GIANNINI, Tommaso
Nacque a Ferrara da Luca, intorno al 1556. Ingegno precoce, fu iscritto ai corsi di filosofia e medicina dello Studio cittadino, dove ebbe come maestro A. Montecatini e si addottorò a soli diciassette anni, nel 1573.
Dopo aver raggiunto i gradi accademici, si dedicò prima all'insegnamento privato, poi, nel 1584, fu chiamato a insegnare nell'Università ferrarese, in un primo momento come lettore su cattedre minori, quelle di dialettica (1584-87) e dei semplici (1588-92), e quindi su quella di filosofia naturale. Probabilmente collegata all'esigenza di ottenere una lettura maggiore di filosofia, è la scelta del tema del primo scritto che pubblicò, il De providentia ad sententiam Platonis et Platonicorum (Ferrariae, G.C. Cagnacini e fratello, 1587; rist. Patavii, P. Meietti, 1588).
In esso è già presente la cifra più caratteristica della sua produzione filosofica, una chiara tendenza conciliatrice tra il platonismo e l'aristotelismo, che a volte sconfina nell'eclettismo. La sintesi che vorrebbe raggiungere, non permette però al G. di tacere la propria convinzione di una maggior validità rispettivamente del platonismo in campo morale e religioso, e dell'aristotelismo in campo fisico.
Dell'attività di insegnante del G. sono testimonianza sette commenti manoscritti ad altrettanti libri di opere "fisiche" aristoteliche, tra cui due dedicati al De anima. Fu proprio l'interesse verso la questione dell'anima che attirò su di lui sospetti di eterodossia i quali, nei primi anni del secolo XVII, gli valsero un richiamo da parte dell'Inquisizione. Per difendersi, scrisse il De mentis humanae statu post hominis obitum (Patavii 1614).
In realtà, per quanto il G. nell'opera si sforzi di combattere la posizione di Alessandro d'Afrodisia e dei suoi seguaci "recenti" (P. Pomponazzi soprattutto, ma anche G. Zabarella e il ben poco alessandrista A. Steuco) sulla caducità dell'intelletto umano e di illustrare la posizione tomistica sulla questione, il sincretismo filosofico lo fa tendere verso affermazioni accostabili a quella di stampo averroistico sull'unicità dell'intelletto. Sull'argomento il G. tornò l'anno seguente con un altro scritto, il De lumine et speciebus spiritualibus. De mente effectrice et speciebus intellegibilibus. De daemonibus et mentibus a materia separatis (Ferrariae 1615).
Intanto, nel 1598, in occasione delle celebrazioni per la visita del pontefice Clemente VIII, motivata dalla devoluzione di Ferrara alla Chiesa, al G. venne affidato il compito di rappresentare ufficialmente lo Studio. Fu questo il primo di una serie di incarichi che, negli anni seguenti, marcarono la sua definitiva ascesa sociale e professionale. Più volte eletto magistrato pubblico della città di Ferrara (nel 1603, 1614, 1620, 1625 e 1631), vide crescere la sua fama (si racconta che anche colleghi famosi, quali F. Liceti, accorressero ad ascoltare le sue lezioni), fino ad avere l'onore, nel febbraio 1621, di pronunciare un'orazione durante le cerimonie per l'innalzamento di Gregorio XV al pontificato.
È di questo periodo una dissertazione, De substantia coeli et stellarum (Venetiis 1618).
In questa, così come nelle altre opere del G., non è il caso di cercare una qualche concessione a un punto di vista diverso da quello tradizionale; piuttosto, essa va inquadrata nell'ambito delle coeve discussioni sulle interpretazioni di Aristotele. Così, se è un facile bersaglio l'affermazione (p. 38) secondo la quale l'osservazione di una nuova stella - la nova di T. Brahe e quelle del 1600 e del 1604 - è una debole prova a favore della corruttibilità dei cieli (e questo perché a essa possono essere contrapposte millenarie osservazioni sull'immutabilità di innumerevoli altre), non è in questo tipo di polemica che va cercata la sostanza del libro. Ben più interessante è lo sforzo di ipotizzare un ventaglio di possibili cause manifeste, per dar ragione di fenomeni da altri autori ricondotti a cause occulte, oppure spiegati nell'ambito di argomentazioni astrologiche. Ed è in questo campo che sta il senso ultimo dello scritto: un contributo alla rimozione dei presupposti del determinismo astrologico.
Il G. morì a Ferrara il 22 maggio 1638.
Tra le opere a stampa è da ricordare anche un Commentariorum et disputationum Aristotelicarum de iis quae primum in scientia de natura considerantur libri septem (Venetiis 1622). I principali inediti del G. sono conservati a Ferrara, Bibl. Ariostea, ms. I.106, tomi I-VI: si tratta dei già ricordati sette commenti ad Aristotele, dell'orazione pronunciata alla presenza di Gregorio XV e di due discorsi contro l'astrologia. Il cod. Chig. E.VII.231 della Biblioteca apostolica Vaticana contiene, alle cc. 29-36, la Defensio Aristotelicae doctrinae de mundi unitate ac sempiternitate, in cui è forse da identificare un De universo ac partibus universi, altrimenti irreperibile, così come pure un De ideis, fortuna, contingentia, fato, aeternitate ac aevo, titoli, questi ultimi, ascritti al G. da alcune fonti.
Fonti e Bibl.: F. Berni, Orazione per la morte del signor T. G., Ferrara [1638]; A. Franceschini, Nuovi documenti relativi ai docenti dello Studio di Ferrara nel sec. XVI, Ferrara 1970, pp. 179, 184, 190-199, 209, 248, 255 s., 260; A. Maresti, Cronologia et istoria de' capi e giudici de' savi della città di Ferrara, Ferrara 1683, pp. 89, 99, 105, 109, 115; G. Baruffaldi - L. Cicognara, Continuazione delle memorie di letterati ferraresi, Ferrara 1811, pp. 171-176; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, VI, New York 1941, pp. 48 s., 97 s., 205 s.; E. Garin, Storia della filosofia italiana, II, Torino 1966, pp. 608 s.; I maestri di medicina ed arti dell'Università di Ferrara 1391-1950, a cura di F. Raspadori, Firenze 1991, pp. 44-57, 230.