CAVINA, Tommaso
Figlio di Vincenzo quondam Bertone, apparteneva ad una nobile famiglia romagnola, originaria del borgo di San Pietro di Cavina presso Faenza, distintasi sin dagli inizi del sec. XIV per aver dato i natali a giudici, notai e uomini d'arme. Sconosciuta è la data della sua nascita, da collocarsi nondimeno intorno al 1437 dato che nel 1457 egli figura come testimone in un atto privato rogato ad Imola dal notaio Luca Del Monte; pressoché totale è del pari il silenzio delle fonti sugli anni giovanili - si sa soltanto che nel 1463 ad Imola vendette parte d'un uliveto a tal Cristoforo da Mazzolano - sì che impossibile risulta stabilire quando egli abbia intrapreso la carriera delle armi e quando, seguendo l'esempio di altri imolesi, si sia posto al servizio della Repubblica di Venezia. Più facilmente ricostruibile è invece la vita del C. dopo il suo arrivo in Albania dove era stato spedito dalla Serenissima con un contingente di quelle truppe che sin dal 1463 essa stava inviando a sostegno dello Skanderbeg cui, dai baluardi di Croia e di Scutari, aveva affidato il compito d'impedire al Turco l'accesso all'Adriatico e la temuta invasione della penisola.
Posto al comando d'una compagnia di fanti, il C. fu destinato alla difesa di Croia dove, poco dopo, sposò Girolama, figlia di Gianglorio da Vicenza, connestabile veneto di stanza nella vicina Alessio. Ben presto però egli cadde in sospetto della Signoria che, nel giugno del 1469, diede incarico a Giosafat Barbaro, in occasione della sua rielezione a provveditore in Albania, d'intervenire presso di lui perché provvedesse al pagamento del soldo ai suoi uomini ed evitasse in tal modo pericolose diserzioni, pena il trasferimento a Scutari. Il C. tuttavia, forse accampando alcuni crediti nei confronti della Repubblica, non ottemperò all'ordine e di conseguenza nel marzo del 1471 venne inviato a Scutari.
I successivi rapporti con la Serenissima furono alterni: richiamato a Venezia per chiarire la sua posizione, nel giugno dell'anno seguente egli vide riconosciuti i suoi crediti dal Senato, ma nel luglio fu il Consiglio dei dieci a dubitare della sua fedeltà al punto da ordinare a tutti i rettori di procedere al suo arresto. Il C. dovette però ancora una volta riuscire a convincere la Signoria della sua lealtà poiché agli inizi del 1473 venne designato - almeno secondo quanto testimonia il Cippico, nel De bello Asiatico - comecomandante delle artiglierie che Giosafat Barbaro doveva recare allo scià di Persia, Uzū'n Ḥāsan, presso il quale era stato inviato nel tentativo d'indurlo ad aderire all'alleanza antiturca che, dopo la caduta di Negroponte, la Repubblica aveva concluso con il pontefice, il re di Napoli e il sovrano cipriota.
Raggiunto il Barbaro il 16 giugno nel porto di San Teodoro sulla costa della Caramania, dove questi aveva condotto al principe Kasanbeg, alleato di Venezia e di Uzū'n Ḥāsan, aiuti militari per strappare agli Osmanli alcune ianportanti città costiere, il C., al seguito del plenipotenziarlo veneziano, si recò poco dopo a Cipro. Qui la situazione venutasi a creare in seguito all'improvvisa morte del re Giacomo II (7 luglio) indusse il Barbaro a consigliare la Repubblica di porre il C. e i suoi uomini al servizio della regina, la veneziana Caterina Corner, a la della di lei sicurezza minacciata dai maneggi del partito napoletano. E tale consiglio il Senato s'affrettò ad accogliere il 4 ottobre. Ma gli avvenimenti precipitarono rapidamente e quando, nella notte tra il 13 ed il 14 novembre, l'ostilità dei partigiani del sovrano napoletano si concretò in un complotto volto a esautorare la giovane regina, il C. e i suoi soldati furono disarmati e costretti all'inazione in seguito a un ordine del Barbaro che, mirando a guadagnar tempo, accolse le richieste avanzate in tal senso dai congiurati.
Ristabilito l'ordine grazie all'intervento della flotta, la Serenissinia decise di lasciare il C. sull'isola come comandante delle truppe ausiliarie straniere fattevi affluire per sottoporre il regno a una più stretta tutela. A Cipro, dove condusse una normale vita di guarnigione - nel maggio del 1475 ebbe, ad esempio, l'incarico di scortare con venti "schioppettieri" la Corner durante il viaggio di trasferimento di questa da Famagosta a Nicosia -, egli rimase sino alla fine del 1476 quando, sotto l'accusa di tradimento, fu arrestato e inviato a Venezia dal capitano generale da Mar Antonio Loredan, informato dal console veneziano ad Alessandria dell'arrivo colà di un nipote del C. che sembrava essere in contatto con emissari napoletani. L'accusa dovette tuttavia mostrarsi ben presto infondata, poiché nel giugno dell'anno successivo il Consiglio dei dieci ordinò il rilascio del C. in quanto "non repertus culpabilis", ribadendo poi, nel marzo 1478, in seguito a una supplica dello stesso C., che gli venissero restituiti tutti i beni precedentemente confiscati. Reintegrato nel grado, agli inizi del 1478 egli venne inviato di stanza in Friuli, donde però fu richiamato già nel luglio per essere inviato a Brescia a ritirare armi e vestiario destinati alle milizie del Friuli e poi ancora, sulla fine del 1479 per compiere una ricognizione delle fortificazioni di Cervia e di Ravenna.
Scoppiata nel maggio del 1482 la così detta guerra di Ferrara che vide la Serenissima impegnata contro la coalizione dei maggiori Stati italiani voluta da Lorenzo de' Medici, il C. ricevette l'ordine di raggiungere le truppe che, sotto il comando del luogotenente generale Roberto Sanseverino, dovevano investire lo Stato estense attraverso il Polesine. Dopo essersi distinto alla testa dei suoi uomini negli scontri che portarono alla conquista di Melara e di Ficarolo, ai primi di settembre del 1483, agli ordini di Andrea Zancani, prese parte al colpo di mano progettato dal provveditore Giovanni Emo contro il baluardo ferrarese della Stellata, ritenuto scarsamente presidiato. Dopo aver superato facilmente le difese esterne, contrattaccati con violenza dai soldati subito accorsi da Ferrara, i Veneziani dovettero ritirarsi e il C., ferito al petto, secondo quanto testimoniano le fonti più attendibili fu fatto prigioniero e condotto in città, dove, per ordine dello stesso duca Ercole, fu ospitato in Castel Vecchio. Qui morì, non senza sospetto di veleno, l'8 settembre dopo aver dettato al domenicano fra' Bartolomeo da Modena il proprio testamento con cui, dopo numerosi lasciti pro anima, istituì eredi principali del suo cospicuo patrimonio la moglie e l'unica figlia Ginevra, cui destinava una dote di 1.500 libbre.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato, Mar, reg. 9, c. 84v; reg. 11, c. 60r; Ibid., Senato, Terra, reg., 6, c. 165r; reg. 8, cc. 7r, 8r, 14r; Ibid., Senato, Secreta, reg. 26, c. 3sr; Ibid., Consiglio dei Dieci, Misti, reg. 17, c. 167v; reg. 19, cc. 54v, 98v, 104r; Ibid., Provveditori alleBiave, b. 2, reg. 4, cc. 9v, 10r; Ibid., CollegioNotatorio, reg. 10, c. 155r; Arch. di Stato di Bologna, sez. di Imola, Arch. notarile, NotaioLuca Dal Monte, t. 11, c. 418v; t. 16, cc. 60v-61r; Venezia, Bibl. naz. Marciana, cod. It. VII,168 (= 8185): P. Gradenigo, Generali veneti, c. 14v; Imola, Bibl. comunale, cod. Imol. 72 A-B 1/5: A. Ferri, Estratti dagli archivi imolessi, 1, c. 473; 2, cc. 202, 206, 211, 212, 493; 5, c. 1086, P. Cimeo, Commentarius de bello Ferrariensi, in L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, XXI, Mediolani 1732, col. 1214 s.; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum, ibid., XXII, ibid. 1733, col. 1230; Diarium Ferrariense (1409-1502), ibid., XXIV, ibid. 1738, coll. 271 s.; C. Cippico, De bello Asiatico, II,Venetiis 1594, c. 28v; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum..., Venezia 1718, pp. 8518; M. Sanuto, Commentarii della guerra di Ferrara..., Venezia 1829, pp. 28, 98; G. Barbaro, Lettere al Senato veneto.., a cura di E. Comet, Vienna 1852, pp. 56, 95 s.; M. L. de Mas Latrie, Histoire de l'ile de Chypre..., III, Paris 1855, pp. 352, 354; Id., Nouvelles preuves de l'histoire de Chypre..., in Bibl. de l'Ecole des chartes, XXXII(1871), p. 349; Id., Documents nouveaux servant de preuves à l'histoire de l'ile de Chypre..., Paris 1882, p. 474; Cronaca diAnonimo veronese, a cura di G. Soranzo, in Monum. stor. pubblicati dalla Deputazione veneta di storia patria, s. 3, IV, Venezia 1915, pp. 401-402; I viaggi in Persia degli ambasciatori veneti [G.] Barbaro…, a cura di L. Lockhart-R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Roma 1973, pp. 103, 267; N. Di Lenna, Giosafat Barbaro e i suoi viaggi, in Nuovo Arch. veneto, XXVIII(1914), p. 97; G. Magnante, L'acquisto dell'isola di Cipro da parte della Repubblica di Venezia, in Arch. veneto, s. 5, LIX (1929), 5, p. 28; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, Milano 1937, p. 316; Loredana [A. Zacchia Rondinini], Caterina Cornaro regina di Cipro, Roma 1938, p. 93; R. Galli, T. C., in Corriere padano, 11luglio 1943 (non è molto attendibile riguardo alla permanenza del C.in Oriente); G. Hill, A History of Cyprus, III,Cambridge 1972, pp. 668, 674, 721.