TOMMASO di Piero Trombetto
Nacque a Prato verso il 1464 (la data può essere ricostruita sulla base della dichiarazione che egli rilasciò per la portata della decima del 1504, quando asserì che aveva quaranta anni; cfr. Morselli, 1987, pp. 10, 20; Fantappiè, 1987, p. 8). Figlio di un trombetto del Comune (donde l’occorrenza onomastica di «Tommaso di Piero Trombetto» in alcune sue menzioni documentarie), fu egli stesso trombettiere e banditore, ma si dedicò anche all’attività di ceraiolo e alla pittura, ricevendo numerose commissioni a Prato e nel suo territorio dalla fine del penultimo decennio del Quattrocento fin verso il 1530. Suo fratello Ridolfo fu canonico di S. Maria delle Carceri e della propositura, oggi cattedrale di S. Stefano (ibid., p. 77). Dalla moglie Nanna Tommaso ebbe un figlio, Giovan Francesco, nato il 26 ottobre 1489 (ibid.).
L’artista si formò nella bottega pratese del poco noto pittore fiorentino Piero d’Antonio, ove conobbe il conterraneo Girolamo Ristori, con il quale collaborò in più occasioni, fino ad avere in società con lui una bottega di «dipintore e ceraiuolo» in prossimità della Madonna delle Carceri (ibid., p. 78), rapporto interrotto dalla morte cruenta del Ristori nel sacco di Prato del 1512.
Fin dalle prime opere Tommaso dichiara palesemente di aver tratto ispirazione da artisti attivi a Firenze a partire dai decenni centrali del Quattrocento, dal Beato Angelico a Filippo Lippi, così come da pittori a lui coevi, dal Botticelli a Domenico Ghirlandaio e al Perugino, dei quali divulga le invenzioni nella propria terra d’origine in un linguaggio più corsivo ma di notevole immediatezza. La nettezza dei contorni suggerisce che possa essersi richiamato anche alla scultura lignea del suo tempo. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta divenne predominante su di lui l’ascendente di Filippino Lippi, autore in quegli anni di opere di grande rilievo per la sua terra natale (pala della Doppia intercessione, ora a Monaco di Baviera, tabernacolo del Mercatale, pala dell’Udienza).
La prima opera nota di qualche rilevanza di Tommaso è l’affresco con la Madonna col Bambino nel tabernacolo all’angolo tra via S. Trìnita e l’attuale via Silvestri, del 1485 (Lapi Ballerini, 1986, p. 20; Fantappiè, 1987, p. 85). Il pittore si dedicò anche in seguito alla decorazione di tabernacoli, e di almeno un decennio successivo è il rimaneggiato affresco di quello di via del Carmine (I. Lapi Ballerini, in Filippino Lippi, 2004, p. 54), ove Tommaso ha accostato un Bambino tratto dall’Adorazione dei Magi del Ghirlandaio allo spedale degli Innocenti a una Madonna ripresa dalla pala Rucellai di Filippino Lippi (Londra, National Gallery).
Fra le opere più antiche, particolare importanza ricopre la decorazione a fresco della parete di fondo del refettorio del monastero domenicano di S. Niccolò con la Madonna delle Carceri (Madonna col Bambino e i ss. Leonardo e Stefano), la Crocifissione e la Flagellazione, ove convivono elementi arcaizzanti e spunti da illustri opere contemporanee, e per la quale è stata proposta una datazione tra la fine degli anni Ottanta del Quattrocento e il 1492 circa (Badiani, 1935; Marchini, 1963, p. 43; Lapi Ballerini, 1986, pp. 22-24). Nella prima scena viene reso omaggio a un affresco trecentesco legato a un recente miracolo, intorno al quale Giuliano da Sangallo andava costruendo un santuario mariano, ma il fondale architettonico, con un’edicola centinata addossata a una transenna oltre la quale spuntano due cipressi, rinvia a modelli angelichiani. Molto austera e arcaica è la scena centrale, ove la figura del Crocifisso ricorda modelli del Trecento. Più originale appare l’espressività caricata, d’ispirazione pollaiolesca, che Tommaso assegnò ai giovani flagellatori, sebbene la composizione discenda forse da un modello della bottega del Botticelli (Cerretelli, 1994, p. 86). Definita gotica da Angiolo Badiani, la cornice traforata a losanghe all’intorno è stata presentata da Isabella Lapi Ballerini come una reinterpretazione arcaizzante di quella del ciclo lippesco nel duomo, ove tuttavia ben più matura è la sensibilità prospettica, ma sembra attestare anche relazioni con le elaborate cornici di alcuni polittici quattrocenteschi e con le tarsie lignee. In basso a destra il raffinato ritratto di un giovane cardinale entro un anello diamantato fu messo in relazione da Badiani (1935, p. 4) con Giovanni di Lorenzo de’ Medici, insignito della porpora nel 1489 e nominato proposto di Prato nel 1492, a diciassette anni, e poi con il fratello Piero (I. Lapi Ballerini, in Filippino Lippi, 2004, p. 55).
Fin dagli inizi Tommaso ricevette la commissione di ritratti, alcuni dei quali destinati a una serie di illustri personaggi locali avviata nel palazzo comunale: dopo che nel 1490 l’Opera del Cingolo gli ebbe commesso un Ritratto di Michele – colui che portò la Cintola di Maria a Prato – ora perduto (Nuti, 1941, pp. 264, 266), così come è perduto il Ritratto di Filippo Inghirami del 1491, nel medesimo anno il pittore fu incaricato di dipingere Francesco Datini e nel 1492 Monte Pugliesi, al presente in palazzo Datini, seguiti nel 1509 dal Cardinale Niccolò da Prato, tuttora nel salone consiliare e del quale già Nuti mise in risalto lo stile retrospettivo.
Del 1498 è la lunetta staccata con la Madonna col Bambino e i ss. Barnaba e Bartolomeo già sopra la porta della chiesa dello spedale della Misericordia (Lapi Ballerini, 1986, p. 24; Fantappiè, 1987, p. 81). Di poco successive sembrano alcune pale d’altare: quella fortemente arcaizzante di S. Pietro a Grignano con la Madonna col Bambino e i ss. Pietro e Giovanni Battista (Cerretelli, 1994, p. 86), quella con la Madonna col Bambino e santi pervenuta al Museo civico di palazzo pretorio dal convento di S. Domenico, nella quale sono abilmente combinate tra loro le citazioni dal Botticelli, da Filippino e da altri pittori contemporanei (ibid., pp. 95, 97-99, con bibliografia), e quella di probabile provenienza francescana con lo Sposalizio mistico di s. Caterina, s. Anna e i ss. Francesco, Antonio di Padova e Maria Maddalena, ora nel monastero di S. Niccolò (Lapi Ballerini, 1986, p. 22). Prossime appaiono l’Annunciazione con s. Giuliano del Museo dell’Opera del duomo, copia da un prototipo di Fra’ Filippo ora nel Museo civico di palazzo pretorio (I. Lapi Ballerini, in Filippino Lippi, 2004, p. 55) e la tavoletta centinata della Madonna di Loreto in S. Agostino (Cerretelli, 1994, pp. 99, 101).
Nel 1506 Tommaso affrescò una Madonna col Bambino e i ss. Giovanni evangelista e Francesco per Nardo e Paolo dalla Torricella nella chiesa di S. Lucia in Monte, ora nella chiesa della Regina Pacis (Morselli, 1987, pp. 14, 46 s.; Cerretelli, 1994, pp. 91, 94). Nel 1510 eseguì gli affreschi con Cristo risorto e il Noli me tangere nella cappella funeraria di Giuliano Guizzelmi nelle ‘volte’ del duomo, intervenendo a fianco di un pittore più dotato, da identificare forse con il Ristori, autore della Crocifissione e del Ritratto di Giuliano Guizzelmi (Marchini, 1963, p. 43; Morselli, 1981, pp. 48 s.; Fantappiè, 1987, p. 83). Nel 1526 dipinse un Cristo in pietà per l’Udienza del Ceppo Nuovo, ora al Museo civico di palazzo pretorio, recuperando le figure centrali della predella della pala della Doppia intercessione di Filippino (Lapi Ballerini, 1986, p. 26; Fantappiè, 1987, p. 84). Ultima opera datata è la Madonna col Bambino e i ss. Sebastiano e Rocco dipinta nel 1529 per la chiesa di S. Pietro a Figline, ora nel Museo della pieve, nella quale Tommaso confermò il suo attaccamento alle opere pratesi di Filippino (la Madonna ispirata alla tavola della sala dell’Udienza, il Bambino al tabernacolo del Mercatale, secondo uno schema da lui seguito anche in un tondo dei depositi del Museo civico di palazzo pretorio; cfr. Lapi Ballerini, 1986, p. 26), ma manifestò altresì un aggiornamento, visibile in un lieve intenerimento delle forme a confronto di quelle intagliate della giovinezza e della maturità.
Solo parziale può essere l’elenco delle numerose opere documentate ma non pervenute. Nel 1486 dipinse il portico della chiesa dello spedale della Misericordia e due anni dopo quello della chiesa dell’infermeria degli uomini dello spedale del Dolce, e per lo spedalingo di questo nel 1492 avrebbe anche eseguito un Crocifisso (Morselli, 1981, p. 46; Fantappiè, 1987, p. 79; Morselli, 1987, pp. 65 s.). Nel 1489 fu pagato cinque fiorini dai Ceppi «per cholori e dipintura mes[s]i nell’organo a San Franciesco» e per aver dipinto gli «sportelli di detto orghano» (Nuti, 1941, p. 264; Fantappiè, 1987, p. 79; Id., 2001-2002, p. 156). Nel 1493 dipinse una tavola con la Madonna della Cintola e i ss. Pietro martire e Orsola per la cappella di messer Braccio di Leonardo, governatore del Ceppo, nella chiesa di S. Domenico «sotto al champanile cioè allato alla sacrestia» (Nuti, 1934, p. 303; Id., 1941, p. 266), e nel 1494 eseguì per «ser Ducc[i]o di Giuliano» un S. Donnino «a Sancto Agostino a l’autare [=altare] a piè del coro» (Fantappiè, 2001-2002, p. 156). Fra il 1496 e il 1497 lavorò su commissione di Girolamo Talducci in S. Trìnita, ove colorì le figure in terracotta di una Pietà di Benedetto da Maiano, dipinse la tavola che faceva da fondale, affrescò il muro intorno, ma dipinse anche la cortina di tela e un velo «per porre sul Corpo di Nostro Signore Gesù» (Nuti, 1934, pp. 299, 301-303). Contemporaneamente operò per gli olivetani del monastero delle Sacca: dopo che nel 1496 ebbe acconciato la tavola della chiesa (forse il polittico di Andrea di Giusto), nel 1497 i monaci gli commisero un Crocifisso con tre figure ai piedi nel primo chiostro, una Pietà con quattro figure «con altri certi suoi adornamenti» in chiesa, e «uno paviglione per tenere l’olio santo» (Fantappiè, 2001-2002, pp. 156 s.). Con Ristori dipinse nel 1503 la facciata del granaio dell’Opera del Cingolo e dell’oratorio di S. Giovanni (Fantappiè, 1987, p. 82), mentre nel 1510-11 con Michele Guizzelmi decorò la loggia del Ceppo Nuovo, ovvero palazzo Datini (ibid., p. 83). Nel 1517 «chovre, dipigne e mette a oro» il baldacchino del pulpito di Donatello e Michelozzo all’esterno del duomo su incarico dell’Opera del Cingolo, che gli affidò anche la doratura delle figure dell’altare della propria cappella all’interno della chiesa (Guasti, 1887, 1897, p. 485; Nuti, 1941, pp. 264, 266). Nel 1513 aveva dipinto due armi di papa Leone X nel palazzo comunale (Fantappiè, 1987, pp. 11, 84), seguite nel 1518 dall’arme dei Medici nell’Udienza vecchia dello stesso palazzo ([Baldanzi], 1849, p. 112) e da un intervento nel dormitorio di S. Francesco, ove colorì un «Crocifisso grande e una Nostra Donna e santo Giovanni e santo Francesco et dua agnioli» (Nuti, 1941, p. 267). Nel 1527 l’Opera di S. Maria delle Carceri lo pagò per un’insegna processionale della Madonna «per quelli che vanno achattare il grano» (Fantappiè, 2001-2002, p. 157) e per un tondo con la Madonna, s. Stefano e s. Leonardo (ibid.).
Sembra da sottrarre al corpus di Tommaso il rovinato affresco con la Visitazione, pervenuto al palazzo comunale dall’oratorio di S. Elisabetta: un maggior rigore spaziale, la monumentalità delle figure, avvolte in ampi panneggi, la «ferrigna sottolineatura dei profili» e la già riconosciuta relazione con opere di ambito lippesco come la Circoncisione nella predella del Museo civico di palazzo pretorio (Lapi Ballerini, 1986, pp. 20 s.) hanno indotto a retrodatare l’opera e ad assegnarla a Fra’ Diamante (Benassai, 2014, pp. 387-391). Da valutare con cautela anche l’attribuzione a Tommaso del disegno della vetrata con l’Annunciazione ora al Museo dell’Opera del duomo e di quella con la Visitazione in S. Maria delle Carceri (Lapi Ballerini, 1986, pp. 26-29).
È probabile che Tommaso sia morto poco dopo il 1529, non risultando documentato in seguito.
[F. Baldanzi], Indice cronologico d’artisti pratesi, in Pel Calendario pratese del 1850. Memorie e studi di cose patrie, V (1849), p. 112; C. Guasti, Il Pergamo di Donatello pel duomo di Prato, Firenze 1887, riedito in C. Guasti, Opere, IV, Prato 1897, pp. 463-486; R. Nuti, La cappella dei Talducci in S. Trinita di Prato, in Rivista d’arte, XVI (1934), pp. 297-303; A. Badiani, La pittura murale del refettorio grande del R. Conservatorio di San Niccolò a Prato, in Archivio storico pratese, XIII (1935), 1, pp. 1-5; R. Nuti, Tommaso di Piero, pittore pratese, in Rivista d’arte, XXIII (1941), pp. 264-267; G. Marchini, Il tesoro del duomo di Prato, Milano 1963, p. 43; P. Morselli, Notizie inedite sull’Ospedale del Dolce di Prato, in Prato. Storia e arte, XXII (1981), 59, pp. 45-51; R. Fantappiè, Il bel Prato, II, Prato 1984, p. 86; I. Lapi Ballerini, Alcune aggiunte al pratese Tommaso di Piero del Trombetto, in Antichità viva, XXV (1986), 4, pp. 18-32; R. Fantappiè, Artisti e artigiani a Prato fra il XV e il XVI secolo, in Archivio storico pratese, LXIII (1987), pp. 5-254 (in partic. pp. 5-15, 77-85, 95 ss.); P. Morselli, Tommaso di Piero Trombetto. Aspetti della pittura pratese, 1485-1530, Prato 1987; C. Cerretelli, Echi dei maestri nella pittura pratese del primo Cinquecento, in I Lippi a Prato (catal.), Prato 1994, pp. 81-108 (in partic. pp. 83, 86-102); R. Fantappiè, Nuovi documenti su artisti e artigiani, in Archivio storico pratese, LXXVII-LXXVIII (2001-2002), pp. 5-199; Filippino Lippi, un bellissimo ingegno. Origini ed eredità nel territorio di Prato (catal., Prato), a cura di M.P. Mannini, Milano-Firenze 2004, pp. 54-61, 86; P. Benassai, Fra Diamante pittore murale e il riconoscimento di un’opera dimenticata, in Officina pratese. Tecnica, stile, storia. Atti del convegno, Prato… 2013, Firenze 2014, pp. 387-398.