Titolo
Inseriti a inizio e a conclusione di un film, i t. sono elementi quasi sempre paratestuali che contengono una serie di informazioni scritte, tra cui il t. dell'opera, il cast artistico e quello tecnico. Sono conosciuti anche con il termine generici, o nei Paesi anglosassoni con quello di credits.Nell'arco di un secolo i t. cinematografici hanno avuto una costante evoluzione. Le principali trasformazioni hanno riguardato soprattutto i t. di coda, attraverso la graduale scomparsa ‒ iniziata durante gli anni Settanta ‒ della parola 'Fine'. Tale soppressione è coincisa con l'aumento delle informazioni da dare, dettato dall'obbligo sindacale di nominare tutte le maestranze coinvolte, generando così uno spostamento della maggior parte dei credits dall'inizio alla fine del film. Nel cinema anglosassone è comunque sempre invalso l'uso di riportare alla fine il cast of characters con tutti gli attori (sia i principali già nominati a inizio film, sia i minori) e i corrispettivi personaggi interpretati.
I film possono essere divisi in due categorie: quelli che continuano a contenere nella parte iniziale le informazioni principali, rimandando in coda gli altri contributi tecnico-artistici; e quelli che contengono in testa poche informazioni (di solito distributore, produttore, titolo, regia) e spostano tutto il resto alla fine. Stanley Kubrick è stato uno dei primi autori a invertire il rapporto inzio/fine. L'inizio di 2001: a space odissey (1968; 2001: Odissea nello spazio), per es., contiene soltanto il t. del film. Nel cinema italiano un'eccezione del genere è costituita da L'imperatore di Capri diretto nel 1949 da Luigi Comencini dove, a parte la presentazione iniziale dei vari personaggi del film fatta da Totò, tutti i t. sono inseriti alla fine; si tratta di un procedimento assai raro, probabilmente unico, per l'epoca.
Anche quando sono situati all'inizio, i credits non compaiono sempre nei primi fotogrammi, ma a volte molti minuti dopo. In altri film si assiste alla dilatazione delle informazioni, come nella sequenza di C'era una volta il West (1968) di Sergio Leone, che dura circa dieci minuti. Lo spostamento e/o il prolungamento dei t. di testa ritarda l'inizio della narrazione vera e propria e le attese dello spettatore. Allo stesso modo la comparsa dei t. di coda non garantisce che il film sia effettivamente concluso; alcune opere aggiungono una sequenza finale subito dopo l'ultimo t. di coda, oppure fanno proseguire sotto di essi immagini che introducono ulteriori elementi di significazione della storia. In alcuni casi, infine, si preferisce l'assenza di t. scritti: in The naked city (1948; La città nuda) di Jules Dassin o in Le mépris (1963; Il disprezzo) di Jean-Luc Godard una voice over sostituisce il cast and credits. L'associazione attore/personaggio nel cinema muto era data fin dai t. di testa: gli interpreti apparivano solitamente in un riquadro, magari guardando in macchina, con un cartello che indicava il loro personaggio. Questo espediente, di derivazione chiaramente teatrale, sottolineava l'importanza del divo ma ne facilitava anche l'identificazione, a vantaggio di una maggiore comprensione della storia da parte dello spettatore. L'usanza con il tempo si è estinta, rinnovandosi però in certe occasioni: The women (1939; Donne) di George Cukor, si apre con la galleria delle interpreti femminili, associate non solo ai rispettivi ruoli ma anche a una serie di animali che rispecchiano la fisiognomica e il carattere delle protagoniste. In molti film comici, a partire dagli anni Novanta, la 'passerella' di attori che hanno preso parte al film è stata spostata nella parte finale. Alla ripresentazione in coda di protagonisti e caratteristi si accompagna la riproposizione di alcuni momenti particolarmente esilaranti del film. La trasformazione di questa particolare componente del testo filmico segue di pari passo quella del linguaggio cinematografico, ma è anche indice di una più generale evoluzione del gusto e del costume. Da una prima fase in cui dominava l'immobilità del t. di testa ‒ su fondo neutro, fotografia, fotogramma fisso, su cartelli affidati all'estro di grafici e illustratori ‒ si è passati a una fase maggiormente creativa e, parallelamente, si è sviluppata la modalità della sovrimpressione del t. su immagini in movimento. Esistono in conclusione due grandi categorie di t.: quelli nettamente separati dal testo filmico e quelli integrati a esso.
L'autonomia dei t. si è concretizzata ‒ a partire dagli anni Cinquanta ‒ attraverso la creazione di veri e propri film di pochi minuti collocati in apertura, disegnati e/o animati, composti da collage, fotografie ed elementi grafici particolari, ripresi in truka o sottoposti a procedimenti ottici, fino ad arrivare alle tecniche più recenti di computer graphics. Il più famoso creatore di t. (in inglese chiamato title designer) rimane Saul Bass, ma è decisiva anche la figura di Maurice Binder, autore della maggior parte dei credits per la serie dell'agente speciale 007, solitamente basati su sagome di donne, pistole e altri simboli che richiamano il contenuto dei singoli film. La pratica dei titoli animati è stata molto diffusa nel cinema italiano per tutti gli anni Sessanta (si pensi ai nomi di Pino Zac, Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati). Appartiene però più al cinema moderno l'inserimento del t. nel contesto filmico: il procedimento più utilizzato è quello di far scorrere i 'generici' in sovrimpressione su una sequenza di tipo introduttivo, musicata e senza dialogo, dove cioè non accade nulla di importante, proprio per non frastornare lo spettatore con un eccesso di informazioni. Il t., in diverse occasioni, si integra non solo al testo, ma direttamente al profilmico, essendo scritto direttamente sul muro di una strada o sulla parete di una stanza. Laddove l'esibizione è così esplicita da interrompere la finzione, ci si trova di fronte a un 'metatitolo': è il caso dell'insegna al neon tenuta in mano dalla protagonista che bacia il suo partner (Il vedovo allegro, 1949, di Mario Mattoli).
Lo stile grafico del t. può essere collegato al contenuto dell'opera. I caratteri di stampa dei credits per horror o western riflettono il gusto di un'epoca o fanno riferimento a una precisa tradizione figurativa. Nel cinema commerciale ‒ si pensi alla serie di Star wars ‒ il t. diventa un vero e proprio logo all'interno di una più generale strategia di comunicazione e di mercato: icona che sconfina dal film, passando per la pubblicità, e arriva al merchandising. Il primo esempio di titolo-logo di questo tipo è probabilmente M (1931; M, il mostro di Düsseldorf) di Fritz Lang; questa lettera-titolo, che fa riferimento alla sequenza dove il marchio viene impresso sulla schiena dell'assassino, ebbe all'epoca una forza di impatto senza precedenti.
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