Abstract
Viene esaminata la definizione del tipo contrattuale, che serve per individuare la normativa applicabile alle concrete fattispecie contrattuali. In tale prospettiva, sono analizzati il suo significato giuridico e quello della causa del contratto, che vale a connotarlo. Successivamente, il tipo contrattuale è vagliato alla luce della normativa dell’Unione europea. Si giunge, infine, a definire il processo di individuazione del diritto applicabile ai contratti tipici, considerando anche la distinta disciplina di quelli atipici, non tanto per ragioni di simmetria, quanto per definire meglio la metodologia, che è adeguata per il rinvenimento e l’applicazione della disciplina più consona al caso concreto.
Del tipo si parla negli artt. 1322 e 1323, c.c., con riguardo ai contratti, e ancora negli artt. 2249, 2437 e 2500, c.c., con riferimento alle società. È un’espressione che compare per la prima volta nel codice vigente e viene a sostituire il riferimento al nomen, con la conseguente discriminazione dei contratti tipici, disciplinati dalla legge, da quelli atipici, che non sono invece determinati ed ordinati dalla legge, in luogo di quella tra contratti nominati e innominati. La meno remota distinzione segna un progresso, giacché la conformità o non conformità di una fattispecie concreta allo schema legale prescinde dalla stessa nozione, con cui il codice civile prospetta le ipotesi dei singoli tipi legali, che non individua in sé tutti i tratti, che li definiscono (cfr., ad esempio, gli artt. 1556-1558 c.c., in tema di contratto estimatorio). A più forte ragione, la definizione dello specifico tipo contrattuale non dipende dal nome attribuito dalle parti all’atto, perché le norme di definizione, al pari di quelle di qualificazione degli schemi legali tipici, sono estranee alla loro sfera di competenza dispositiva, dovendosi piuttosto interpretare qual è la loro effettiva volontà contrattuale, secondo i noti canoni interpretativi, per intendere e delimitare il significato del loro atto di autonomia privata (artt. 1362 ss. c.c.).
Riferito alle società, il termine attiene alla specie, evidentemente per puntualizzare come, pur nella specificità delle loro caratteristiche organizzative, tutte le diverse tipologie rientrano nel genus società.
Nel caso del tipo contrattuale, si tratta, piuttosto, di stabilire, principalmente, se, a fronte di una determinata fattispecie concreta, l’applicazione diretta di una norma sia subordinata alla sua inquadrabilità in uno degli schemi contemplati e disciplinati nel codice civile o nelle leggi speciali, oppure se, invece, non potendo la fattispecie concreta essere inserita in uno degli schemi legali tipizzati, l’interprete debba orientarsi verso una diversa individuazione del diritto applicabile al caso concreto (Cataudella, A., I contratti. Parte generale, IV ed., Torino, 2014, spec. 216 ss.).
Il codice civile vigente si caratterizza per la presenza di una disciplina generale del contratto (artt. 1321–1469 c.c.), alla quale si accompagna la disciplina dei singoli tipi contrattuali (specificamente, gli artt. 1470-1986 c.c., ma non solo).
La parte generale sul contratto non ha riguardo al contenuto, quanto piuttosto alla struttura dell’atto. Perciò, l’unico settore di elezione di un vero e proprio conflitto di norme (Gesetzkonkurrenz) è quello della risoluzione, poiché si tratta di una disciplina che attiene al rapporto contrattuale, piuttosto che all’atto.
Al di fuori di siffatto specifico ambito, esistono certamente casi in cui l’applicazione della disciplina speciale esclude quella generale (art. 761 c.c., in tema di divisione; art. 1551 c.c., in tema di riporto; art. 1664 c.c., in tema di appalto; artt. 1969-1970 c.c., in tema di transazione; art. 1560 c.c., in tema di somministrazione; artt. 1662, 1667 e 1668 c.c., in tema di appalto), ma si tratta di ipotesi contemplate da norme il cui ambito è legislativamente definito e per le quali non è prospettabile un conflitto concreto con le norme generali.
Per il resto, le norme di parte generale e di parte speciale hanno diversi ambiti di applicazione. Senza una identica materia, alla quale una pluralità di norme sono concretamente e contestualmente applicabili, viene meno anche in via d’ipotesi il problema del loro conflitto. Le norme generali sono, quindi, norme comuni, che si applicano a tutti i contratti in concorso (e non in antitesi) con le norme particolari, nel senso della combinazione e non della reciproca esclusione.
Ciò significa altresì che la disciplina formale o strutturale del contratto atipico, che, come tale, non è inquadrabile in alcuno degli schemi legislativamente predefiniti, non è, né può essere, diversa da quella del contratto tipico. Questo è un dato di convergenza fra le due figure.
L’applicazione diretta delle norme speciali, che disciplinano i tipi contrattuali (cfr. art. 12 disp. l. gen.), siano esse contenute nel codice o altrove, impone una definizione, preliminare e preparatoria, del termine tipo: l’individuazione del diritto applicabile al caso concreto e, se si preferisce, la stessa esattezza della sussunzione sono determinate dalla correttezza, con cui si procede alla determinazione delle premesse del giudizio.
Al di là delle classificazioni, che pure hanno un certo rilievo in materia, il processo di individuazione del diritto applicabile al singolo e concreto contratto e la stessa definizione del tipo contrattuale sono stati largamente influenzati nel nostro Paese dal fatto che, in materia contrattuale, i problemi del tipo sono stati per lo più inseriti o assorbiti in quelli della causa del negozio, enucleandosi la nozione di tipo soltanto nell’ambito di uno stesso schema causale. Autonomia privata, causa e tipo negoziale, se pure concettualmente individuano entità distinte, inevitabilmente si intrecciano e, vicendevolmente, si condizionano, in quanto tutte incidono in una medesima prospettiva, quella del rapporto tra l’attività del privato e l’ordinamento giuridico.
Il tipo contrattuale è stato considerato, in un primo momento, sinonimo di comportamenti sociali omogenei ed è stato, in tal modo, ricondotto alla causa del negozio, nel senso che, a differenza del sistema romano imperniato sul carattere nominato delle azioni, i contratti dovrebbero essere, oggi, configurati per tipi sociali per essere degni di tutela giuridica: gli interessi dei contraenti non debbono essere meramente individuali, contingenti, variabili, contraddittori, socialmente imponderabili. Debbono essere, per contro, esigenze costanti, normali, classificabili per tipi ed essere conformi alle valutazioni economiche o etiche della coscienza sociale (c.d. tipicità sociale) (Betti, E., Der Typenzwang bei den römischen Rechtsgeschäften und die sogennante Typenfreiheit des heutigen Rechts, ed. it., ora in Betti, E., Diritto Metodo Ermeneutica, Milano, 1991, 344).
Queste definizioni del tipo e della causa del contratto – le quali, al di là dell’enfasi ideologica, che pure all’origine le assisteva, erano fondate sulla consuetudine, giacché per il riconoscimento giuridico, di regola, la giurisprudenza avrebbe dovuto richiedere la prova che si trattasse di un interesse economico-sociale generale obiettivamente valutabile, che esistesse una pratica più generale, che usasse la promessa di debito e la disposizione pratica che, anche se non avesse portato alla formazione di un diritto consuetudinario, tuttavia sarebbe stata adatta a giustificarlo e aprire la via alla sua formazione (Betti, E., Der Typenzwang, cit., 344) – non hanno effettivamente prodotto, sul piano della rilevanza giuridica dell’atto di autonomia privata, le temute conseguenze inerenti alla sua derivazione concettuale di connotazione corporativa, siccome il fenomeno della massiccia presenza nella pratica di schemi contrattuali diffusi e consolidati nella loro configurazione, anche se normativamente non disciplinati, ha imposto il riconoscimento del dovuto rilievo ai contratti, connotati da tipicità sociale, rendendo marginali, se non quasi del tutto ignoti, i casi nei quali le parti perseguono concretamente interessi futili. D’altronde, la consuetudine, non diversamente dalla legge, è frutto dello spirito oggettivo della società, la quale, nel praticare le soluzioni consuetudinarie dei problemi sociali, accoglie nell’universo dell’ordinamento giuridico le regole di azione suggerite dalla prassi comune.
Muove, invece, dall’idea che il tipo contrattuale attiene alla struttura dell’atto, mentre la causa unicamente alla meritevolezza dell’interesse tutelato dall’ordinamento giuridico,chi reputa che il tipo concerne la qualificazione dell’atto di autonomia privata e gli effetti che la struttura e la regola possono produrre; ossia al tema della valutazione e al problema dell’inseribilità della regola e dell’atto di autonomia privata nell’ordine giuridico (Ferri, G.B., Causa e tipo nella teoria generale del negozio giuridico, Milano, 1966, 124 e ss.).
La causa diviene la funzione economico-individuale attraverso la quale le parti hanno inteso regolare propri, specifici e concreti interessi.
Il negozio giuridico cessa di essere un atto ‘autorizzato’ dall’ordinamento, ed è esso stesso, inteso come valore, la fonte degli effetti. L’ordinamento può solo accettarlo o rifiutarlo se è incompatibile con i suoi valori.
Si disconosce, tuttavia, che i principi generali dell’ordinamento possano assurgere a limiti positivi dell’autonomia privata ed anche avere influenza nell’ambito del giudizio sulla meritevolezza del contratto: la formula della funzione economico-individuale ha lo scopo di limitare gli interventi dello Stato al conflitto estremo con l’agire dei privati, che si sostanzia nell’illiceità dell’atto (Ferri, G.B., Il negozio giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1987, 134).
La distinzione tra il tipo, inteso come la struttura del contratto, e la causa, intesa come la sua funzione individuale, non è accolta in una più ampia, articolata e diversamente orientata concezione dell’ordinamento giuridico e dei suoi valori.
Nel decidere sul singolo problema postosi in concreto, rileva, invece, l’assetto di interessi dal quale l’atto di autonomia trae origine e la causa concreta dell’atto, intesa come funzione ‘socio – individuale’ del contratto (Perlingieri, P., In tema di tipicità e atipicità nei contratti, in Perlingieri, P., a cura di, Il diritto dei contratti tra persona e mercato, Napoli, 2003, 391 e ss.).
Per individuare in che modo l’autonomia privata vada esercitata, in una prospettiva sistematica ed assiologia, bisogna tener presente che l’atto negoziale è valido non tanto perché voluto, ma se e soltanto se è destinato a realizzare, secondo un ordinamento fondato sul personalismo e sul solidarismo, un interesse meritevole di tutela.
In antitesi con quanti individuano la causa del contratto nell’interesse dei contraenti in sé considerato, oppure in ciò che vuole il mercato, o reputano che la funzione sociale del contratto è il mercato, si patrocina che sono l’iniziativa economica, la proprietà e le loro tutele ad essere funzionalizzate per la realizzazione della persona umana, che è il valore primario (Perlingieri, P., La personalità umana nell’ordinamento giuridico, in Perlingieri, P., a cura di, La persona e i suoi diritti, Napoli, 2005, 9 e ss.).
Concretamente, il giudizio di meritevolezza del contratto deve svolgersi in modo che lo specifico atto, anche se tipico, sia meritevole di tutela in quel contesto particolare in cui opera e in base al suo complessivo contenuto.
La tipicità assume così una funzione solo descrittiva e classificatoria. Si impone, invece, una nuova metodologia fondata sul problema concreto, piuttosto che sui concetti. Per individuare la disciplina applicabile non si dovrà sussumere l’atto nella fattispecie astratta, che connota il tipo legale, ma si dovranno impiegare i principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità.
Il superamento del tipo contrattuale conduce, in tal modo, alla messa in disparte delle tradizionali classificazioni, che dalla sua applicazione conseguono: il negozio collegato esprimerebbe una ragione unitaria, che renderebbe inutile il ricorso ai tipi collegati; lo stesso varrebbe, essenzialmente, per i contratti misti e per la discussa categoria del negozio indiretto.
Diversamente, considera la causa come un riferimento inidoneo ad individuare il tipo contrattuale e, più in generale, la disciplina del singolo concreto contratto chi propugna il c.d. metodo tipologico, secondo cui il concetto, con cui sono identificati i tipi contrattuali, è artificioso e staccato dalla realtà, perché, nell’elaborarlo, si mettono, rigidamente, in evidenza solo i suoi elementi essenziali (e non le differenze inessenziali), che, una volta individuati ed isolati, lo formano (in Italia, De Nova, G., I tipi contrattuali, Padova, 1974, passim; per la dottrina tedesca che, per prima si è avvalsa della metodologia, si richiama l’efficace, documentata e ragionata sintesi di Langenfeld, G., Vertragsgestaltung Methode Verfahren; Vertragstypen, 3 Auf., München, 2004, spec. 35-55).
La ragion pratica dell’uso del metodo tipologico fu indotta, in Italia, dall’esigenza di razionalizzare le tendenze, considerate ‘eversive’, della giurisprudenza, che, all’epoca, sebbene risolveva i problemi di disciplina delle concrete fattispecie in termini di sussunzione, in alcuni casi faceva riferimento ad elementi, che non erano propri della definizione del contratto, oppure dava peso ad effetti ‘naturali’, ma rilevanti ai fini della qualificazione, seguendo strade diverse da quelle proclamate.
L’esame delle dottrine, il cui discernimento implica la necessità di tenere separate le loro differenti individuazioni ed applicazioni del diritto al caso concreto, sarebbe parziale se non si vagliasse la rilevanza, che, nella specifica materia, ha assunto il diritto dell’Unione Europea.
Il diritto dell’Unione Europea è teso verso un diritto privato comune: un ordinamento giuridico aperto, in cui traspaiono, in una dimensione attuale, constatazioni ed intuizioni di storici del diritto, filosofi del diritto e giuristi positivisti, e di cui è una significativa espressione il dialogo tra le corti (Del Prato, E., Requisiti del contratto, Il codice civile. Comm. c.c. Schlesinger-Busnelli, 2013, 36 ss.).
In questo quadro, il legislatore comunitario e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea contribuiscono a far progredire il diritto nazionale e possono influenzare categorie, concetti ed istituti giuridici. Avendo sempre presente l’esigenza di garantire l’effettività del diritto dell’Unione Europea, in cui sono compresi sistemi giuridici distinti – e, in particolare, quelli di civil e common law –, la legislazione dell’Unione in materia contrattuale ha adottato come punto di incidenza normativo e di riferimento, concettuale ed ermeneutico, piuttosto che il tipo contrattuale, il raggruppamento di una intera serie di contratti o un intero settore o una materia da disciplinare (si pensi alle normative in tema di contratti conclusi fuori dei locali commerciali, del credito al consumo, della regolamentazione dei contratti bancari e finanziari, della subfornitura, della vendita porta a porta), e, quando ha espresso norme applicabili ai singoli tipi contrattuali, ha accentuato gli aspetti inderogabili della disciplina normativa, imponendo norme imperative variamente ispirate a finalità di controllo e di tutela, specialmente, del contraente debole. Talvolta il diritto dell’Unione Europea ha anche affidato il compito di tipizzazione, in precedenza svolto dal legislatore nazionale, ad autorità indipendenti (Banca d’Italia, Consob ecc.) (Lipari, N., Trattato di diritto privato europeo, Padova, 2003, 272 e ss.).
Non si tratta però, come si è stimato un po’ sommariamente, di un cambiamento del concetto stesso di tipicità del contratto, che ormai concernerebbe intere ‘famiglie contrattuali’ (come, invece, sostiene Caringella, F., Il contratto, I, Roma, 2011, 262), ma di una opportuna conformazione della legislazione dell’Unione all’esigenza di adeguamento dei diversi sistemi normativi nazionali, dovendosi tener conto anche di quelli di common law, che non conoscono la tipizzazione legale, ma invece quella giurisprudenziale dei tipi contrattuali, almeno nell’ambito più propriamente common; vale a dire in un campo, essenzialmente, non disciplinato da atti aventi forza e valore di legge (Costanza, M., Il contratto atipico, Milano, 1981, passim). Il diritto dell’Unione Europea in materia contrattuale tende ad esprimersi, seguendo una logica affine a quella degli statutes (Farnsworth, E.A., Contracts, III ed., New York, 1999, 363 e ss.), i quali appunto regolano intere classi di contratti in vista della disciplina di una data materia o del conseguimento di uno specifico scopo (cfr. LAW Reform, (Enforcement of Contracts), Act, 1954, 2 6 3 Eliz., c. 34). È però opposta la tendenza verso l’inderogabilità della disciplina, che è propria del diritto dell’Unione Europea, e della derogabilità, che è propria dei sistemi di common law, in cui anche le ‘general rules of contract law’ sono normalmente derogabili da una diversa prescrizione delle parti (cd. default rule). Da ciò, l’esigenza della Gran Bretagna di adeguarsi alla diversa cogenza delle norme dell’Unione in materia, che è più forte di quella avvertita in altri paesi, come il nostro, in cui le norme inderogabili sui tipi sono ben più numerose di quanto, in un primo momento, si fosse creduto; a voler tacere di quelle, che sono contenute nella disciplina generale del contratto.
Le indicate caratteristiche della legislazione dell’Unione, già in sé considerate, indirizzano l’attenzione del giurista verso il concreto assetto di interessi voluto dalle parti e tendono a valorizzare la causa concreta del contratto, almeno nei paesi, come il nostro, in cui il requisito causale è richiesto per la sua stessa rilevanza giuridica, dato che la sua meritevolezza va ormai ricercata anche nei contratti legalmente tipici, che debbono essere meritevoli di tutela giuridica al di là dell’inquadramento in uno schema legale tipico (Cass., 8.5.2006, n. 10490), oltre che in quelli atipici (arg. ex art. 1322, c. c.). È questa una tendenza, incoraggiata anche dalla giurisprudenza italiana, che la rinforza, laddove prescrive di effettuare il giudizio di meritevolezza alla luce dei valori espressi dalla Costituzione, dei principi espressi dall’ordinamento dell’Unione Europea e da quelli desumibili dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, muovendo da una definizione della causa concreta del contratto, che è stimata essere la funzione economico – individuale del singolo e specifico contratto, lo scopo pratico del negozio, la sintesi degli interessi, che è praticamente diretto a realizzare, ed è distinta dalla causa, intesa come funzione economico – sociale, che è definita astratta (Cass., 8.2. 2013, n. 3080). In tal modo, si conferma la tendenza del diritto civile a porsi come diritto comune con una spiccata dignità assiologica (Del Prato, E., Requisiti, cit., 36).
È, quindi, una incongruenza, giustificata dall’immaginaria esigenza dei traffici, che, all’opposto, nell’ambito dello stesso diritto dell’Unione europea e, in particolare, nei modelli a struttura ‘codicistica’ – nei quali, in una prospettiva comune europea, si sono dettate normative, anche in materia contrattuale, quali, ad esempio i Principi Unidroit; i Principi di diritto europeo dei contratti, il Codice di Pavia e il Draft of Common Frame of Reference (per la cui argomentata analisi cfr. Del Prato, E., Requisiti, cit., 36) – sia possibile considerare il nudo patto sufficiente a giustificare il contratto (cfr. Breccia, U., Morte e resurrezione della causa: le tutele, in Mazzamuto, S., a cura di, Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, spec. 246-247). Da qui, i lodevoli tentativi di reinterpretare i principi e le regole ‘comunitarie’ nel senso di includervi il concetto di causa concreta del contratto (Ferri, G.B., Riflessionisuldirittoprivatoeuropeo, inEuropa e dir. priv., 2011, 1 e ss), o, più cautamente, di argomentare nel senso che, nonostante la mancanza di riferimento alla causa del contratto, il giudice nazionale non potrà fare a meno di tener conto della causa o della consideration nel valutare ‘le promesse’ (Alpa, G., La causa e il tipo, in Gabrielli, E., a cura di, I contratti in generale, in Trattato contratti Rescigno-Gabrielli, Torino, 2006, 559), sebbene, in alcuni paesi di common law, il diffondersi della teoria della nominal consideration, emblematicamente rappresentata dalla ‘peppercorn theory’, abbia ormai trasformato la consideration in un requisito puramente formale volto a palesare l’effettivo intento di obbligarsi dei contraenti, più che a tutelare i loro interessi sostanziali.
Dall’esame delle norme del codice civile si evince che i tipi contrattuali, che sono definiti come concetti di classe, consistono in veri e propri sistemi caratterizzati da elementi di complessità per gli elementi essenziali, che li compongono: siffatti elementi sono posti in un sistema di relazioni interno, caratterizzato dalla funzione dello schema tipico.
Non si è di fronte a sistemi chiusi o, peggio ancora, autoreferenziali. Lo stesso codice civile contiene, d’altronde, nell’ambito della disciplina degli stessi contratti tipici, numerose norme che consentono l’applicazione ad un tipo contrattuale della disciplina di un diverso tipo (cfr. artt. 1555, 1570, 1677, 1782, co. 2, c.c.). In questi casi, se non si trattasse di ipotesi tipiche, il ricorso all’analogia sarebbe agevole. Qui il criterio della compatibilità sembrerebbe preferito, perché l’analogia nel nostro ordinamento ha, per espressa previsione di legge (art. 12, disp. l. gen.), funzione integrativa dell’ordinamento giuridico.
Le differenze della disciplina applicabile, rinvenibile utilizzando il criterio della compatibilità o quello dell’analogia, non sono, comunque, così degne di nota come, a prima vista, si potrebbe immaginare: in entrambi i casi occorrerà sempre ricercare la ratio legis della norma da utilizzare, valutando il contesto normativo in cui si inserisce alla luce della ratio (i.e. causa) dell’atto di autonomia privata, sebbene, come meglio si vedrà in seguito, il potere del giudice di conformare la disciplina di legge al caso concreto sia più ampio nell’ipotesi di analogia (arg. ex art. 12, disp. l. gen.).
Ai contratti tipici, si applicano le norme di parte generale e quelle specifiche che regolano la fattispecie legale. Non è però da escludere che alcune regole, seppure dettate per un singolo contratto tipico, abbiano una portata che lo trascende, come accade in ipotesi di evizione, in cui la regola dettata in tema di compravendita è applicata a tutti i contratti onerosi.
Definito il tipo come sistema aperto, è da precisare che esiste da tempo un sostanziale accordo della letteratura sull’impossibilità di utilizzare come criterio di selezione delle norme qualificatorie dei tipi contrattuali la distinzione tra norme cogenti e non cogenti.
L’inderogabilità di una o più norme, ordinate per fattispecie contrattuali, presuppone l’identificazione del tipo e, di conseguenza, non ha spazio concettuale fino a quando non sia positivamente risolto il problema dell’ascrizione della singola fattispecie concreta al tipo legale. Le proposizioni normative che contengono elementi descrittivi della fattispecie (Begriffsbestimmungen), in forma esplicita o implicita, non appartengono né al diritto cogente né a quello dispositivo (Cataudella, A., I contratti, cit., 193). La tematica delle norme cogenti ha, invece, ragione di porsi solo dopo che sia stato risolto il problema dell’inquadramento del concreto contratto in un determinato schema legale tipico.
Un contratto può considerarsi atipico solo qualora mutino, rispetto all’ipotesi legale tipica, gli elementi essenziali, che connotano la sua funzione astratta, tipizzata dalla legge.
Non tutte le regole dettate dalle parti incidono, infatti, sulla funzione, contemplata dall’ordinamento. Alcune non hanno questa idoneità, in quanto regolano aspetti marginali, secondari o strumentali dell’assetto di interessi.
Nei limiti in cui ciò si verifica la fattispecie concreta, pur non coincidendo completamente con quella determinata dal legislatore, continua ad essere inquadrata nello schema legale, che, sotto questo aspetto, presenta una certa elasticità (Del Prato E., Contratti misti: variazioni sul tema, in Del Prato, E., a cura di, Studi in onore di A. Cataudella, I, Napoli, 2013, 627 e ss.).
Si è già fatto cenno alle metodologie, che rifuggono dall’applicazione della sussunzione. A questo punto, è il caso di far presente che l’applicazione contestuale del metodo tipologico unitamente al criterio causale per la qualificazione del tipo contrattuale sarebbe in sé contraddittoria, in quanto uno degli aspetti critici di siffatta metodologia è costituito proprio dal fatto che opera senza ratio, ossia senza riferimento alla causa dell’atto di autonomia privata.
Se, invece, si volesse applicare solo siffatta metodologia senza avere come punto di riferimento ermeneutico la ratio dell’atto di autonomia privata (i.e. la causa), si individuerebbe un diritto frammentario e, spesso, contraddittorio con il caso concreto da regolare. La mancanza nel metodo tipologico della guida, costituita dalla identità di ratio, nella ricerca della disciplina da applicare determinerebbe il disconoscimento degli stessi interessi da contemperare e farebbe sì che gli effetti legali enunciati per uno specifico tipo contrattuale si producano, quando vi sia la mera identità tra i singoli spezzoni del contratto e le singole attribuzioni costitutive del tipo legale, anche se nel diverso contesto promuovono una funzione disuguale.
Va, inoltre, rifiutata l’idea che la norma di legge sia uno dei parametri di riferimento, e neppure il più importante, al quale il giurista deve fare riferimento, quando cerca di individuare il diritto applicabile al caso concreto, come altrove si è creduto di fare, propugnando la topica (Struck, G., Topische Jurisprudenz, Frankfurt am Main, 1971, passim), oppure assumendo, in una più ampia prospettiva esegetica, che l’analogia debba operare, mediante l’applicazione del tipo ideale, in una logica imperiosa, anche all’interno dello schema della sussunzione (Kaufmann, A., Analogie und “Natur der Sache”. Zugleich ein Beitrag zur Lehre von Typus, Karlsruhe, 1965, spec. 37 ss.), a causa della concreta esigenza, che la Germania ha avuto nel primo dopoguerra, di avversare e correggere l’ingiustizia, imposta dalla legge (gesetzliches Unrecht). In ogni caso, la giurisprudenza, come procedimento intuitivo-individualizzante di ritrovamento della massima di decisione (Rechtsfindung) a partire dalla concreta individualità del caso (Fall), risale alla giurisprudenza classica ed è un tratto caratteristico della virtù giuridica dei romani e costituirà, poi, un principio centrale della tradizione anglosassone della case law.
L’impiego della sussunzione, oltre ad essere una necessità, soprattutto dal punto di vista della determinazione della premessa maggiore del giudizio alla luce della disciplina dettata dalla nostra Costituzione (artt. 1, 3, co. 1, 70 e ss., 101 e 111, co. 6), è, per di più, fondata sulla scienza della logica, che necessita delle definizioni, anche di quelle desumibili dalla legge ordinaria, per poter effettuare qualsiasi deduzione. Per cui, escludere radicalmente la sussunzione significherebbe, praticamente, rinunciare, secondo i dettami della scienza della logica classica e simbolica, alla deduzione e lasciare spazio solo all’induzione (Copy, I. M. – Cohen, C., Introduzione alla logica, Bologna, 1994, 9, 451) o, peggio ancora, all’intuizione.
Tutto ciò non significa, tuttavia, rinunciare all’applicazione dei principi, specialmente, di rango costituzionale per ritornare al sistema ‘interno’ e ‘chiuso’ di una connessione logica di concetti, che sarebbero collegati in via esclusivamente logico-deduttiva. I principi, e in modo particolare quelli generali, non costituiscono, invero, una categoria semplice ed unitaria.
Non si può negare, nondimeno, che alcuni di essi possano avere una funzione normogenetica. Ciò dipende dalla convinzione che si ha della norma giuridica. Se per norma s’intende qualsiasi valutazione o qualificazione possibile rilevante nell’ambito dell’ordinamento, allora il principio è norma o almeno fonte di norme. Non c’è alcuna incompatibilità tra l’eccedenza deontologica e assiologica, che li caratterizza, e la loro natura normogenetica, sebbene il principio costituzionale, per la sua eccedenza di contenuto valutativo, sia, in concreto, potenzialmente fonte di norme, piuttosto che norma esso stesso (Modugno, F., Principi generali dell’ordinamento giuridico, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 4).
L’opera di integrazione può essere compiuta direttamente dal legislatore. Può però accadere che sia compiuta dall’operatore interprete e, in definitiva, dal giudice.
Quando un principio, specialmente costituzionale, è fonte di norme non opera solo nell’ipotesi in cui un’ipotetica lacuna non sia stata colmata mediante il ricorso alle norme, al sistema normativo ordinario ed ai principi comuni. Né opera per analogia, bensì per applicazione, indiretta o diretta, nel suo itinerario di progressiva specificazione.
I principi e le norme costituzionali valgono anche ad integrare la stessa definizione del tipo contrattuale, previsto dalla legge ordinaria, come accade, ad esempio, nella fattispecie lavoro subordinato, in cui la proporzionalità della retribuzione al lavoro svolto e la sua idoneità a soddisfare i bisogni della persona e della famiglia del lavoratore qualificano, in un contesto costituzionalmente rafforzato, la definizione dello specifico tipo legale (Pessi, R., Contributo allo studio della fattispecie lavoro subordinato, Milano, 1990, passim).
L’efficacia dei principi e delle norme costituzionali, può, ulteriormente, esercitarsi attraverso la concretizzazione delle clausole generali (es. buona fede e correttezza), nel concorso alla determinazione dell’ordine pubblico e del buon costume e, in generale, nel controllo di meritevolezza e liceità dei comportamenti, attuato attraverso l’esame della causa del contratto: il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) giustifica il contratto gratuito atipico, purché corrisponda, concretamente, ad interessi solidaristici non patrimoniali dei contraenti.
Analoghe considerazioni valgono per il diritto dell’Unione europea, che è direttamente applicabile al caso concreto e prevale di regola sul diritto interno per la copertura dell’art. 11, Cost. (Cass., 02.03.2005, n. 4466), sebbene l’applicazione del diritto nazionale s’imponga quando la sua attuazione conduca ad una interpretazione più ragionevole e conforme alla legalità costituzionale nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione italiana e dei diritti inalienabili della persona (Perlingieri, P., Applicazione e controllo nell’interpretazione giuridica, in Rass. dir. civ., 2010, 327 e ss.).
Le differenze tra l’individuazione del diritto applicabile ai contratti tipici ed atipici è, dunque, segnato dall’esistenza della lacuna, che prescrive l’applicazione analogica, che è, nel nostro ordinamento, una forma eminente di aequitas constituta, espressione del principio di uguaglianza e, quindi, di quelli di ragionevolezza e proporzionalità (Del Prato, E., Ragionevolezza e bilanciamento, in Riv. dir. civ., I, 2010, 23 e ss.). L’uguaglianza, nel suo nucleo forte, non solo è un principio costituzionale, ma non è derogabile da altre norme pur se munite di copertura costituzionale (C. cost. 28.11986, n. 16).
L’analogia è in quest’ambito il presupposto intergiuridico costituito dall’esigenza empirica di razionalità del governo della vita sociale, che si contrappone all’ingiustizia, alla casualità, all’imprevedibilità e all’arbitrio, la cui concretizzazione conduce a risultati analoghi e non identici a quelli a cui si perviene nell’ambito del contesto normativo formalizzato (Falzea, A., Teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Milano, 1999, 354 e ss.).
È il caso di precisare che, anche in quest’ambito, l’interpretazione orientata alla valutazione e all’idea del valore non nega affatto che gli interessi giuridici si compongono in sistema e l’ordinamento giuridico si palesa come un sistema di interessi unitario. L’accettazione dell’idea della norma come espressione di un giudizio di valore non priva di validità né l’idea di una razionalità dell’ordinamento giuridico, né in generale il metodo teleologico (orientato verso l’idea del valore).
La comune applicazione dei principi, in primo luogo, di rango costituzionale e delle regole - anche della parte generale, che disciplina il contratto - espresse dalla legge ordinaria, nonché l’esistenza di un fittissimo numero di norme di legge, dettate per la disciplina dei singoli tipi legali, applicabili direttamente ai casi tipizzati, analogicamente ai casi simili e che possono anche condurre all’individuazione di principi impliciti, fa si che, sul piano della normativa applicabile, vi sia tra contratti tipici ed atipici, piuttosto che un salto, una graduazione (Cataudella, A., I contratti, cit., 216).
Artt. 1322 e ss. e 1470 e ss., c.c..
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