SASSETTI, Tommaso
SASSETTI, Tommaso. – Nacque a Firenze nel 1523, primo dei quattro figli di Vincenzio e di Lisabetta Squarcialupi. Il padre, benché cadetto, era erede del ramo principale della famiglia, in quanto suo fratello maggiore Bernardo era priore della chiesa di S. Michele Berteldi nella zona del Mercato Vecchio, quartiere di S. Maria Novella.
Alla nascita di Sassetti i tempi della fortuna e della ricca eredità della famiglia erano ormai trascorsi: legate, l’una e l’altra, alle altalenanti vicende della famiglia Medici fin dai tempi di Francesco (1421-1490), prozio di Tommaso in quanto fratello minore del bisnonno. Mentre un ramo della famiglia, a partire dalla metà del XVI secolo, trovò migliore fortuna a Pisa, dove continuò a esercitare la mercatura con Matteo di Niccolò, il ramo principale dei Sassetti fiorentini, che si estinguerà con Luigi, il fratello minore di Tommaso morto senza figli nel 1577, aveva ormai un patrimonio immobiliare limitato all’antica torre di famiglia, che questi per fedeltà all’antico nome «lasciò che [...] sempre restassi per fidecommesso in casa Sassetti» (Notizie dell’origine e nobiltà della famiglia de’ Sassetti..., 1855, pp. XXXIV-XXXV).
In linea con i tempi e con la crisi politica ed economica in cui ormai versava la famiglia, priva di un patrimonio atto a garantire una vita agiata agli eredi delle nuove generazioni, la scelta professionale di Sassetti e di due dei suoi fratelli minori, il secondogenito Piero e il terzogenito Carlo (che fu anche cavaliere di Malta) morti entrambi nel 1565 durante l’assedio di Malta, ricadde sul mestiere di soldato. Negli anni Cinquanta, Sassetti fu così tra i militari che combatterono per i Tudor in Irlanda contro le rivolte dei nobili locali, scoppiate dopo la morte di Enrico VIII (1547), e fu in queste circostanze che dovette conoscerlo sir Robert Dudley, conte di Leicester, che dopo l’imprigionamento per la partecipazione alla fallita congiura per far salire al trono lady Jane Grey alla morte di Edoardo VI (1553), divenne il favorito di Elisabetta I. Per anni Sassetti sarebbe stato impiegato dal conte di Leicester come «sgherro» (Tedeschi, 1995, p. 13) ovvero come «bravaccio» (Firpo, 1959, p. 374).
Fu proprio l’influenza a corte del suo protettore che lo aiutò nel momento cruciale della sua vita, salvandolo dalla forca a cui lo aveva condannato la sentenza di accusa per l’omicidio del proprietario terriero Richard Foden, avvenuto il 29 giugno 1569 nel distretto di Lyme Street a Londra. Al processo, grazie all’influenza di Dudley sui giudici, l’accusa fu derubricata da omicidio intenzionale («murder») a preterintenzionale («killing»).
Sulla base del documento che registra sinteticamente le vicende del caso giudiziario nel Calendar of State Papers, appare plausibile supporre che l’omicidio fosse stato compiuto su commissione (forse dello stesso Dudley o della Corona): si trattò infatti non di un incidente o della degenerazione di un diverbio, ma di un’esecuzione. La scena del delitto qui ricostruita, offre alcuni tratti per un quadro della vita che Sassetti conduceva. Come il complice, il sarto Rafaele Zetti, Sassetti viveva da tempo in Inghilterra in qualità di forestiero, frequentava l’ambiente degli immigrati italiani (ed era probabilmente al suo interno un punto di riferimento per i propri protettori). Negli atti processuali, Sassetti è definito come nullatenente e non viene indicata la sua professione («he had no goods or lands»). Non è da escludersi che l’uccisione di Foden fosse un atto criminale di intimidazione a scopo politico, e che avesse come obiettivo il protettore («master») della vittima, quel Cesare Adelmare che, giunto in Inghilterra nel 1550 come medico di Maria I Tudor, era stato dapprima sospettato di essere al servizio del papa, poi nel 1558 di aver avvelenato la regina nel corso della sua ultima malattia, infine – dopo essere passato al servizio di Elisabetta I – arrestato nel 1566 come partigiano di Margaret Douglas Contessa di Lennox (nipote di Enrico VIII), pretendente cattolica al trono.
Pressappoco a partire dall’anno successivo a questi gravi fatti (ovvero dal 1570), forse in fuga da possibili strascichi giudiziari o ritorsioni, e per almeno un quindicennio (fino alla metà degli anni Ottanta), Sassetti lavorò pur non continuativamente come agente del sistema spionistico inglese messo in piedi da sir Francis Walsingham. Fu principalmente in Francia e nei Paesi Bassi, scenari di guerre civili a sfondo religioso, dove poteva muoversi con agio e circospezione grazie alla copertura offertagli dalla sua professione di militare. Forse sfruttando le sue reti di conoscenze familiari, cittadine o di semplici connazionali, Sassetti era impiegato a veicolare informazioni su Spagna e Italia ottenute da mercanti residenti e nuovi arrivati in direzione dell’ambasciata inglese a Parigi o, quando vi risiedette, come fece a partire dal gennaio del 1571, verso la stessa residenza parigina di Walsingham, a Saint Marceau, che visitava sovente insieme con altri connazionali.
I suoi soggiorni nei Paesi Bassi, dove le ostilità tra i ribelli delle Province unite e gli spagnoli erano riprese nel 1572 e si sarebbero protratte quasi ininterrottamente sino al 1585, dovettero essere motivati dall’interesse e dal sostegno dati dalla Corona inglese alla rivolta fino almeno alla firma dell’atto di abiura contro Filippo II (1581), e sono attestati soprattutto su Anversa: è pertanto da considerarsi che si siano quasi certamente interrotti entro il 1585, quando la città fu riconquistata da Filippo II. Walsingham considerava Sassetti un esperto di quel territorio, ed è probabile (vista la più saltuaria occorrenza delle testimonianze dei suoi soggiorni rispetto a quelli in Francia) che la sua attività vi si concretizzasse in brevi viaggi, durante i quali raccoglieva informazioni da conoscenti italiani o fiorentini, come Lodovico Guicciardini, residente ad Anversa, che in una lettera a Walsingham del 30 giugno 1584 definisce Sassetti suo «caro amico» (lettera cit. in Tedeschi, 1995, p. 27 nota).
Il centro dei suoi affari, comunque, dovette rimanere Londra: il 31 maggio 1573 Sassetti fu chiamato in causa da Giulio Borgarucci di fronte al concistoro della Chiesa evangelica italiana della città. Questi era stato sospeso dalla Cena a causa di una lettera spedita da Anversa al «capitano Sassetti» in cui lo si accusava di aver assistito con devozione alla messa, lettera che si rivelò poi un falso fabbricato a bella posta dallo stesso Sassetti, che l’accusato definiva «nimico suo». Non è da escludersi che la delazione attraverso falsa accusa fosse frutto della volontà di Sassetti di mantenere il suo spazio nel seguito del conte di Leicester (di cui l’accusato era medico curante) o a corte (dove, pure, Borgarucci era medico), o forse, che egli agisse per conto di altri contro il malcapitato.
Secondo Giacomo Castelvetro (Nota a margine, in T. Sassetti, Il massacro di San Bartolomeo, a cura di J. Tedeschi, 1995), che proprio a Londra lo conobbe, Sassetti all’inizio degli anni Sessanta «era... salariato» da Caterina de’ Medici (p. 37 nota). Il che, se vero, lascerebbe pensare a una doppia copertura o a un doppio gioco. Era semplicemente una spia inglese in Francia che cercava nel servizio alla regina madre una copertura per un più diretto accesso alle notizie interne alla corte francese da riferire poi ai suoi mandanti inglesi? O era anche agente di Caterina alla quale avrebbe spacciato le proprie notizie sui fatti di oltremanica? Inducono a propendere per la prima delle due ipotesi l’assenza di documenti o corrispondenza che attestino la sua relazione con Caterina e l’opinione che i suoi due principali referenti, Walsingham e Dudley, si scambiano su di lui. In una lettera inviata dal primo al secondo l’8 ottobre 1572, il ministro di Elisabetta, pur non negandone i difetti («imperfections»), lo distingue dai suoi connazionali italiani («that Nation») così inclini al tradimento («treason») per la sua fedeltà certo superiore alla sua cattiva fama («I think him in that point to stand much upon his honor»).
La tragica notte di San Bartolomeo (24 agosto 1572), Sassetti si trovava in Francia ma non a Parigi, essendo da alcuni giorni in viaggio in compagnia del banchiere fiorentino Ludovico da Diacceto (protetto della regina madre) alla volta di Lione, dove l’ultimo giorno di agosto, secondo lo stesso Sassetti, arrivò l’onda lunga dell’indignazione e della violenza popolare. Sarebbe tornato a Parigi il 9 settembre, mettendosi subito alla ricerca di informazioni, notizie e resoconti sui fatti avvenuti nella capitale e lavorando assiduamente alla stesura di uno scritto su di essi (forse per un destinatario italiano rimasto anonimo, il «molto magnifico signor mio osservandissimo»), conclusa in pochissimi giorni il 13 di quello stesso mese.
Il manoscritto del Brieve raccontamento del gran macello fatto nella città di Parigi il viggesimo quarto giorno d’agosto d’ordine di Carlo nono re di Francia, e della crudel morte di Guasparro Sciattiglione, Signore di Coligni e grande ammiraglio di Francia MDLXXII dovette rimanere da parte, intatto, per molti anni; fu poi rimaneggiato a partire dal 1578 forse con l’aiuto di Giacomo Castelvetro, al quale Sassetti lo consegnò di sua mano il 20 giugno 1583, undici anni prima che lo stesso Castelvetro avviasse la raccolta di testi politici del Cinquecento in cui avrebbe inserito anche il Brieve raccontamento, oggi parte dei nove volumi dei manoscritti Castelvetro acquisiti nel 1963 dalla Newberry Library di Chicago.
La composizione a posteriori (anche se immediatamente successiva all’evento) fa del testo non una semplice cronaca (come per prudenza politica professata o anche solo ostentata Sassetti afferma: «contentandomi del nome di simplice raccontatore»), ma uno scritto che propone un’interpretazione dei fatti. La spiegazione dell’inaudita ferocia della strage dei protestanti voluta dalla Corona è fatta risalire alle origini stesse del conflitto, che (in linea con quella che sarà l’interpretazione dello storico veneziano Enrico Caterino Davila) Sassetti individua nelle lotte sociali e nelle contrapposizioni politiche interne al Regno di Francia: «molte zuffe, molte battaglie, molti omicidi, molti abbrusciamenti di case e struggimenti di città seguitarono, e ’l tutto sotto pretesto della religione, accompagnato però da uno smisurato desio di signoreggiare» (T. Sassetti, Il massacro di San Bartolomeo, cit., p. 34). Questa lettura appare anche coerente con i tratti della sua personalità quali è possibile cogliere nelle testimonianze di alcuni di coloro che lo conobbero più da vicino.
Pur comparendo infatti saltuariamente tra i frequentatori della comunità evangelica degli italiani in esilio a Londra, e pur utilizzando nel Brieve raccontamento termini non certo lusinghieri per i cattolici, l’amico Giacomo Castelvetro e l’anonimo autore (ma forse egli stesso) del Parere di N. sopra il Raccontamento che questi appose al manoscritto lo definiscono rispettivamente «gentiliuomo catolico fiorentino» e «veramente catolico papesco». L’evangelico Giulio Borgarucci lo definisce invece «uomo di nisciuna religione» (cit. in Firpo, 1959, p. 373). È molto probabile che Sassetti fosse in effetti persona poco incline a riflessioni approfondite in materia di fede e religione, e che da uomo di azione misurasse l’una e l’altra secondo le convenienze delle circostanze in cui si trovava ad agire.
Anche del suo Paese di origine e dei suoi connazionali, che pure sempre frequentò nei lunghi anni vissuti all’estero, mostrava di avere idee che generalizzavano esperienze personali come quando, riferendosi alla regina madre, ebbe a definirla nel Brieve raccontamento «di spirito italiano, vendicativa secondo el naturale di tutta la famiglia de’ Medici, che non perdonano né dimenticano giamai i ricevuti torti, e c’hanno la vera arte di signoreggiare in virga ferrea» (Il massacro di San Bartolomeo, cit., p. 44).
L’uomo doveva essere percepito come pericoloso se ancora nella citata lettera a Robert Dudley dell’8 ottobre 1572, Walsingham affermava che era stato ingaggiato anche per controllare le potenzialità negative del suo violento temperamento («yet were the entertainment of him necessary in respect of the harm he may do», cit. in Tedeschi, 1995, p. 28 nota). Tuttavia il suo «caro amico» e concittadino Lodovico Guicciardini, che lo aveva frequentato ad Anversa, ne definiva prima del 1583 il tratto saliente della personalità nell’essere «huomo piacevole ma talvolta molto satirico». Come racconta nelle sue Hore di ricreatione (1583) a Sassetti era rimasta, dalla vecchia origine popolana della pur ricca famiglia mercantile, l’abitudine a trattare con concittadini di «bassa conditione», e quel modo di andar poco per il sottile sulle questioni di titoli e di etichetta a cui l‘autore, «patritio fiorentino», doveva invece essere più sensibile (c. 57r).
Fino alla morte, avvenuta secondo Francesco Sassetti nel 1593, Tommaso visse in Inghilterra continuando per molti anni a servire la regina in cambio della sua pensione vitalizia. Qui lo incontrarono ancora Giordano Bruno, che nel 1584 lo definisce nella Cena delle Ceneri una tra le «false e onorate reliquie di Firenze», e Paolo Gondola, che ancora nel 1590 lo rammenta per poco leciti affari di donne (Firpo, 1959, pp. 373 s. e nota).
Il brieve Raccontamento è edito, con titolo Il massacro di San Bartolomeo, a cura di J. Tedeschi prima in Tedeschi, 1974, pp. 112-154, poi in volume, a cura del medesimo, Roma 1995.
Lo scritto è conservato nel manoscritto della Newberry Library di Chicago n. 78/2, parte dei nove volumi manoscritti di Giacomo Castelvetro (Case MS. J 93-154), in cui questi raccolse documenti e relazioni su eventi politici europei della seconda metà del XVI secolo. I manoscritti, che furono acquistati dalla Newberry Library nel 1963, recano il titolo collettivo, di mano di Castelvetro: Diverse belle scritture et relationi intorno il nobil reame della Francia [...] di Giacopo Castelvetri [...] In Hafnia l’anno MDVC (cfr. Tedeschi, 1974, p. 100; e Id., 1995, pp. 129-131).
Fonti e Bibl.: L. Guicciardini, L’hore di ricreatione, In Anversa 1583, c. 57r; Notizie dell’origine e nobiltà della famiglia de’ Sassetti raccolte da Francesco di Giambattista Sassetti (1610), in Lettere edite e inedite di Filippo Sassetti, raccolte e annotate da E. Marcucci, Firenze 1855, pp. XV-XLVII; L. Firpo, La Chiesa italiana di Londra nel Cinquecento e i suoi rapporti con Ginevra, in Ginevra e l’Italia. Raccolta di studi promossa dalla facoltà valdese di Teologia di Roma, a cura di D. Cantimori et al., Firenze 1959, pp. 373 s. e note (sul caso della delazione contro Giulio Borgarucci e sui rimandi a Bruno e a Gondola); Calendar of the Paper Rolls preserved in the Public Record Office, Elizabeth I, IV, 1566-1569, London 1964, p. 337 doc. 1963 (sul processo per l’omicidio di Richard Foden); J. Tedeschi, T. S.’s account of the St. Bartholomew’s day massacre, in The massacre of St. Bartholomew. Reappraisals and documents, a cura di A. Soman, The Hague 1974, pp. 99-111; Id., Introduzione, in T. Sassetti, Il massacro di San Bartolomeo, a cura di J. Tedeschi, Roma 1995, pp. 7-30; J. Cooper, The queen’s agent. Sir Francis Walsingham and the riese of espionage in Elizabethian England, New York-London 2012, passim (per i suoi rapporti con Francis Walsingham).