PERONDOLI, Tommaso
– Nacque nella seconda metà del Trecento a Ferrara da Andrea, in una famiglia appartenente a un ceppo di oriundi fiorentini.
Fu Giacomo di Lupo Perondoli, avo di Tommaso, a trasferire la famiglia dalle rive dell’Arno a quelle del Po, prima che si affermasse in Firenze la breve signoria di Gualtieri di Brienne, duca d’Atene (1342). Ebbe due figli: Andrea, il padre di Tommaso, fattore generale dei marchesi d’Este, e Nicolò che agì come cambiavalute e morì precocemente, lasciando sotto la tutela del fratello i figli Giovanni e Filippa. L’alto incarico affidato ad Andrea Perondoli va compreso nell’ampio disegno di rinnovamento della classe dirigente dello Stato estense perseguito dall’entourage del giovane marchese Nicolò III.
La rapida e fortunata carriera religiosa di Perondoli va letta alla luce della posizione preminente del padre. Il suo ingresso nello stato clericale avvenne il 15 gennaio 1381, quando per le mani di Guido, vescovo di Venafro, ricevette la prima tonsura, dopo la quale fu aggiunto, come chierico, alla chiesa ferrarese. In seguito, il 1° agosto 1389, fu accolto tra i canonici della cattedrale: il preposito del capitolo, Gerardino Baroni, alla presenza di Simone Saltarelli, vescovo di Comacchio, lo elesse al canonicato nel posto rimasto vacante dopo la morte di Bernardo Loschi. Agli inizi del Quattrocento Tommaso fu anche arciprete di Formignana e canonico della pieve di S. Maria di Bondeno; e nel contempo comparve, il 22 luglio 1403, tra i familiares che formavano il consiglio privato di Nicolò III, a prova del saldo radicamento suo e della famiglia intera nel ceto dirigente cittadino (confermato da due matrimoni importanti: quello di Filippa Perondoli con Mainardino Contrari, e quello di Nicolò, fratello di Tommaso, con Contessa, figlia di Giacomo Giglioli, l’influente referendario estense). Ma il salto di qualità nella sua personale carriera avvenne, nello stesso giro di anni, con il conferimento dell’incarico di vicario generale da parte del vescovo di Ferrara, Pietro Boiardi. Di conseguenza, ratione officii divenne vicecancelliere dell’Università e il 12 ottobre 1407 conseguì inoltre il dottorato in diritto canonico.
In quel giorno si presentarono nel palazzo vescovile due pretendenti al titolo accademico: Tommaso Perondoli e Grassia di Spagna. Presente, tra gli altri, il fratello Nicolò (che aveva anche un ruolo di rilievo tra i Dodici savi, la principale magistratura del comune), Perondoli fu acclamato dottore di decreti dal suo promotore, il professore Giovanni Tencaroli, mentre Grassia ottenne la laurea in entrambi i diritti per le mani del canonista Nicolò Ariosto.
A distanza di qualche anno dalla laurea giunse poi, forse non del tutto inaspettata, l’elevazione di Perondoli al prestigioso soglio arcivescovile della chiesa ravennate. Infatti alla morte del metropolita Giovanni Migliorati, avvenuta nell’ottobre del 1410, il papa, il veneziano Gregorio XII – ignorando la candidatura di Paolo Scordili di Candia, dottore di decreti e preposito di quella chiesa, proposta all’unanimità dal clero e dal popolo ravennate – nominò Tommaso Perondoli arcivescovo dell’antica capitale dell’esarcato. La cerimonia d’insediamento non si tenne a Ravenna ma fu celebrata il 9 aprile 1411 con grande solennità e sfarzo nella cattedrale di Ferrara.
A Ferrara il presule (che negli anni successivi prese parte al Concilio di Costanza, 1414-17) continuò a mantenere stabile dimora, nella contrada di Boccacanale, per tutto il tempo della sua vita. Lasciò infatti ai vicari – come il già citato Paolo Scordili, in seguito trasferitosi anch’egli a Ferrara, e l’abate Biagio da Santa Vittoria – l’adempimento del suo mandato pastorale. Altri furono in quegli anni i suoi interessi prevalenti.
In qualità di familiare e fiduciario degli Estensi Perondoli fu attivo nella vita politica: nel 1424-25 con personalità del rango di Uguccione Contrari e Bartolomeo Mella fece di nuovo parte del consiglio di Nicolò III, col quale trovò – nelle sue vesti di arcivescovo di Ravenna – un accordo per la cessione del territorio di Argenta (l’importante punto di snodo fluviale e mercantile verso il Bolognese sottoposto alla giurisdizione ecclesiastica ravennate) in cambio delle possessioni di Paviola. Come prelato e membro autorevole del collegio universitario dei giuristi oltre che ascoltato consigliere marchionale, Perondoli tenne vivi, inoltre, molteplici contatti che gli permisero di conoscere sia personalità dell’umanesimo estense, come Giovanni Aurispa, sia esponenti della riforma religiosa come Nicolò da Fiesso e il beato Giovanni Tavelli.
Di qualche atto di governo ecclesiastico da lui compiuto, peraltro, resta traccia: agli inizi del 1430 si interessò alla successione di Paolo da Rimini vescovo di Cervia (chiesa suffraganea di Ravenna), e il 13 settembre 1432 concesse il fonte battesimale e la facoltà di battezzare alla pieve di San Zenone di Consandolo.
In quegli anni, Perondoli non partecipò al concilio di Basilea (1431-40), cui pure era stato inviato dal papa Eugenio IV, adducendo a sua giustificazione ragioni economiche e d’impegno pastorale; nominò in sua vece Giacomo Obizzi, vescovo di Adria, prelato di Curia e già referendario di Martino V. Come segretario conciliare ebbe, invece, un ruolo di primo piano nel Concilio dell’unione (1438-45), in particolare durante la prima parte che si svolse a Ferrara a partire dall’8 gennaio 1438. Assieme a eminenti personalità ecclesiastiche, sensibili al rinnovamento della Chiesa (il vicario papale Nicolò Albergati; Lodovico Barbo, già abate di S. Giustina di Padova e da poco elevato alla sede vescovile di Treviso; il camaldolese Ambrogio Traversari; il vescovo di Padova Fantino Dandolo), si adoperò per un verso allo scopo di vanificare le tendenze conciliariste e antipapali dell’assise basiliense, dall’altro per conseguire la riunione della Chiesa bizantina con quella di Roma.
Il 26 dicembre 1441, quando giunse la notizia della morte a Milano del signore di Ferrara, Perondoli celebrò la messa d’ingresso del nuovo principe Leonello, e il 30 di quel mese tenne il panegirico in onore del marchese defunto. A conferma delle sue salde relazioni con l’entourage di governo, Uguccione Contrari, figura autorevole della società di Nicolò III, nelle sue ultime volontà, dettate il 10 luglio del 1442, pose l’arcivescovo ravennate tra i suoi esecutori testamentari.
Morì a Ferrara il 28 ottobre 1445. Il suo corpo fu collocato in un’urna marmorea nella chiesa di S. Domenico.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Archivio di Stato, Archivio Notarile, Francesco Dal Ferro, mtr. 1, pacco 1 (1341 giugno 18, Ferrara; 1341 ottobre 19, Ferrara;1348 gennaio 19, Ferrara); ibid., Pietro Lardi, mtr. 43, pacco 1 (1419 agosto 31, Ferrara); ibid., Nicolò Bischizi, mtr. 23, pacco 1 (1401 settembre 17, Ferrara); ibid., Dolcino Dolcini, mtr. 68, pacco 1 (1433 maggio 3, Ferrara); ibid., Urbano Rossetti, mtr. 92, pacco 1 (1442 luglio 10, Ferrara); Ravenna, Archivio di Stato, Archivio Notarile, Memoriale XXXIV, cc. 112r, 131r; Rovigo, Archivio di Stato, Archivio Notarile, Giacomo Delaito, b. 438 (1403 luglio 22, Ferrara); Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, ms. cl. I, 125 (= G.A. Scalabrini, Notizie storiche del capitolo di Ferrara), cc. 103, 115v; ibid., manoscritto. cl. I, 221, Famiglie di Ferrara, s.v. Perondoli; ibid., Collezione Antonelli, 868, b. 4 (1367 ottobre 21, Ferrara), b. 12 (1381 gennaio 15, Ferrara); b. 13 (1389 agosto 1, Ferrara), b. 16 (1401 ottobre 6, Ferrara e novembre 16, Ferrara).
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