TIRO A VOLO
. Anche inteso in senso puramente sportivo, il tiro a volo ha origini assai antiche. Omero (Iliade, XXIII) ci descrive ampiamente, ad es., una gara di tiro a volo fra Teucro e Merione d'Idomeneo. In tempi a noi molto più vicini, si ricordano le "sparate" siciliane, durante le quali i concorrenti dovevano tirare ciascuno a 50 o 100 uccelletti lanciati in aria uno per volta, alla stessa distanza. Come è accaduto per molti altri esercizî sportivi, è stata poi l'Inghilterra a disciplinare il tiro a volo: verso la metà dell'Ottocento un'osteria dei sobborghi di Londra ospitò le prime gare regolari di tiro al piccione; essa si chiamò "dei vecchi cappelli", perché appunto dei cappelli vecchi, manovrati con una lunga funicella, liberavano i piccioni dalle buche nelle quali erano stati messi.
Pare che la prima grande gara di tiro a volo abbia avuto luogo appunto in Inghilterra, a Willesden; ma la prima società fu costituita nel 1857, e allora furono adottate le cassette per i piccioni e usati i fucili calibro 12 in luogo dei grossi calibri adoperati fino allora. A questo circolo ne seguirono rapidamente altri in tutte le principali città d'Europa e ben presto l'esercizio trovò larghe schiere di appassionati in tutte le parti del mondo.
Il tiro a volo (bersaglio mobile) richiede nervi ineccitabili ed esige inoltre la massima prontezza di riflessi. Tutti son capaci di vedere un volatile attraversare in un baleno il campo di tiro; pochissimi quelli che, oltre a vedere, riescono ad imbracciare un fucile, mirar giusto, sparare e colpire, prima che il volatile abbia oltrepassato i ristretti limiti del campo. Nel tiro a volo occorre dunque accoppiare alla disposizione naturale un lungo, paziente, severo allenamento, che va dall'esercizio d'imbracciatura veloce e perfetta dell'arma e di agilità del dito sui grilletti al rapido spostamento della linea di mira sulla sinistra e sulla destra e infine al tiro vero e proprio.
Al tiratore che si accinge a sparare non è prescritta alcuna posizione; né vi sono prescrizioni fisse per quanto riguarda il tipo di fucile da usare o il genere della polvere e del piombo: omai è invalso l'uso del fucile calibro 12: le polveri variano a seconda delle preferenze dei tiratori e il piombo, sempre temperato, è generalmente del n. 5 nella prima canna e del n. 7 nella seconda. Non è nemmeno prescritto un tipo speciale di vestito: molti tiratori usano scarpe con suole leggiere o di gomma e tutti indistintamente giacche o bluse molto larghe alle spalle per agevolare i movimenti.
Il campo di tiro al piccione, di forma ovoidale allargata, è recinto da una rete metallica alta da m. 0,50 a m. 0,60 distante 15 metri dalle cassette: queste, in numero di 5, equidistanti di m. 5 l'una dall'altra e visibilmente numerate da sinistra a destra, sono disposte secondo un arco di circolo avente per raggio la distanza di m. 27 dalla pedana.
La distanza fra le cassette e l'estremo limite della pedana deve essere di m. 31, cosicché la rete, di fronte alla pedana, di larghezza oscillante fra m. 0,80 e m. 1,50, e divisa di mezzo metro in mezzo metro, sarà di m. 46. Le cassette possono venire azionate da macchina automatica od a mano. In ogni caso la sorte, a mezzo di congegno elettrico, deve decidere qual è la cassetta che dovrà aprirsi.
In alcuni campi non attrezzati ancora modernamente questo numero è dato da una girella a funzionamento automatico, mediante un'apposita lancetta. Il tiratore deve presentarsi sulla pedana col fucile scarico, aperto e rivolto verso le cassette: introduce il gettone in un apposito serbatoio affinché si possa formare il numero della cassetta da aprirsi; quindi carica e chiude il fucile, solo se il campo di tiro è completamente sgombro. Dopo aver sparato e prima di voltarsi verso l'uscita, il tiratore deve aprire il fucile e scaricarlo anche dei bossoli vuoti. Non si sparano più di due colpi per ogni bersaglio e, nei fucili automatici, si debbono introdurre solo due cartucce per ogni tiro. Se i colpi partono simultaneamente non dànno diritto a un terzo colpo e il bersaglio sarà "buono" se colpito e "zero" se sbagliato. Il tiratore, che non può oltrepassare con la punta dei piedi la linea di delimitazione della distanza assegnatagli, dice a voce alta la parola "pronto" e dopo la risposta corrispondente pronunciata dall'addetto al funzionamento delle cassette, dà l'ordine di "via". Se dopo il segnale non potesse effettuare il tiro per qualsiasi impedimento, dà il segnale "al tempo" e ricomincia da capo. Se il primo colpo non partisse per difetto della cartuccia o per inceppamento dell'arma, l'uno e l'altro controllati dalla giuria, il tiratore può ripetere il tiro purché non abbia sparato il secondo colpo. In caso contrario, il tiro è valido e il bersaglio sarà buono se colpito, zero se fallito. Se anche il secondo colpo non partisse, il tiratore ha diritto a ripetere il tiro con due cartucce normali. Se invece, sparato il primo colpo, il secondo non parte per gli stessi motivi sopra detti, il tiratore ha diritto di ripetere il tiro con la prima cartuccia a sola polvere e con la seconda normale. Il colpo a sola polvere dev'essere sparato dopo lo scatto della macchina, quando il bersaglio è in volo e prima del secondo colpo. Se il primo colpo a sola polvere non partisse o il tiratore non lo sparasse e il bersaglio venisse colpito con il secondo colpo, il tiro dovrà ancora ripetersi, mentre, se il bersaglio verrà fallito, il colpo non potrà ripetersi e sarà giudicato zero. Se anche il secondo colpo non partisse, il tiro sarà ripetuto con le medesime norme. Dopo il terzo identico incidente, il direttore di tiro ha la facoltà di ordinare la sostituzione del fucile. Nel verificarsi di questi incidenti, il tiratore non potrà mai abbandonare la pedana né aprire il fucile: ma terrà questo con le canne in alto a disposizione della giuria che verificherà e giudicherà. Abbandonando il suo posto dopo avere sparato il primo colpo, il tiratore non può più sparare il secondo. Egli può rifiutare il bersaglio col diritto ad ottenerne uno nuovo, nel caso che il bersaglio sia stato lanciato senza suo ordine, o che il bersaglio, dopo il "via", non si presenti subito e il tiratore comandi "al tempo", alzando l'arma in segno di rifiuto, o vengano lanciati i bersagli in numero diverso da quello stabilito. Il volatile, perché il colpo sia giudicato buono, deve cadere entro il recinto del campo: se cade fuori o viene a cader dentro dopo avere oltrepassato il limite della rete, è bersaglio fallito. Al piccione, prima di essere introdotto nella cassetta, viene tagliata la coda; affinché l'animale, volando improvvisamente privo del suo timone, e compiendo le più bizzarre evoluzioni, possa rendere più difficile l'esercizio del tiro. Per il tiro agli altri volatili (topacchio, quaglia, storno, passero) valgono tutte le regole suesposte.
Da qualche tempo è molto in voga il tiro al piattello. detto anche tiro al piccione d'argilla. Essendo più economico e non cruento, ha raccolto molti proseliti. Anche per il piattello vigono le norme enunciate: il bersaglio sarà buono purché da esso venga asportata una parte chiaramente visibile prima che tocchi terra. Unica variante è nella distanza fra la pedana e la macchína lanciapiattelli, che va da un minimo di m. 8 ad un massimo di m. 16: il campo di tiro, inoltre, può anche non avere limitazioni di recinto. Il piattello, fatto di argilla, catrame, rena, scagliola e gesso, non può oltrepassare la misura di cm. 11 di diametro e di 28 mm. di spessore, tenendo presente che la parte centrale dev'essere più sottile della circonferenza.
L'organizzazione in Italia. - Fino al 1926 l'esercizio del tiro a volo in Italia era effettuato, senza un criterio direttivo unico, da varie società. In quell'anno E. Stacchini pensò d'inquadrare e regolarizzare l'attività delle singole associazioni organizzandole in una federazione, che dapprima si limitò al solo esercizio del tiro al piattello e assunse il nome di Federazione italiana di tiro al piccione di argilla (F.I.T.P.A.). Ma i successi propagandistici e disciplinari ottenuti valsero ben presto ad allargare l'attività della federazione, la quale, fra il giugno e l'agosto del 1927, estese la sua opera a tutto il campo del tiro a volo, assumendo il titolo che tuttora conserva di Federazione italiana tiro a volo (F.I.T.A.V.). Questa inquadrò i tiratori italiani, i quali, da 237 nel 1926 salivano nel maggio 1936 a 7685: promosse e incoraggiò la costituzione di società, le quali, da 25, quante erano nel 1926, ammontavano nel maggio 1936 a 693, mentre le gare, che erano state solo 29 nel 1926, raggiungevano nel periodo 29 ottobre 1934-maggio 1936 la cifra di 3061, avendo toccato il numero di 2669 nel solo anno 1930, nel quale la F.I.T.A.V. organizzò il primo campionato mondiale, vinto dall'Italia con O. Menicagli. Sono stati messi in palio, dal 1927 al maggio 1936, premî in denaro per circa 39 milioni di lire, sono stati uccisi volatili per il peso totale di 2900 quintali e sono state sparate nelle sole gare 7 milioni di cartucce. Nello stesso periodo dal 1926 al maggio 1936 i tiratori tesserati della F.I.T.A.V. hanno ottenuto in campo internazionale 569 primi premî, 961 piazzamenti, 4 grandi premî di Monaco, un campionato mondiale. Nel 1935 due tiratori romani stabilivano i nuovi primati italiani di tiro al piccione e al piattello: Alfredo Candelotti il primo con 33 piccioni su 33 e Gustavo Beretta il secondo con 166 piattelli su 166. Inoltre lo stesso presidente della F.I.T.A.V., Ettore Stacchini, detiene quattro primati mondiali di tiro al piattello e cioè: il massimo dei bersagli colpiti in una gara (101 su 101); il massimo dei bersagli colpiti in più gare nella stessa giornata (161 su 161); il primato del mondo di velocità di tiro al piattello con 90 bersagli colpiti su 100 sparati in 112″ e 3/5 togliendolo al Belgio che lo deteneva con 80 su 100 in 152″, e infine il primato del mondo quantitativo colpendo 1000 bersagli su 1027 in 1 ora 20′ 57′′ 3/5 di fuoco effettivo. Oltre ai nominati, numerosissimi altri tiratori italiani hanno imposto il loro nome nelle più frequentate e difficili competizioni internazionali. Infine 5 medaglie al valore atletico sono state concesse ai tiratori della F.I.T.A.V.: 2 d'oro a E. Stacchini per i primati mondiali anzidetti e 5 di bronzo ai tiratori B. Salvati, G. Zucconi, A. Candelotti, G. Beretta e G. Guastalla per primati stabiliti o per vittorie di campionato italiano nella categoria campioni.
Il tiro a volo o contro bersaglio mobile non è praticato solo sui campi di società sportive, ma è un ottimo coefficiente dell'esercizio venatorio. Un ottimo cacciatore non è però sempre un ottimo tiratore di pedana. Al cacciatore infatti basta solo di "smontare" il selvatico mentre, nel campo di tiro, il tiratore deve immobilizzarlo subito: quindi il volatile dev'essere colpito in pieno se non si vuole che, benché ferito ed anche gravemente, vada a cadere fuori della rete. Ciò si ottiene non solo centrando bene il bersaglio, ma imparando a rimettere con la massima celerità quel secondo colpo che invece il cacciatore sparerà molto più a tempo. Il tiro di caccia e il tiro di pedana sono sostanzialmente diversi: sul campo, il tiratore spara quando vuole, mentre il cacciatore può farlo soltanto allorché il selvatico gliene offre il destro. Il cacciatore spara nelle posizioni più acrobatiche immaginabili, sia in montagna sia in palude, mentre il tiratore è abituato a sparare nelle posizioni più comode sul ben levigato cemento della pedana.. Il pubblico che assiste interessato può influire sui nervi più o meno eccitabili del tiratore, mentre il cacciatore si trova solo, a tu per tu con il selvatico e con la sua abilità. E da ultimo la difficoltà maggiore, e cioè la "serie", fa diversificare il cacciatore dal tiratore. Se il cacciatore in una giornata fallisce un colpo, è indifferente che questo sia il primo, il decimo o il ventesimo; per il tiratore invece fallire un colpo, sia il primo o l'ultimo, significa essere messo subito fuori gara o dover rinunciare al massimo premio. Uccidere 10 o 12 piccioni di seguito è già difficile; ma una gara importante non si vince se non uccidendone 20 o 25, senza sbagliarne uno. Il fucile da caccia sarà quindi diverso da quello da tiro. Questo abbisogna di canne fortemente strozzate perché i proiettili vadano più lontano e più compatti possibile: dovrà essere di un peso rispettabile dovendo sopportare cartucce potenti: dovrà essere accuratamente fabbricato appunto perché sottoposto a grande usura per la forza delle polveri usate nelle loro dosi massime. Il fucile da caccia sarà più leggiero, perché un'arma pesante non può essere portata per un'intera giomata senza fortemente stancare, rendendo così difficile il tiro efficace.