PADOA-SCHIOPPA, Tommaso
PADOA-SCHIOPPA, Tommaso. – Nacque a Belluno il 23 luglio 1940, terzo di quattro fratelli, da Fabio, all’epoca insegnante e poi amministratore delegato delle Assicurazioni Generali, e da Stella Schwarz.
Durante la guerra la famiglia cercò riparo da eventuali persecuzioni razziali a Sori (Genova), perché la madre, pur cristiana, era di origine ebraica.
Compì gli studi al liceo Petrarca di Trieste, conseguendo la maturità nel 1959; si iscrisse poi alla facoltà di economia dell’università Bocconi a Milano dove si laureò con il massimo dei voti nel luglio 1966, discutendo una tesi in scienza delle finanze (Effetti della spesa pubblica sulla distribuzione del reddito) con Aldo Scotto.
Nel corso degli anni universitari maturò l’idea di voler perseguire una carriera di civil servant, non comune in giovani della sua estrazione familiare, ma coerente con le sue inclinazioni: attenzione ai temi sociali, fiducia nel ruolo dello Stato, comprensione per il movimento studentesco, nel quale Fiorella Kostoris, sua moglie dal giugno 1966, era impegnata. Tra agosto 1966 e febbraio 1968 lavorò per una ditta privata. Nel 1968 rinunciò a una borsa di studio della Bocconi per partecipare a un corso di qualificazione della Banca d’Italia; in quello stesso anno vinse la borsa di studio Stringher – erogata dalla Banca e intitolata al suo primo governatore, Bonaldo Stringher – grazie alla quale poté trascorrere un anno all’estero. Scelse il MIT (Massachusetts Institute of Technology) a Boston, dove lui e sua moglie furono accolti come special students e dove nel 1970 svolse la tesi di master (Portfolio preferences of the public and the effectiveness of monetary policy).
Al MIT sviluppò un rapporto intenso con l’economista Franco Modigliani, col quale scrisse nel 1977 un articolo sui problemi dell’indicizzazione dei salari per la stabilità economica (La politica economica in una economia con salari indicizzati al 100 o più, in Moneta e credito, XXX, 117, pp. 3-53), che confermò la vocazione a misurarsi con i temi e i problemi dell’attualità più che con argomenti strettamente accademici. Dopo 18 mesi la Banca d’Italia lo richiamò a Roma.
Qui nel 1970 nacque il figlio Camillo, seguito da Caterina (1974) e Costanza (1975).
Assegnato al Servizio studi, allora diretto da Carlo Azeglio Ciampi, iniziò a lavorare nell’Ufficio mercato monetario. Nonostante la giovane età, gli fu offerta la possibilità di collaborare alle considerazioni finali dei diversi governatori e di entrare in contatto con i membri del Direttorio. In queste occasioni non si mostrò mai accondiscendente; la forza delle sue argomentazioni e la capacità di sostenerle furono, non a caso, apprezzate da Paolo Baffi. Nel 1973 avanzò domanda, senza successo, per la carica di Head of Monetary Division all’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).
L’Italia stava allora entrando in un lungo periodo d’instabilità economica: il sistema di cambi fissi di Bretton Woods non forniva più un’ancora alla politica monetaria, la crisi petrolifera aveva imposto gravi oneri ai paesi importatori di petrolio e un sistema politico in affanno cercava di attenuare le tensioni sulla distribuzione del reddito con ampie dosi di spesa pubblica non coperta dalle entrate. Nel 1976 il tasso d’inflazione sfiorava il 21%, il deficit statale era salito a livelli attorno al 10% e il debito pubblico cominciava la sua precipitosa ascesa, mentre un’imbracatura di controlli diretti cercava di attenuare i sintomi derivanti da un deficit pubblico e da un finanziamento monetario fuori controllo. Più in generale, si palesava con crescente evidenza la tensione fra il perseguimento degli ideali europeisti, che richiedevano un’Italia economicamente sana per contribuire al processo d’integrazione europea, e la realtà di un paese che non riusciva a controllare costi e conti.
Un’occasione per contribuire a superare la tensione fra ideali europeisti e realtà nazionale si presentò a Padoa-Schioppa nel 1978, quando collaborò con il ministro Filippo Maria Pandolfi alla stesura del Programma per lo sviluppo, una scelta per l’Europa. Il piano Pandolfi fu travolto e vanificato dall’instabilità dell’economia italiana, ma la collaborazione portò Padoa-Schioppa alla nomina a direttore generale per gli affari economici e finanziari della Commissione europea. Nel 1979 visse altri due avvenimenti importanti: l’incontro con Jacques Delors e il lancio del Sistema Monetario Europeo (SME).
L’adesione dell’Italia allo SME non era scontata: il desiderio di parteciparvi si scontrava con la consapevolezza, data l’inflazione elevata e i deficit di bilancio, di non poter assumere un impegno sulla stabilità del cambio. Davanti a questo dilemma, Padoa-Schioppa non si rassegnò a considerare l’Italia incapace di raggiungere l’obiettivo; importante fu il suo contributo – volutamente invisibile per evitare imbarazzi istituzionali – alla stesura di un articolo sul Corriere della Sera (I pro e i contro per l’Italia nello SME, 1° dicembre 1978) a firma Modigliani, destinato a influenzare la decisione positiva del governo.
Con il trasferimento a Bruxelles nel 1979 si trovò a lavorare in un ambiente più difficile, ma forse per lui più congeniale rispetto al Servizio studi della Banca. Non tacque mai, però, i limiti della Commissione.
In una nota del 25 marzo 1983, a fine mandato, scrisse: «S’íl fallait caractériser par un seul thème le temps de mon service a la DGII, je choisirais le SME»; e ancora «je considère que dans les matières qui intéressent la DGII, ces traits se ramènent a deux concepts: nécessité d’une construction progressive de l’Europe; valeur centrale de la professionnalité. Du premier j’ai trouve au Berlaymont [sede della Commissione] une présence vive, […] du second j’ai trouvé une carence» (Firenze, European University Institute - Historical Archives of European Union [AUE], b. 290). Un giudizio non distante espresse molti anni dopo su alcuni funzionari della Banca centrale europea (BCE): «Nei miei anni alla Banca centrale europea, potei confrontare […] le diverse scuole di dodici banche centrali che erano confluite nell’Eurosistema. Mi sorprendevo nel vedere […] quanto spesso il comportamento e lo stile dei funzionari […] provenienti da altre banche centrali fossero inquinati da difetti che in via Nazionale venivano banditi come vere e proprie violazioni di un corretto costume di lavoro: conformismo, riluttanza alla discussione aperta, confusione tra considerazioni analitiche e considerazioni di opportunità politica, inclinazione a esprimere solo il pensiero gradito ai superiori gerarchici» (Due anni di governo dell’economia, a cura di C.M. Fenu - A. Padoa Schioppa, Bologna 2011, p. 649).
Durante la sua permanenza a Bruxelles la conduzione dello SME fu rafforzata, ma non raggiunse gli obiettivi fissati nel 1980 dalle risoluzioni dei Consigli Europei di Brema e Bruxelles, che prevedevano tra l’altro il pieno utilizzo dell’«ECU as a reserve asset and a means of settlement» e la creazione di un «European Monetary Fund to replace the E[uropean] M[onetary] C[ooperation] F[und]» (AUE, b. 200). Il mancato obiettivo fu la conseguenza, da una parte, dell’incompletezza delle proposte della Commissione – che accennavano appena alla necessaria base istituzionale, il cosiddetto «central bank type EMF», ponendo eccessiva enfasi sullo sviluppo dell’ECU – dall’altra, delle svalutazioni e rivalutazioni che si susseguivano nello SME, incongruenti con i progressi in campo monetario.
Nel marzo 1983 Padoa-Schioppa tornò in Banca d’Italia come responsabile della ricerca economica e nel 1984 fu nominato vicedirettore generale. Nella seconda metà degli anni Ottanta coordinò la stesura del Libro Bianco sul sistema dei pagamenti e s’impegnò nella revisione della legge bancaria. Il tema dell’unificazione europea rimase però sempre al centro dei suoi interessi; prova ne fu l’attenzione con la quale seguì le vicende del Progetto di trattato istitutivo dell’Unione europea, approvato nel febbraio 1984 dal Parlamento Europeo, per iniziativa di Altiero Spinelli.
In una commemorazione per il ventesimo anniversario della scomparsa di Spinelli, oltre a ricordare gli anni precedenti la formazione del Comitato Delors e l’intenso scambio avuto con Spinelli e Delors, rese merito a Delors di avere anticipato «al 1988 la liberalizzazione dei movimenti di capitale, la liberalizzazione finanziaria, innescando così quello stringersi di contraddizioni che portò a riconoscere come sola via d’uscita la moneta unica» (Scritti per il «Corriere», 1984-2010, Milano 2011, p. 633). Rispetto all’unificazione europea coltivò sempre l’idea di un processo di costruzione dell’unità passo dopo passo, in linea con l’approccio funzionalista di Jean Monnet, improntato alla ricerca non della soluzione perfetta ma di quella realistica.
Il Consiglio europeo di Hannover, nel giugno 1988, coincise con l’inizio del periodo più bello della sua vita professionale, nel quale poté dare un contributo importante alla nascita dell’euro. Qui, i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea chiesero a Delors di presiedere un Comitato che aveva il compito di studiare e proporre passi concreti verso l’unione monetaria. Padoa-Schioppa ne divenne segretario, ma non senza controversie.
Il Consiglio Europeo di Hannover chiese al Comitato Delors di individuare i modi e i tempi per raggiungere l’unione monetaria, non se questa dovesse essere perseguita; tuttavia, l’entusiasmo di Padoa-Schioppa (e di Delors) rendeva necessario, secondo alcuni, un contrappeso. Questo fu trovato in Gunter Baer, all’epoca segretario generale della Banca dei regolamenti internazionali. Padoa-Schioppa inizialmente risentì di questo affiancamento (note manoscritte del 18 luglio 1988, in AUE, b.6), ma il desiderio di contribuire all’impresa fu più forte di qualunque riserva.
Identificato il limite del rapporto Werner, presentato nel 1970 («the W[erner] R[eport] states the objective correctly but does not indicate the means necessary to reach it» [28 luglio 1988, AUE, b. 184]), il Comitato Delors doveva ancora superare due difficoltà di natura politica: «Discutere […] senza: (i) bloccarsi sulla domanda se sia desiderabile; (ii) bloccarsi sul problema dei passi intermedi. […] Non si parlerà di i e ii. Questo è un espediente di metodo» (note manoscritte del 19 settembre 1988, ibid.).
Il primo ostacolo, relativo all’opportunità dell’unione monetaria, fu rapidamente superato come pregiudiziale esplicita. Ma riapparve quando si discusse il secondo tema: quali innovazioni bisognava realizzare nel coordinamento della politica fiscale per sostenere una politica monetaria unica? E il progresso fino al completamento dell’unione, doveva avere tempi certi o dipendere dal raggiungimento di precise condizioni? Questa ambiguità non fu pienamente risolta neanche con la stesura finale del rapporto.
L’opinione di Padoa-Schioppa riguardo alle innovazioni necessarie nel coordinamento della politica fiscale risulta dal confronto di due versioni di un paragrafo di un documento del 22 settembre 1988. La versione originale – «National fiscal policies would have to be coordinated closely with a view to both avoiding financial and real disturbances from divergent policies and formulating a coherent monetary/fiscal policy mix for the Community as a whole» – fu modificata in «How closely would national fiscal policies have to be co-ordinated with a view to both avoiding financial and real disturbances from divergent policies and formulating a coherent monetary/fiscal policy mix for the Community as a whole ?» (AUE, b. 184). L’introduzione del punto interrogativo rigettava la creazione di una vera precondizione per il raggiungimento dell’unione, a vantaggio di una ipotesi di realizzazione per tappe, da scandire attraverso date precise. Le differenti opinioni riguardo alla tempistica e/o alle precondizioni da soddisfare per passare all’unione rischiarono di compromettere un accordo nel Comitato. In più occasioni Padoa-Schioppa constatò la forte opposizione del presidente della Bundesbank, Karl-Otto Pöhl, alle formulazioni più ambiziose del rapporto in preparazione.
Il Rapporto Delors fornì alla fine la base sulla quale si costruì l’unione economica e monetaria, ma quando fu presentato (aprile 1989), questa conclusione non era scontata. Padoa-Schioppa s’impegnò con determinazione a far approvare il rapporto dal Consiglio Europeo, a redigere un trattato che integrasse il Trattato di Roma, a specificare meglio la transizione verso la fase finale, a correggere la situazione economica, che all’inizio degli anni Novanta mostrava evidenti segni di instabilità.
In una nota del 13 febbraio 1990 a Delors (AUE, b. 365) consigliò di limitare la discussione in ambito europeo all’unione monetaria per evitare manovre dilatorie e difficoltà. In contrasto con questa idea, in Vers une constitution fédérale de l’union européenne dell’aprile 1990 si legge: «Jacques Delors a proposé – le 17 janvier 1990 – d’associer à la négociation intergouvernementale sur l’UEM une réflexion parallèle sur la réforme globale de la CEE» (AUE, b. 222). Le proposte in questo campo si rifacevano al progetto di trattato adottato dal Parlamento Europeo il 14 febbraio 1984 (Progetto Spinelli), secondo cui l’unione doveva essere accompagnata da progressi verso l’unione politica. Quanto alla necessità di specificare in modo più dettagliato la transizione verso la fase finale, non fu accolta la proposta di costituire la Banca centrale europea all’inizio della seconda fase (idea sostenuta da Padoa-Schioppa nel saggio The transition to EMU in the Maastricht Treaty, con L. Bini-Smaghi e F. Papadia, in Essays in International Finance, n. 194, 1994; e in un documento preparato, dietro suo input, in Banca d’Italia il 24 dicembre 1990, in AUE, b. 199).
Sebbene non si realizzassero né la costituzione della BCE all’inizio della seconda fase, né lo sviluppo progressivo dell’ECU, l’unione monetaria fu alla fine raggiunta. I rischi più gravi per l’Unione vennero, però, dall‘instabilità economica. Nel 1991 Padoa-Schioppa fu nominato membro di un gruppo ad alto livello Italia-Commissione CEE per il programma sulla convergenza, assieme a rappresentanti della Commissione europea.
Ancora una volta un’inflazione troppo alta e gravi deficit fiscali ostacolavano l’unione monetaria. Padoa-Schioppa sintetizzò efficacemente il problematico caso italiano: «a. sul piano economico e monetario, una situazione di finanza pubblica e un tasso di inflazione come quelli prevalenti in Italia costituiscono un ostacolo oggettivo al lancio della fase istituzionale dell’UEM; b. sul piano politico e negoziale, la divergenza economica dell’Italia fornisce un motivo di vera preoccupazione per gli altri paesi e un pretesto alle forze che copertamente si oppongono al progredire dell’integrazione europea» (documento del 27 maggio 1991 in AUE, b. 222). Riemergeva così un motivo ricorrente della sua biografia: come assicurare la coerenza tra la difficoltà dell’Italia di controllare inflazione e conti pubblici e il desiderio di contribuire al progresso verso l’unione monetaria.
La convinzione che stabilizzazione economica e integrazione dovessero svilupparsi in parallelo è confermata da uno scambio di lettere con Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, ai cui timori riguardo al rischio di marginalizzazione dell’Italia (lettera del 18 giugno 1991), replicò (AUE, b. 222) che, pur condividendo le sue preoccupazioni, non riteneva le condizioni più difficili di quelle che si avevano prima di ogni Consiglio Europeo importante; e, senza perciò nascondersi le grandi difficoltà da superare, ribadiva la necessità di perseguire il duplice obiettivo del risanamento dell’economia italiana e della costruzione dell’UEM. Le note di Padoa-Schioppa durante una riunione del 24 settembre 1991, mostrano, tuttavia, che le condizioni politiche non permettevano di prendere le misure necessarie (AUE, b. 222). Da parte di alcuni partecipanti emerse una ricerca quasi disperata di correzioni fiscali, mentre altri non sembravano consapevoli della gravità della situazione. «P[alazzo] Chigi, Andreotti, Martelli, Carli, Formica, Pomicino, Cri…[non leggibile], Monorchio, Vattani, TPS, […]. Carli: sappiamo che dal lato della spesa non otterremo nulla. […] Formica: Pericolo che anche le parti sociali si coalizzino contro il Governo. Parla contro l’idea Pomicino per le pensioni. Venga Padoa-Schioppa (non si accorge che sono presente) a fare il ministro del Tesoro. Non è la fine del mondo se il fab[bisogno] è superiore […] Formica: non possiamo fare in 5 anni quello che altri fecero in 50. Monorchio: Cita manovre di B, DK, IRL Carli: Il governo socialista in F ha risanato nello spazio di mesi (si sviluppa la polemica Formica, altri)».
All’inizio degli anni Novanta, il problema della credibilità dell’Italia stava compromettendo il paese e l’unione monetaria. Mentre a febbraio del 1992 il Trattato di Maastricht veniva firmato, a settembre la lira e la sterlina abbandonarono lo SME; peseta e scudo portoghese furono svalutati. La crisi continuò nel 1993 con ulteriori svalutazioni e l’allargamento dei margini di fluttuazione dello SME. Padoa-Schioppa colse la gravità della crisi e confermò in una lettera dell’ottobre 1993 (AUE, b. 199) al capo di gabinetto del ministro delle Finanze belga che il progresso verso l’unione monetaria doveva partire dalla politica monetaria interna, non da una stabilizzazione dei tassi di cambio.
Tra il 1993 e il 1996, coerentemente con la sua attitudine a impegnarsi sia in questioni politiche sia in questioni tecniche e organizzative, diresse i lavori per la riforma del mercato mobiliare italiano. Nel 1997 lasciò la Banca d’Italia per assumere la presidenza della Commissione nazionale società e borsa (CONSOB). Nell’estate del 1998 si trasferì a Francoforte, come membro del Comitato esecutivo della BCE, trasferimento che coincise con la separazione dalla moglie e l’inizio di una relazione con Barbara Spinelli, figlia di Altiero, durata fino alla morte. Alla BCE si confermò la versatilità di Padoa-Schioppa, responsabile di relazioni internazionali, sistemi di pagamento, aspetti legali, stabilità finanziaria.
In quest’ultimo campo maturò alcune convinzioni che la crisi scoppiata nel 2007 avrebbe dimostrato pienamente giustificate, ma che allora incontrarono l’ostinata opposizione dei governi europei. Sostenne «ancora una volta la necessità di un salto di qualità nell’integrazione delle funzioni di regolamentazione e vigilanza finanziaria a livello europeo. […] La proposta di Padoa-Schioppa era quella di muovere a un single rulebook europeo, a regole veramente uniformi, senza alcuno spazio all‘arbitraggio, e a una vigilanza integrata a livello europeo dei gruppi transfrontalieri» (Enria, 2011, p. 9).
Lasciata la Banca centrale europea nel 2005, dopo un breve periodo come presidente dell’International Accounting Standards Committee, dal maggio 2006 fu ministro dell’Economia e delle Finanze nel II governo di Romano Prodi per quasi due anni. Nelle vesti di ministro subì tutto il peso dei limiti dell’Italia nel gestire la propria economia. Se il periodo nel quale contribuì all’unione monetaria fu il più bello della sua vita professionale, quello in cui servì come ministro fu probabilmente il più duro.
Come ha ricordato il figlio Camillo nella cerimonia commemorativa alla Bocconi «Nonostante le critiche – che spesso venivano da ambienti teoricamente amici – della sua esperienza di governo lui era convintamente orgoglioso. […] la sua opinione della situazione politica italiana negli ultimi anni era disastrosa. L’ultima volta che gli ho parlato al telefono, mi disse non sono sicuro che vivrò abbastanza a lungo per vedere la fine di questa terribile stagione. E purtroppo non si sbagliava» (C. Padoa-Schioppa, 2011, p. 3).
Chi ebbe modo di incontrarlo dopo quell’esperienza lo trovò addolorato per non aver potuto portare a termine quanto riteneva necessario. Aveva raggiunto risultati significativi nella gestione del problema economico più duraturo dell’Italia: il deficit di bilancio in proporzione al prodotto interno diminuì infatti di quasi 3 punti percentuali, da 4,3 a 1,5%. Ma pesava l’impossibilità di far seguire alla fase della correzione dei conti pubblici, la fase della crescita: «uscire davvero dalla crisi significa porre il mondo sul sentiero di una crescita che possa durare nel tempo senza sfociare in una nuova catastrofe: una crescita, come dicono gli economisti, sostenibile» (Corriere della Sera, 19 agosto 2009). Alla delusione contribuì però anche la pressione continua, a volte spiacevole, esercitata sul governo da quei ministri per nulla convinti, come lui era, che «fare ordine alla spesa pubblica […] p[otesse] costituire l’occasione, […] per migliorare la qualità dei servizi pubblici e rendere il paese migliore e più competitivo» (ibid., 12 novembre 2006).
Nella sua funzione di ministro si trovò ad affrontare anche temi delicatissimi relativi alle società partecipate dallo Stato, in particolare l’Alitalia, in cui si scontrò con fortissimi interessi economici. La storia di questi temi si potrà però scrivere compiutamente solo quando sarà disponibile il «fittissimo diario personale quotidiano tenuto da Tommaso nei due anni di governo» (Padoa-Schioppa - Fenu, 2011, p. 15).
Morì, improvvisamente, a Roma il 18 dicembre 2010, mentre si apprestava a parlare a una cena cui aveva invitato gli amici più cari.
La bibliografia preliminare dei suoi scritti, pari a 396 titoli, è stata curata dalla Banca d’Italia ed è consultabile all’indirizzo www.bancaditalia.it/ pubblicazioni/pubarbib/bibl_baffi/tommaso-padoa-schioppa-his-writings.pdf.
Fonti e Bibl.: Firenze, European University Institute - Historical Archives of European Union (AUE), Fondo Tommaso Padoa-Schioppa; Roma, Archivio Storico della Banca d’Italia (ASBI), Fondo Padoa-Schioppa, cart. 453 e 466. Committee for the Study of Economic and Monetary Union, Report on economic and monetary union in the European Community, april 17 1989 (Delors Report); Concluding Remarks, in ECB: The Eurosystem, The Union and beyond, An ECB colloquium held in honour of T. P.S., 27 april 2005; C.A. Ciampi, T.P.S. ricordato nella sua università, Milano, 1° febbraio 2011; C. Padoa-Schioppa, Memorial TPS alla Bocconi, 1° febbraio 2011; A. Enria, Presentazione, in T. Padoa-Schioppa, Regole e finanza, Bologna 2011, p. 9; C.M. Fenu - A. Padoa-Schioppa, Nota introduttiva a T. Padoa-Schioppa, Due anni di governo dell’economia (maggio 2006-maggio 2008), Bologna 2011.