GIANNOTTI RANGONI, Tommaso
Nacque a Ravenna nell'agosto 1493 da una famiglia Giannotti o Zannotti, borghese e probabilmente agiata.
Nulla sappiamo dei suoi genitori e dei suoi primi maestri, che saranno stati probabilmente quelli che reggevano allora la scuola superiore di lettere latine del Comune di Ravenna, cioè Niccolò Ferretti e Giovanni Francesco Berti, due umanisti minori dotati di eccellenti qualità pedagogiche.
Terminato questo corso di studi, il G. si trasferì a Bologna in un anno per noi imprecisabile, ma probabilmente verso il 1510, per seguire i corsi di filosofia e medicina allo Studio, dove dal 1511 aveva cominciato a insegnare con sempre maggior successo l'antiaverroista Pietro Pomponazzi. Qui, il 13 marzo 1513, il G. difese alcune Conclusiones di filosofia sotto la direzione di Panfilo Monti, uno dei più rappresentativi scolari del defunto averroista Alessandro Achillini (l'edizione in un foglio volante con la titolazione: Permissu invictissimi artistarum et medicorum Studii Bononienisis domini magistri Stephani Strutii Parmensis… Thomas Philologus Ianothus Rhavennas de conclusionibus his dissertabit, Bononiae, H. Benedictis, 1513; una copia, probabilmente unica, in Arch. di Stato di Bologna, Riformatori dello Studio, 57, n. 349). Tra il 1513 e il 1514 assunse uno degli insegnamenti minori, lasciati solitamente a disposizione degli scolari più bravi e più poveri (le cosiddette "lecturae Universitatis"), cioè una "lectura philosophiae", che, secondo la testimonianza del G. stesso, sarebbe stata nient'altro che un corso di astrologia.
Come si vede, sia nella stampa delle Conclusiones, sia nella notazione dei rotuli dello Studio, il G. appare già munito del nomen umanistico di "Philologus", di cui si insignirà per tutta la vita. Nei primi giorni del 1514 uscì a stampa la sua prima operetta astrologica a noi nota, un pronostico per quell'anno, dedicato al magistrato dei Savi di Ravenna: Iuditio… de lo anno MDXIIII (s.n.t., ma probabilmente: Bologna, G. da Rubiera, 1514). Al Iuditio seguì, a distanza di pochi giorni, un foglio volante: Pronostico… sopra le significatione del monstro nato a Bologna e nel Iudicio suo del presente anno da lui pronosticato, dedicato al cardinale Achille de' Grassi (Bologna, senza indicazione di tipografia, 1514; una parallela edizione latina a stampa è segnalata da O. Niccoli in una collezione privata), nel quale il G. forniva la spiegazione astrologica di una nascita mostruosa avvenuta allora nella campagna bolognese, chiarendo come essa fosse un ulteriore segnale delle catastrofi da lui annunciate nel precedente Iuditio: epidemie, terremoti e guerre, dalle quali l'Italia si sarebbe potuta salvare forse solo per l'azione salvifica del nuovo papa Leone X. Nell'agosto e settembre 1514 il G. era a Ravenna dove portò a termine le due redazioni, latina e italiana, del pronostico per il 1515, stampate a Bologna a distanza di pochi mesi l'una dall'altra (Pronosticon anni MDXV, s.l., G. da Rubiera, 1514; Pronostico del anno MDXV, s.l., Pecin da Rubiera, 1515).
Entrambi i libretti sono dedicati al cardinale Giulio de' Medici, legato di Bologna e dell'esarcato di Ravenna, dal G. smaccatamente adulato, e sono strutturati come un dialogo tra Apollo e la Sibilla Eritrea, cioè in una forma letteraria insolita per i pronostici, ma usata già nel 1495 da Antonio Manilio e scelta proprio quello stesso anno anche da Luca Gaurico (amico, secondo una tarda testimonianza di F. Sansovino, del G.) nel suo fortunatissimo Apollinei spiritus axiomaticum pronosticum ab anno 1515 usque ad annum 1520.
Sempre al cardinal de' Medici il G. dedicò, alla fine del 1515, il vaticinio per il 1516: Pronostico dello anno 1516 (Bologna, senza indicazione di tipografia, 1515). Il 21 ag. 1516 il G. si laureò a Bologna in medicina e arti, sopperendo alle tasse per la cerimonia con i proventi della sua precedente lettura del 1513-14. Uno dei suoi "promotori" fu l'astrologo bolognese Ludovico de' Vitali, famoso compilatore di vaticini annuali e futuro suo avversario nella polemica che si accese di lì a poco a proposito dei pronostici "diluviali" per il 1524. Subito dopo la laurea il G. si recò a Roma come medico del cardinal Domenico Grimani, che l'astrologo aveva forse avuto occasione di conoscere nei mesi trascorsi dal prelato a Bologna, tra il 1515 e il 1516, al seguito del papa.
Oltre che a servire nella corte del dottissimo Grimani e a interessarsi, forse, alla questione della riforma del calendario, dibattuta proprio allora nelle ultime sessioni del concilio Lateranense, il G. tenne allo Studio di Roma, verosimilmente tra il 1516 e il 1517, una lettura di astronomia. Poi, nell'ottobre 1517, è probabile che egli abbia seguito nel Veneto il cardinale, in forte disaccordo con il papa e la sua politica. Forse proprio per interessamento del Grimani il G. ottenne nel settembre 1518, per tutto il 1519, una lettura di "sophistica" allo Studio di Padova.
Era questa una cattedra nuovamente istituita dopo che era stata soppressa anni prima, in cui si insegnavano astuzie dialettiche e tecnicismi a uso delle dispute, aborriti dal Pomponazzi, ma il cui studio era coltivato, invece, dagli scolari bolognesi di A. Achillini, sotto la cui direzione il G. aveva fatto i suoi studi.
Tra il 1519 e il 1520 il G. passò all'insegnamento, a lui certo più congeniale, di astrologia e matematica, lettura che gli venne riconfermata nell'agosto 1520 per tutto il 1521. Ma dopo aver appena iniziato le lezioni con una prolusione in lode delle scienze matematiche e dell'astrologia, il G. abbandonò improvvisamente, "insalutato hospite", lo Studio di Padova, accettando la carica di medico e astrologo alla piccola corte del modenese conte Guido Rangoni, uno dei generali dell'esercito pontificio. Questi fatti sono raccontati con ostentazione in un lungo discorso autoelogiativo premesso a un'operetta data dal G. alle stampe nel 1520-21: De mathematicarum praesertimque astrologiae laudibus et dignitate oratio (l'unica copia reperita è rilegata nel cod. Marc. lat. VII.37 [=3601] della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia), brutta imitazione della più celebre prolusione pronunciata dal Gaurico a Ferrara nell'ottobre 1507, la De astronomiae seu astrologiae inventoribus, utilitate, fructu et laudibus oratio.
Durante questa sua permanenza nel Veneto il G. aveva continuato per il florido mercato librario veneziano la sua attività di scrittore di pronostici, pubblicando nel 1518 il Pronostico de lo anno 1518 (Venezia, senza indicazione di tipografia, 1518) e il Pronostico de lo anno 1519 (ibid., M. Vitali, s.d. [ma probabilmente 1518]). Tra la fine del 1520 e la primavera del 1521 il G. seguì il Rangoni, impegnato in piccole operazioni militari difensive contro truppe ispano-imperiali sotto le mura di Fermo e di Rieti; poi, sottoscrittasi nel maggio 1521 la lega tra Carlo V e Leone X, lo accompagnò a Modena, di cui il Rangoni era stato nominato comandante militare (governatore civile per la Santa Sede era Francesco Guicciardini). Qui, alla fine del 1521, il G. pubblicò, dedicandolo al Rangoni, il De optima hominum felicitate contra Aristotelem et Averoim ceteros necnon philosophos (Modena, A. Rococciolo, 1521).
Si tratta di un modesto opuscolo in cui sono prese in esame e confrontate tutte le concezioni del sommo bene dei filosofi classici e medievali, ricavando molto materiale dossografico soprattutto dal De voluptate di Marsilio Ficino. Alla fine la concezione cristiana della somma felicità viene fatta risaltare sopra tutte le altre, insistendo soprattutto con tono predicatorio nella critica alla "empia" teoria averroistica della "felicità intellettuale", così caratteristica dei suoi maestri bolognesi.
Ma ben presto il G. riprese la sua veste di astrologo, gettandosi, probabilmente d'accordo con il Gaurico, nella polemica che si era accesa a proposito del diluvio pronosticato per il 1524. Come è noto, il Gaurico e altri astrologi avevano da tempo annunziato, in alcuni loro vaticini, l'accendersi di lotte di religione promosse da uno pseudoprofeta e un diluvio per il 1524, a causa della congiunzione dei pianeti nel segno dei Pesci. Soprattutto quest'ultima catastrofica pronosticazione era stata confutata da uno dei più famosi peripatetici d'Italia, Agostino Nifo, in un opuscolo del 1519, il De falsa diluvii pergnosticatione (Napoli, G. Pasquet de Sallo, 1519). A questa operetta il G. rispose nel 1522 con il De vera diluvii pergnosticatione anni MDXXIIII ad Karolum max. imperatorem (Roma, senza indicazione di tipografia, 1522), della quale venne subito pubblicata, in due tirature leggermente diverse, una redazione volgare, il De la vera pronosticatione del diluvio del mille e cinquecento e vintiquattro (s.n.t.).
Nell'opuscolo, il G. - che cita anche tesi astrologiche del Rangoni, con la cui politica propagandistica era quindi solidale - difende il Gaurico e ribadisce l'annunzio di un profeta proveniente dal Nord "multas gentes ac populos ad se alliciens" e di un "ingentissimum diluvium, sed non tale velut Noeticum". Le tesi del G. vennero prontamente confutate dal Nifo nella primavera del 1523 nel De liberatione a metu futuri diluvii contra nonnullos iuniores (Napoli, C. de Silvestro, 1523), dove ci si occupa particolarmente dell'annunzio riguardante lo pseudoprofeta. Lo stesso farà anche J. López de Zúñiga nella sua Epistola super significationibus XVI coniunctionum in signo Piscium que future sunt mense februario huius anni MDXXIIII (s.n.t. [ma Roma 1524]), preoccupato soprattutto di smentire l'ipotesi che questo sovvertitore religioso potesse essere identificato con Lutero. Contro la parte "diluviale" del pronostico del G. scrissero, invece, l'umanista rodigino Francesco Brusoni in una sua epistola esametrica De futuro diluvio vaticinium (s.n.t. [ma Venezia 1524]) e Ludovico Vitali, già promotore di laurea del G., nel Dialogus de diluvii falsa prognosticatione mediis naturalibus et astronomicis refertus (Bologna 1523), dove si mette in scena un allievo del Nifo che vince in una discussione diretta il Giannotti.
Ma una beffarda ed efficace confutazione carnevalesca il G. la ricevette proprio in Modena, la città dove egli soggiornava al servizio del Rangoni. Pare che, analogamente a ciò che avevano prodotto in altre città i pronostici del Gaurico, anche qui, sin dai primi giorni del 1524, l'azione del G. abbia seminato il panico, spingendo alcuni a fuggire in luoghi montani ritenuti sicuri. E lo stesso G. si sarebbe rifugiato sulla montagna modenese, mentre in città il vicario del vescovo Ercole Rangoni ordinava preghiere e processioni per implorare l'aiuto divino. A questa propaganda terroristica i Modenesi, avversi al dominio pontificio e al Rangoni, risposero organizzando un carnevale tutto centrato sulla beffa al diluvio. La mattina del 2 febbraio una maschera lesse sulla piazza di Modena una satirica ordinanza del podestà, in cui si bandiva "misser Diluvio de terra e loco sotto pena de rebelion" e "misser Thomaxo astrologo del signor conto Guido Rangon per essere fugito in montagna per paura del diluvio". Seguì, nei giorni seguenti, l'affissione di parecchi scritti e sonetti satirici e il 4 febbraio si ebbe la recita mascherata di due astrologi nella quale l'uno "alzò suxo li pani et ge mostrò il culo et lo compagno astrologava il suo culo con el sexto": scenetta che divertì moltissimo proprio il governatore Francesco Guicciardini, che, diventato di lì a poco presidente di Romagna, riuscì nel 1525 a procurare al G., "a riguardo de' suoi meriti e virtù", l'aggregazione al Consiglio di Ravenna.
Nonostante la fallita pronosticazione "diluviale", nel gennaio 1525 il Rangoni inviò il G. a Mantova, dove il marchese Federico II Gonzaga l'aveva fatto invitare, tramite lo Zoppino e M. Equicola, per un consulto astrologico. Ritornato a Modena, nel marzo il G. inviava al marchese le due redazioni che si accingeva a pubblicare, latina e volgare, di una perduta operetta: il De liberatione Francisci regis Christianissimi, riguardante la cattura del re di Francia avvenuta frattanto nel febbraio sotto le mura di Pavia. Già da questo primo incontro con la corte di Mantova il G. cercò, forse all'insaputa del Rangoni, di entrare al servizio del marchese, che però cortesemente rifiutò l'offerta dell'astrologo con una lettera del novembre 1525. Tuttavia il G. soggiornò di nuovo a Mantova nell'aprile 1526 richiesto da Federico, che stava decidendo in quei mesi la sua partecipazione, poi confermata, alla Lega santa antimperiale di Cognac.
Proprio per venire incontro al desiderio, altrimenti noto, del Gonzaga di sfruttare il potere previsionale dell'astrologia in un momento di difficili scelte politiche, il G. nel corso dell'anno dedicò al marchese un'operetta perduta, forse a stampa, Della discordia del pontefice et di Cesare.
A contrastare l'eccessiva credulità di Federico II provvedeva, invece, Pietro Aretino, allora al servizio dei Gonzaga. Questi, agli ultimi del 1526, nel frammentario Iudicio, over Pronostico de mastro Pasquino quinto evangelista del anno 1527, insistendo sul discredito in cui tutta la categoria degli astrologi era caduta per la fallita previsione del diluvio, ricordava la "castronaria del Gaurico et di quel bestiolo che sta col conte Rangone", e parodiava apertamente frasi di un pronostico del Giannotti.
Per tutto il 1526 e l'inizio del 1527 il G. seguì il Rangoni impegnato in azioni militari per la Chiesa e la Lega tra Cremona e Piacenza, e forse era con lui anche quando, nel maggio 1527, il condottiero volò al soccorso di Roma saccheggiata dagli imperiali. Dalla firma "Thoma Rangone" di una lettera scritta nel gennaio 1527 al marchese di Mantova per annunciargli l'invio di un perduto pronostico manoscritto relativo ai primi mesi di quell'anno, si può vedere come nel frattempo i Rangoni avessero concesso al G. il privilegio di fregiarsi del loro cognome. è verosimile che negli anni seguenti il G. sia stato al fianco del Rangoni, dal 1528 al servizio della Francia, nella disastrosa invasione francese del Regno di Napoli, durante la quale il conte cadde prigioniero degli Imperiali. Dopo la sua liberazione, il G. si deve essere ritirato con lui a Venezia, dove risiedette per quasi tutto il resto della sua vita. Qui pubblicò un pronostico climatologico per il 1531, il Del vivere, del ricolto et de la abondantia (s.l. né indicazione di tipografia, 1531).
Dopo il 1532 è probabile che il G. si licenziasse dal servizio del Rangoni, che in quell'anno passò in Ungheria a guerreggiare contro i Turchi, e si sia dedicato all'esercizio fortunato e accorto della medicina, mediante il quale accumulò considerevoli ricchezze, che gli permisero di svolgere in seguito un'importante opera di benefattore e mecenate di artisti. Il G. rallentò allora la produzione di pronostici, per dedicarsi invece alla composizione di una serie di operette divulgative di medicina e di igiene, in latino e in volgare, nelle quali si ritrovano sempre i soliti accenti di bizzarra e ingenua autopromozione. Nel 1535 uscì l'opuscolo De repentinis, mortiferis et, ut ita dicam, miraculosis nostri temporis aegritudinibus (Venezia, senza indicazione di tipografia, 1535), in cui si insegnano alcune misure per purgare l'aria di Venezia. Nel febbraio 1538 inviò a Federico II, ora duca di Mantova, un perduto vaticinio a stampa, il Giudicio intitolato a Christo e un'operetta sul mal francese da poco stampata. Si tratta dei Mali Galegi sanandi, vini, ligni et aquae, unctionis, ceroti, suffumigii, praecipitati ac reliquorum modi omnes (Venezia, G.A. Nicolini da Sabio, 1537 [1538 nel colophon]; ibid., Giovanni da Padova, 1545; in redazione notevolmente accresciuta: ibid., P. de' Franceschi, 1575), nella quale si sostiene la già diffusa tesi che la sifilide non sia di origine americana, ma morbo antico dell'Europa. Nell'estate del 1538 il G. si imbarcò per alcuni mesi come medico della flotta veneta impegnata, insieme con le navi di Andrea Doria, in operazioni contro i Turchi.
Probabilmente in questi anni il G. elaborò la prima redazione dell'opera De vita hominis ultra CXX annos protrahenda, alla quale sola è ora affidata la sua fama, soprattutto per l'ironico ricordo che ne fece G. Leopardi in una nota al Dialogo di un fisico e di un metafisico nelle Operette morali. L'opera tratta dell'arte di prolungare oltre i cento anni la vita umana, con riguardo soprattutto a quella dei pontefici, le cui morti repentine parevano non dover permettere mai una continuità nell'opera di governo e di riforma religiosa. Così il G. combatte la vecchia superstizione che i papi non potessero mai arrivare agli anni di pontificato di s. Pietro. I suoi consigli sono, analogamente a quelli che darà Luigi Cornaro nella Vita sobria, quasi tutti di carattere igienico e dietetico, evitando, si direbbe quasi di proposito, di rifarsi ai rimedi alchimistici, magici e talismanici raccomandati in analoghe trattazioni, che gli dovevano essere ben note, quali quelle di Arnaldo da Villanova e di Ficino.
Il libro fu presentato successivamente, cambiando le dedicatorie, riadattando e arricchendo il testo, a tre papi. La prima redazione è quella dedicata, in un anno imprecisabile, a Paolo III e conservata nel ms. VIII.D.44 della Biblioteca nazionale di Napoli. Diffusione grandissima a stampa ebbe la seconda, dedicata a Giulio III nel 1550 (De vita hominis ultra CXX annos protrahenda, Venezia, senza indicazione di tipografia, 1550; ibid., senza indicazione di tipografia, 1553; ibid., A. Arrivabene, 1560). Una terza redazione latina manoscritta, ora smarrita, offerta a Paolo IV nel 1555, fu consultata nella Biblioteca del Convento di S. Spirito di Roma dal Marini, che ne segnalò anche la lettera di presentazione al cardinale Carlo Carafa nel cod. Barb. lat. 1211, c. 12r della Biblioteca apostolica Vaticana. Di questa versione sopravvive la traduzione volgare, eseguita dal G. stesso e dedicata a una dogaressa: Alla serenissima sig. Giulia Priula duchessa di Venetia come l'huomo può vivere più de CXX anni (Venezia, M. Pagano, 1557).
Un compendio e adattamento del De vita hominis, a uso dei dogi e in generale dei Veneziani, è da considerarsi il De vita principis et Venetorum commoda semper consilium (ibid., senza indicazione di tipografia, 1558; ibid., D. de' Franceschi, 1570; ibid., Ad signum Reginae, 1577), che ebbe anche due traduzioni in volgare: a opera di un allievo del G. (Consiglio come i Veneziani possano vivere sempre sani tradotto nuovamente da Giacomo Pratello Montefiore medico, ibid., F. de' Patriani, 1565) e del G. stesso (Come il serenissimo doge di Venezia il signor Sebastian Veniero e li Veneziani possano viver sempre sani consiglio, ibid., M. Bindoni, 1577).
Frattanto il G., parallelamente alla sua opera di medico, si era volto a opere di mecenatismo artistico e culturale. Nel 1552 comprò a Padova un palazzo dei Gritti presso il ponte Molino e vi fondò un collegio per permettere a ventitré studenti poveri, specialmente ravennati, di frequentare i corsi dello Studio. Inizialmente il G., che aveva inutilmente esortato il magistrato dei Savi di Ravenna ad aiutarlo economicamente, aveva pensato a un collegio in cui fossero anche insegnati il greco, l'ebraico e le matematiche; poi, soprattutto dopo l'incendio del palazzo e la sua riedificazione a cura di I. Sansovino nel 1560, ripiegò verso un progetto più modesto, commisurato ai mezzi, organizzando il collegio secondo certi Statuta palatii Ravennapatavii a magnifico et generoso domino Thoma Philologo Ravennate physico equite vivente conditi et fundati Paduae [sic] anno 1552 (ibid., G. Grifio, 1569) dettati da lui stesso.
L'istituzione, che durò almeno fino alla metà del Seicento, traendo le rendite da beni che rendevano circa 700 ducati l'anno, finì così per prevedere solo il vitto e l'alloggio gratuiti per alcuni studenti scelti dai parroci delle chiese veneziane di S. Giuliano, S. Geminiano e S. Giovanni in Bragora.
Tra il 1553 e il 1554 il G., sempre in bilico tra il mecenatismo e la mania autocelebrativa, finanziò la riedificazione della chiesa di S. Giuliano. Il corpo della costruzione fu curato da A. Vittoria, mentre la facciata fu disegnata dal Sansovino, che fuse anche la monumentale statua di bronzo del G. assiso, che ancora oggi si ammira sopra il portale d'entrata.
Nel 1562 il G. istituì una fondazione per l'assegnazione annua, nel giorno di s. Geminiano, di una dote di 20 ducati a sei fanciulle povere e per questo il 15 marzo 1562 il doge Girolamo Priuli lo creò cavaliere di S. Marco.
Il 21 giugno di quell'anno il G., in qualità di "guardian grando" della Scuola di S. Marco, ottenne dall'assemblea dei confratelli di poter far dipingere a sue spese tre tele con i miracoli del santo e di far affrescare la sala delle riunioni con il gonfalone di S. Marco e con allegorie delle virtù e dei vizi capitali. Venne bloccata, invece, forse per ordine superiore, la sua proposta del 25 ott. 1562 di porre un proprio busto anche sulla facciata della Scuola. Il G. concluse quindi un contratto con I. Tintoretto, che nel 1566 consegnò alla Scuola tre quadri (ora nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia) rappresentanti la scoperta in Alessandria del corpo di s. Marco, il trafugamento di esso e il miracolo del salvataggio dal naufragio di un saraceno che aveva invocato il santo. L'artista, che aveva inserito il ritratto del G. in tutte e tre le tele, eseguì quindi anche gli affreschi, ora perduti, della sala, mutando il soggetto inizialmente proposto con quello dei profeti e delle sibille. A questi il Tintoretto aggiunse nel 1568, sempre a spese del G. guardian grando, certe grottesche e figurette raffiguranti il trasporto del corpo di s. Marco in Venezia, ora scomparse.
La maggior parte dei confratelli della Scuola mal tollerava, però, che nei tre quadri fosse ritratto così sfacciatamente e in posizione così centrale il Giannotti. Così, nell'agosto 1573, il nuovo guardian grando disponeva la restituzione delle tele al committente. Ma egli rifiutò i quadri e li rimandò ai guardiani, che nel settembre li fecero condurre nella bottega del Tintoretto, il quale si era dichiarato disposto a sostituire la figura del G. con un'altra più adatta. Alla fine il contenzioso si concluse con il ritorno in sede delle opere immodificate.
Frattanto anche altrove il G. aveva continuato a promuovere iniziative artistiche. Verso il 1570 diede incarico al Sansovino - il cui figlio Francesco aveva dedicato al G. nel 1568 un'edizione della Fabbrica del mondo di Francesco Alunno - di costruire la porta principale del convento del S. Sepolcro sulla riva degli Schiavoni e nel settembre 1571 fece erigere un portico lungo la sagrestia di quella chiesa di S. Geminiano, dove annualmente avveniva la distribuzione delle doti da lui istituite. Benemerenze che gli valsero, da parte dei procuratori della fabbrica, l'erezione, forse sollecitata e pagata, di un immancabile busto bronzeo, fuso da A. Vittoria e collocato sopra una delle porte della chiesa (ora nella sede dell'Ateneo veneto).
Ultime beneficenze del G. furono le disposizioni per la destinazione della sua biblioteca. Il 10 ag. 1572 - anno nel quale l'imperatore Massimiliano II lo creò conte palatino - egli dettò un lunghissimo testamento, confermato con un ultimo codicillo il 28 ag. 1577 (copie di esso sono nei codd. Marc. lat. XIV.105 [=4282] e XIV.282 [=4298] della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia), nel quale, tra le altre cose, ordinava che i suoi esecutori testamentari acquistassero un locale nelle Mercerie, dove riporre e aprire al pubblico la sua raccolta di libri, antichità e strumenti astronomici (un elenco dei cimeli è ibid. XIV.282 [=4298], cc. 84r-127v). Queste disposizioni non ebbero, però, effetto e il materiale passò quindi alla biblioteca dei cappuccini della Giudecca. Di questa raccolta, dispersa nei secoli seguenti, arrivarono in Marciana solo gli attuali codd. Marc. lat. VIII.70 (=2500), VIII.26 (=3268), VII.37 (=3601).
Ultimi frutti dell'opera divulgativa del G. nel campo della medicina furono le due operette De modo collegiandi seu de consultationibus medicis (Venezia, A. Arrivabene, 1565; ibid., C. e R. Borgomanieri, 1574) e De microcosmi, affectuum, maris, foeminae, hermaphroditi Gallique miseria (ibid., P. de' Franceschi, 1575), bizzarro elenco delle multiformi affezioni fisiche e psichiche che affliggono l'uomo.
Il G. morì a Venezia il 10 sett. 1577 e venne sepolto, con spettacolare pompa funebre da lui stesso predisposta, nella chiesa di S. Giuliano.
Sono da ritenersi perdute le seguenti opere: un trattato, forse a stampa, Del cattivo aspetto de' pianeti ad Antonio Rola (citato dal Tomai) e, manoscritti, Scholia in Aetium, Observationes in Dioscoridem et Theophrastum, Commentaria in librum Hippocratis de dieta, Commentaria in librum Galeni de diebus criticis (ricordati dal Papadopoli, che probabilmente li vide nella biblioteca dei cappuccini della Giudecca). Da segnalare, infine, due lettere: una a stampa nella raccolta di F. Scaridino, Formolario nel quale si dà il modo di compor lettere (Padova, L. Pasquati, 1569, p. 146) e una manoscritta, a Marco Mantova Benavides, nel ms. 1349 della biblioteca del Civico Museo Correr.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Archivio dello Studio, 217 (Liber secretus 1504-75), c. 26v; Riformatori dello Studio, 35, filza IV, 11 (Quartirone dei pagamenti del 19 marzo 1516); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. lat. XIV.282 (=4298), cc. 1r-67v; Mss. It. VII.1795 (=7679), cc. 19r-24v; VII, 1847 (=9617), c. 285r; T. Tomai, Historia di Ravenna, Ravenna 1580, p. 176; F. Sansovino, Venetia città nobilissima…, Venetia 1581, cc. 24r, 43r; I rotuli dei lettori legisti ed artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, p. 6; Notitia doctorum, sive Catalogus doctorum qui in Collegiis philosophiae et medicinae Bononiae laureati fuerunt ab anno 1480 usque ad annum 1800, a cura di G. Bronzino, Milano 1962, p. 5; G.F. Tomasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, p. 206; S. Pasolini, Huomini illustri di Ravenna antica, Bologna 1703, pp. 68-71; N.C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, p. 312; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, I, p. 136; II, pp. 309, 320; G.B. Morgagni, Opuscula miscellanea, II, Venetiis 1763, pp. 9-12; P.P. Ginanni, Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati, II, Faenza 1769, pp. 227-237; G. Marini, Degli archiatri pontifici, I, Roma 1784, p. 339; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 2, Modena 1791, pp. 660-663; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 101; VI, ibid. 1853, p. 821; G. Valentinelli, Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum, Venezia 1868-73, IV, p. 256; V, pp. 107-109; VI, pp. 219 s.; A. Bertolotti, Varietà archivistiche e bibliografiche, in Il Bibliofilo, V (1884), pp. 103-105; A. Luzio, Pietro Aretino nei primi suoi anni a Venezia e la corte dei Gonzaga, Torino 1888, pp. 8 s.; C. Cessi, Notizie intorno a Francesco Brusoni poeta laureato ed ai suoi figli Livio Francesco e Virgilio, in Giorn. stor. della letteratura italiana, II (1899), Suppl., pp. 89-93; C. Malagola, Tomaso Filologo da Ravenna, professore nello Studio padovano e mecenate, in Nuovo Archivio veneto, n.s., II (1901), pp. 249-253; A. Luzio - R. Renier, La coltura e relazioni letterarie d'Isabella d'Este, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XXXVII (1901), pp. 244 s.; C. Frati, Boll. bibliografico Marciano, in La Bibliofilia, X (1908-09), pp. 177-179; P. Paoletti, La Scuola grande di S. Marco, Venezia 1929, pp. 173-184; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, V, New York 1941, pp. 204-206, 214, 226 s.; D. Giordano, Un ospite dell'Ateneo veneto: T. Rangone, in Ateneo veneto, CXXXII (1941), pp. 291-303; M. Sander, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu'à 1530, II, Milano 1942, pp. 547 s.; A. Serra-Zanetti, L'arte della stampa in Bologna nel primo ventennio del Cinquecento, Bologna 1959, pp. 258 s.; P. Zambelli, Fine del mondo o inizio della propaganda? Astrologia, filosofia della storia e propaganda politico-religiosa nel dibattito sulla congiunzione del 1524, in Scienze, credenze occulte, livelli di cultura. Atti del Convegno int. di studi, Firenze… 1980, Firenze 1982, pp. 291-368; Id., Da Giulio II a Paolo III. Come l'astrologo provocatore Luca Gaurico divenne vescovo, in La città dei segreti, a cura di F. Troncarelli, Milano 1982, pp. 299-323; O. Niccoli, Profeti e popolo nell'Italia del Rinascimento, Bari 1987, pp. 79 s., 195, 209 s.; K. Wagner - M. Carrera, Catalogo dei libri a stampa in lingua italiana della Biblioteca Colombina di Siviglia, Modena 1991, pp. 380-382; C. Casanova, Potere delle grandi famiglie e forme di governo, in Storia di Ravenna, a cura di L. Gambi, IV, Ravenna 1994, pp. 57, 119 n. 72.