimenticarono quell'opera nel collaborare all'Orfeo nel '62. Dal '58 al '65 il T. compose a Parma dodici melodrammi e quattro commedie, e altre opere per Venezia, Roma, Torino. Nel '60 lavorò ai Tindaridi, la storia di Castore e Polluce, che il Frugoni aveva rielaborato sul libretto del Bernard già usato da J.-Ph. Rameau. L'opera fu certamente stesa secondo il piano del Du Tillot. Letterati di Germania, di Francia e d'Italia, quelli che mal sopportavano la forma d'allora del melodramma e aspiravano a una forma d'arte meno ligia alle contingenze teatrali, più nobile e più libera, plaudirono a quel tentativo parmense. L'Algarotti ne fu lieto: "Mi piacque di vedere che le mie idee sopra l'opera in musica non furono aeree e che la mia voce non fu vox clamantis in deserto". Quell'opera recava collegati in ampie scene canti solistici, corali e danze. Il lamento di Telaira ne è uno dei più bei pezzi, poderosi e commossi. L'anno seguente il T. presentava a Vienna, per incarico del conte Durazzo, intendente del teatro di corte, l'Armida, opera non progressiva. L'anno '62 è da ricordare per il primo tentativo comico del T., La francese a Malghera di Pietro Chiari. Tornò poi all'opera seria con la Sofonisba, scritta per la corte di Mannheim, su libretto del poeta di corte Verazi. Checché si pensi dell'importanza stilistica della musica strumentale composta ed eseguita dall'orchestra di Mannheim, sta il fatto che il teatro di quella città sfuggiva completamente all'influenza tedesca per aver accolto successivamente opere di N. Jommelli, T. di Majo, N. Piccinni, A. Salieri. La Sofonisba non vi appariva dunque come un nuovo gusto. Si aggiunga che il T. era già conosciuto in Germania per i suoi successi viennesi. Malgrado la debolezza del libretto del Verazi, poeta aulico a Mannheim, la Sofonisba è tra le opere meglio riuscite del periodo parmense. Essa si giova pertanto della stesura non metastasiana, poiché le strofette, anziché generiche, recano espressioni alquanto particolari del momento drammatico. L'ouverture è in tre tempi, il tema dell'andante riappare nel quintetto finale, il tema del terzo tempo descrive l'aspro e ostinato combattimento che si svolge sulla scena. I recitativi secchi hanno didascalie interessanti per l'espressione drammatica. Potente è l'invettiva di Sofonisba a Massinissa "Intesi, ti basti", dove anche la forma chiusa e il carattere accademico sono pervasi di pathos. Qualche pezzo più patetico, come l'aria della protagonista, allorché Siface e Massinissa stanno per duellare, ricorda l'accento pergolesiano. Nella settima scena del terzo atto è prescritto "l'urlo alla francese", un effetto vocale che ricorda l'imitazione della natura cara ai Francesi ed era censurato dagli esteti, i quali affermavano esser l'arte finzione e il canto convenzione. Dal '65 al '68 il T. compose parecchie opere per Venezia, dove diresse un conservatorio, e per Monaco di Baviera. Nel '68 accolse l'invito di Caterina II, succedendo a Baldassarre Galuppi. Nel 1772 compose l'Antigona, che rappresenta il più forte saggio della sua maestria. Gli elementi vocali e strumentali vi appaiono fusi ed elevati alla più alta potenza drammatica. Epperò l'Antigona è da considerare la più progredita opera italiana sulla linea percorsa da Gluck. Notevole una ciaccona su un canto popolare slavo. Le opere che seguirono non mostrano la convinzione riformatrice del T., il quale ritornò con Amore e Psiche alle usate maniere melodrammatiche. Lasciata la corte russa, partì nel 1774 per Londra, ritornò a Napoli nel 1777, a Venezia nel 1778.
Reminiscenze gluckiane nel T. sono state segnalate da H. Kretzschmar, raffrontando il lamento di Antigona e quello di Orfeo, e l'aria di Melissa "Agli amanti son pietosa anch'io" con quella "Che farò senza Euridice" precisamente nella frase sulle parole "che farò senza il mio bene". D'altra parte un passo dei corni nell'Armida, 1761, servì da modello a un analogo effetto nell'Orfeo, 1762.
Coltivò il genere chiesastico oratoriale con l'Oratorio Rex Salomon arcam adoraturus in templo, per voci femminili, con una passione, con mottetti e messe. In uno Stabat mater alternò, come allora usava, pezzi solistici accompagnati e pezzi a cappella, e in questi praticò in omaggio al palestrinianesimo più il diatonico che il cromatico.
Compose anche Arie, Duetti da camera, il Divertimento Le quattro stagioni e I dodici mesi dell'anno per quattro orchestre (Pietroburgo, 1770).
Una cronologia, necessariamente approssimativa, delle opere può essere questa: 1751, Il Farnace (Zeno? Napoli); 1753, I pastori felici; 1755, Le nozze contrastate (?), La Rosmonda (?), L'incredulo (?); '56, La fante furba (Palomba, Napoli); '57, Ezio (?), La Nittetti (Metastasio, Reggio Emilia), Didone abbandonata (Metastasio, Venezia); '58, Solimano (Migliavacca, Parma), Demofonte (Metastasio, Mantova), L'Olimpiade (Metastasio, Verona); '58-'59, Ifigenia in Tauride (Coltellini, Vienna); '59, Buovo d'Antona (Goldoni, Venezia), Ippolito e Aricia (Frugoni, Parma); '60, Enea nel Lazio (Cigna Santi, Torino), I Tintaridi (Frugoni, Parma), Stordilano, poi Il cavalier errante (Bertati? Parma), Le feste di Imeneo (Fruggoni, Parma); '61, Armida (Migliavacca, Vienna), Enea e Lavinia (Sanvitale, Parma), Zenobia (Metastasio, Lucca); '62, La francese a Malghera (Chiari, Parma), Sofonisba (Verazi, Mannheim), Alessandro nelle Indie (Parma); '64, La buona figliuola (Goldoni, Parma), Antigono (Metastasio, Padova); '65, Semiramide (Metastasio, Venezia); '66, Le serve rivali (Chiari, Venezia); '67, Siroe (Metastasio, Monaco); '68, Amore in trappola (Chiari, Venezia), Il tributo campestre (Baganza, Mantova), L'isola disabitata (Metastasio, Bologna); '72, Antigona (Coltellini, Pietroburgo); '73, Amore e Psiche (Coltellini, Pietroburgo); '74, Lucio Vero (Coltellini, Pietroburgo); '76, Merope (Zeno, Milano), Germondo (Goldoni, Londra); '78, La disfatta di Dario (Morbilli, Venezia); '79, Gli eroi dei campi Elisi (Venezia?).
Bibl.: V. Capruzzi, T. e la musica, 1878; F. Florimo, La scuola musicale di Napoli, Napoli 1882, II, pp. 344-48; K. H. Bitter, Die Reform der Oper durch Gluck und Wagner, Brunswick 1884; H. Kretzschmar, importante recens. alla precedente opera in Vierteljahr. für Musikwiss., II, pp. 228-31; H. Müller, W. Heinse als Musikschriftsteller, ibid., III, p. 587; G. Munzer, Beiträge zur Konzertgeschichte Breslaus, ibid., VI, p. 205; A. Damerini, T., in Pianoforte, VIII, p. 7; numero unico dedicato a T., Bari 1927; A. Nuovo, T. T., Roma 1927; biogr. e bibl. di H. Goldschmidt nei Denk. T. in Bayern, XIV, i, e XVII, dove sono pubblicati frammenti delle opere; A. Della Corte e G. Pannain, Storia della musica dal '600 al '900, 1936, I, pp. 378-81.