MARTINI, Tommaso
MARTINI, Tommaso. – Figlio di Bruno, nacque nel 1688 a Bivongi, in Calabria. Scarse le notizie relative alla sua vita e alle sue opere: la prima e unica fonte storiografica che propone una sua biografia sono le Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani di Bernardo De Dominici.
Che il padre del M. fosse Bruno (Franco, p. 68) e non Francesco – come si può erroneamente ritenere sulla base dell’atto di matrimonio di Francesco con Lucia Baldari, in cui tra i figli è registrato un Tommaso «pittore» – lo dimostrano indagini archivistiche, le quali da un lato rilevano che tra la fine del XVII e la prima metà del XVIII secolo vivevano a Bivongi Bruno Martini e i suoi figli: il «clerico» poi «reverendo» dottore Felice, il «dottor fisico» Domenico (Arch. di Stato di Reggio Calabria, Sezione di Locri, Notaio M. Pisani, Bivongi, b. 91, a. 1700, cc. 25v, 57r), Isabella e Tommaso (ibid., b. 96, a. 1738, c. 53r), dall’altro testimoniano che Francesco era il capostipite di un altro ramo della famiglia documentato a Bivongi nello stesso periodo (ibid., b. 92, a. 1705, c. 63r, e Notaio F. Coniglio, Bivongi, b. 219, a. 1752, c. 18r).
Il M. trascorse i suoi primi diciotto anni tra Bivongi e Stilo, dove vivevano i suoi fratelli Domenico e Felice, che risultano proprietari di alcuni immobili nella parrocchia di S. Marino (Ibid., Notaio M. Pisani, Bivongi, b. 91, a. 1700, c. 25v).
Qui è documentato nel 1701 (Ibid., Notaio M. Curcio, Stilo, b. 97, a. 1701, c. 14v), nel 1702, quando firmò come testimone un atto relativo al monastero di S. Maria Maddalena (ibid., b. 97, a. 1702, numero di pagina illeggibile), e nel 1704 (ibid., b. 98, a. 1704, c. 15r); mentre nel 1705 a Bivongi compare ancora come testimone in un atto relativo alla cappella dell’Immacolata Concezione nella chiesa di S. Giovanni Decollato, luogo caro alla famiglia Martini (Ibid., Notaio M. Pisani, Bivongi, b. 93, a. 1705, f. 79r).
Tale documentazione conferma le notizie riportate da De Dominici (p. 704) secondo cui il M. si recò al seguito del fratello Domenico a Stilo, dove nelle chiese e nei conventi dei numerosi ordini religiosi si conservavano opere di maestri quali Salvo De Antonio e Giovan Battista Caracciolo e, «avendo copiato alcune stampe con la penna diede segni di abilità nella pittura», nel 1706 fu mandato a Napoli «a proseguire i suoi studi per farsi curiale» (ibid.). A Napoli il M. studiò alla scuola del lettore Pietro de Turris e, contemporaneamente, a quella di Francesco Solimena; ma fu anche assiduo della casa di Diego Valletta, nota per la sua biblioteca aperta al pubblico e per la sua ricca collezione di opere d’arte, frequentata da storici, letterati, eruditi e dai più noti artisti del tempo.
Tra il 1721 e il 1723 il M. è documentato a Bivongi: nel 1722 il «Dottor Tommaso Martino» compariva, di fatto, come testimone in un documento relativo alla cappella di S. Antonio della chiesa di S. Giovanni Decollato, di cui era procuratore il reverendo Antonio Martino (tra gli eredi di Bruno Martini era citato appunto un reverendo Antonio Martini insieme con non ben identificati «fratelli di Martino»: Arch. di Stato di Reggio Calabria, Sezione di Locri, Notaio M. Pisani, Bivongi, b. 93, a. 1722, c. 36v).
De Dominici (p. 706) ricordava che al suo rientro a Napoli nel 1723 il M. fu impegnato in «certe sue premurose occupazioni di litigi ne’ tribunali», e che poi, in data imprecisata, si era recato a Roma «per essere insorta altra lite da decidersi nella corte pontificia». A Roma rimase tre anni, per poi rientrare a Napoli ed essere a Bivongi nel 1745 (Arch. di Stato di Reggio Calabria, Sezione di Locri, Notaio M. Pisani, Bivongi, b. 97, a. 1745, c. 38r).
Il M. morì a Bivongi il 25 genn. 1755 «etatis sue annorum 67», come risulta dall’atto di morte in cui è ricordato come «pictor egregius» (Frangipane).
Riguardo alla produzione artistica del M., De Dominici proponeva un catalogo delle opere ordinato per area geografica: Napoli, Calabria, Roma. Stando al biografo, la prima opera pubblica del M. a Napoli, commissionata dall’architetto Giovan Battista Nauclerio, fu la tela con la Crocifissione, le tre Marie e s. Giovanni, tuttora esistente, destinata alla chiesa di S. Francesco delle Cappuccinelle nel rione Pontecorvo, che lo stesso Nauclerio stava costruendo. Fu eseguita tra il 1715 e il 1718, anno al quale risale il saldo di pagamento (Pavone, p. 513), e pagata, secondo un inventario degli arredi della chiesa, non datato, ma sicuramente successivo al 1718 (Arch. di Stato di Napoli, Monasteri soppressi, Chiesa di S. Francesco delle Cappuccinelle, vol. 4540, cc. 7, 8), «onze 82», quando l’autore «ne pretendeva 110». Da questo stesso documento risulta che sull’altar maggiore della chiesa si trovava la pala con l’Immacolata Concezione di F. Solimena, anch’essa databile tra il 1715 e il 1718 e ciò confermerebbe come i primi anni di attività del M. a Napoli si svolgessero nell’orbita di Solimena e del suo entourage. Non è un caso che la seconda opera ricordata da De Dominici sia la tela con S. Nicola di Bari (ancora in loco) per la chiesa della Concezione a Montecalvario, edificata da Domenico Antonio Vaccaro, discepolo di Solimena, autore tra il 1720 e il 1725 di quattro dipinti per la stessa chiesa. Non è improbabile che anche la tela del M., iconograficamente simile al dipinto di Mattia Preti con lo stesso soggetto oggi al Museo nazionale di Capodimonte (Malaspina, p. 7), sia stata eseguita nel medesimo arco di tempo.
Il M. lavorò anche a fresco (si ricorda la Vergine che rivela a s. Pio V la vittoria della flotta cristiana nella battaglia di Lepanto che decorava l’entrata del chiostro della Ss. Trinità degli Spagnoli, oggi non più visibile); ma soprattutto dipinse quadri di storia e si specializzò nei ritratti, anche di piccole dimensioni, tra i quali il proprio e quello di suo fratello Felice.
Tra le tele che il M. eseguì per i privati, e che oggi risultano perdute, De Dominici (p. 705) citava diverse opere «in piccolo» per la famiglia Valletta: una «Nascita di Nostro Signore» per l’avvocato Giuseppe Onemma, quattro ritratti per Ferdinando Carafa dei principi di Belvedere (tre di essi furono incisi in rame da Antonio Baldi e due ornano i frontespizi dello Sposalizio del salmo 118 e del Principio della S. Fede fatti stampare a Napoli dallo stesso Carafa rispettivamente nel 1728 e nel 1744), diversi ritratti per il «principe di Teora» Giuseppe Maria Mirelli, un ritratto per Scipione Cicala (anch’esso destinato a essere inciso in rame da Baldi per il frontespizio di «una tragedia data alle stampe dallo stesso cavaliere»). Spesso il M. lavorò per gli stessi committenti di Solimena, tra i quali Luigi Tommaso conte di Harrach, viceré del Regno di Napoli dal 1728 al 1733. Quest’ultimo aveva acquistato diverse opere di Solimena e gli aveva commissionato personalmente anche il proprio ritratto e quello della moglie; mentre il M. fu incaricato di eseguire i ritratti «della contessa, e del contino di Turino, figlia, e nipote del conte». Tra le numerose opere eseguite per i «signori inglesi» che testimoniano di uno stretto rapporto tra il M. e la comunità anglosassone a Napoli vanno ricordati due rami grandi con La morte di Ammone nel convito di Assalone e La cena di Baldassarre e quattro quadretti rappresentanti rispettivamente Alessandro Magno con Diogene Cinico, La morte di Celano filosofo, Antioco innamorato della matrigna, Scipione Africano che dà la sua prigioniera al suo padre rifiutando i doni offerti da quello, commissionati da John Fleetwood, console inglese, e da suo figlio, per conto dei quali il M. lavorò per circa un anno e mezzo (De Dominici ricordava queste e altre opere del M. nel casino di campagna dei Fleetwood a Torre del Greco).
Delle opere che il M. eseguì in Calabria, De Dominici elencava quelle per i «Padri Certosini di Santo Stefano in Bosco», tra cui gli affreschi – andati distrutti nel terremoto del 1783 con l’intera ala dell’edificio – con l’Assunta, i ss. Brunone e Stefano e altri santi sulla volta della spezieria, e il dipinto della Madonna della Pietà nella cappella dei Procuratori, di cui oggi non rimane traccia; tre tele, delle quali rimangono un’Incoronazione della Vergine da parte della ss. Trinità, con i ss. Francesco d’Assisi, Antonio da Padova e Caterina d’Alessandria, e una Madonna del Carmine e anime purganti, entrambe già a Petrizzi nella chiesa della Ss. Trinità, oggi nella chiesa di S. Maria della Pietra; un ritratto del Duca di Petrizzi, oggi perduto; il dipinto raffigurante la Madonna del Rosario, i ss. Domenico, Rosa e angeli con i quindici misteri del Rosario, che si trova nella chiesa di S. Agazio a Guardavalle, è l’unica opera nota firmata e datata: «Dom. Rossi Proc. – T. Martini P. – MDCCXIII».
Il biografo ricordava anche un dipinto della Madonna del Rosario nella chiesa di Monterosso. La Confraternita del Rosario di Monterosso fu fondata nel 1722 nella chiesa parrocchiale di S. Nicola di Bari e funzionò sino al terremoto del 1783, per poi riaprire il 3 genn. 1838 (Mileto, Arch. stor. diocesano, Monterosso, b. VI.III.629, c. sciolta). Considerando che il M. soggiornò stabilmente a Bivongi tra il 1721 il 1723, è ipotizzabile un suo intervento a Monterosso proprio in concomitanza con la fondazione della Confraternita. Il dipinto, che con ogni probabilità si trovava nell’antica chiesa parrocchiale, è stato identificato con quello oggi collocato sul soffitto della chiesa del Ss. Rosario; tuttavia l’opera risulta piuttosto mediocre e non sembra ascrivibile al Martini.
Sino alla seconda metà del secolo scorso si poteva vedere il dipinto, oggi disperso, con la Madonna del Rosario con s. Rosa e altri santi nella chiesa matrice di Bivongi, che presentava significative analogie con la tela rappresentante S. Francesco da Paola che concede il cordone del III Ordine dei minimi a s. Francesco di Sales e a s. Caterina di Valois nella chiesa del monastero di S. Francesco a Paola: donde l’attribuzione al M. di quest’ultima opera. Al M. era ascritto anche un dipinto con S. Francesco da Paola, conservato in casa del parroco Cherubino Raspa di Bivongi, oggi disperso, forse conservato presso gli eredi Raspa a Roma (Franco, p. 47).
A Roma il M. lavorò, oltre che per importanti committenti della Curia romana, per il conte Pietro Giraud (che De Dominici erroneamente dice inglese), il quale gli commissionò il ritratto dei quattro figli (disperso). Eseguì poi il dipinto della Vergine del Rosario e i quindici misteri ancora nella chiesa di S. Giovanni Evangelista a Bocchignano, forse commissionato da un membro della famiglia locale dei Guadagna (Malaspina, p. 8). Rientrato a Napoli, proseguì la sua attività eseguendo numerosi «ritrattini», tra i quali quello di Francesco Valletta, della sua sposa Maria Angiola Quagliarelli e del loro figlio.
Delle opere sopra indicate quelle pervenute e ascrivibili con certezza al M. presentano l’artista come un fedele rappresentante della tendenza di gusto purista che era stato appannaggio di Solimena a partire dalla fine del XVII secolo e almeno sino agli anni Trenta del XVIII secolo, e come un importante rappresentante della corrente solimenesca diffusasi anche in Calabria nel XVIII secolo.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli 1743, pp. 704-707; A. Frangipane, Per la biografia di T. M., in Brutium, XX (1942), 6, pp. 61 s.; R. Malaspina, Aspetti inediti del pittore T. M. nel ’700 napoletano, ibid., LXVII (1988), 1-2, pp. 5-10; E. Franco, T. M. pittore bivongese del ’700, Davila Marina 1991; M.A. Pavone, Pittori napoletani del primo ’700: fonti e documenti, Napoli 1997, p. 513; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 179.