TIMOTHEOS (Τιμόϑεος, Timotheus)
1°. - Scultore nativo probabilmente di Epidauro, ma di scuola attica, vissuto intorno alla prima metà del IV sec. a. C. e attivo fra il 370 e il 350 a. C. Il suo nome e legato a due fra i più importanti complessi scultorei del IV sec., il tempio di Asklepios a Epidauro ed il Mausoleo di Alicarnasso, ma gli scarsi dati delle fonti non hanno consentito attribuzioni inequivocabili, cosi che la figura di questo artista conserva dei contorni piuttosto imprecisi. Essa si colloca genericamente nell'ambito di quella corrente postfidiaca volta a elaborare soprattutto le conquiste luministiche dell'arte del maestro attraverso il trattamento dei panneggi e sensibile ad influenze argive. L'indagine filologica ha tuttavia compiuto un certo numero di identificazioni, alcune delle quali sono state unanimemente accettate.
Un'iscrizione di Epidauro relativa ai conti per il tempio di Asklepios, innalzato verso il 370 a. C., menziona T. come autore dei τύποι, per i quali avrebbe preso 900 dracme, e degli acroterî di uno dei frontoni, che si è d'accordo ritenere quello occidentale, per 2.240 dracme (I. G.2, iv, 102, 36 s. e 90). Fra gli artisti menzionati il nome di T. è l'unico senza etnico e perciò si è supposto che egli fosse nativo di Epidauro. Gli scavi greci e francesi hanno recuperato buona parte delle sculture che decoravano i frontoni (ad E: Ilioùpersis; ad O: amazzonomachia) e gli acroteri mediani (figure femminili in volo) e laterali (Nereidi o Ninfe o Aure cavalcanti). Sotto il segno di un medesimo indirizzo di gusto esse rivelano le mani di artisti differenti, in concordanza con l'iscrizione su menzionata che cita varî nomi. Gli acroterî del frontone occidentale sono quasi interamente conservati (Atene, Museo Nazionale). Essi sono in marmo pentelico come, d'altronde, tutte le sculture del tempio; al centro si trovava una figura femminile, attualmente acefala, con un uccello (oca? gallo?) nella mano destra, riconosciuta dalla critica più recente (Crome) come Epione, la mitica sposa di Asklepios e il cui attributo è un'oca (il gallo sarebbe invece l'attributo di Asklepios). La fanciulla veste un chitone aderente e un mantello che le crea sul dorso come un movimento di ali. Il trattamento del panneggio, aderente al corpo con pieghe minute nella parte anteriore della figura e avvolto in pieghe tortuose e profonde sul dorso, si inserisce nella tradizione figurativa attica della fine del V sec. (fregio dell'Eretteo, balaustrata di Atena Nike, ecc.). In questa statua è stata unanimemente riconosciuta la mano di Timotheos. I due acroterî laterali rappresentano due fanciulle a cavallo, l'una volta verso sinistra e l'altra (acefala) verso destra: credute dapprima due Nereidi, si propende ora per ritenerle delle Aure. Esse rivelano lo stesso stile della figura di Epione, con vortici di pieghe nei ricchi panneggi manierati, ma una certa fiacchezza esecutiva ha fatto pensare si tratti di opere eseguite su modelli forniti dall'artista, ma non di sua mano. Alla medesima decorazione acroteriale sono forse da riferirsi due teste femminili, probabilmente le due teste mancanti di Epione e di una delle Aure. Per quanto riguarda, poi, i τύποι menzionati dall'iscrizione, sussiste un'incertezza lessicale, onde questi sono stati intesi sia come bozzetti, modelli di tutto il complesso di sculture, eseguite poi da altri artisti subordinati a T., sia come rilievi veri e proprî. La critica più recente, in base ad un'accurata indagine filologica ed epigrafica della parola, si è orientata per quest'ultima accezione, ma esistono divergenze circa l'ubicazione di queste sculture; il Roux pensa fossero delle metope interiori destinate alla trabeazione del pronao, ma non vi è nessun elemento che consenta di affermare che qui vi fossero delle metope scolpite (le metope esterne erano sicuramente lisce). Il Crome suppone decorassero l'ergastèrion, ipotesi attendibile ma puramente congetturale. Qualche altro studioso (Svoronos, in Ath. Nat. Mus., i, 148 ss.; Vallois, in Bull. Corr. Hell., xxxvi, 1912, 229-30, ecc.) era stato tentato di riconoscere una parte superstite di questi τύποι in due lastre rappresentanti una divinità maschile seduta (Asklepios?), ma che attestano in realtà uno stile ben diverso da quello degli acroteri attribuiti a T. e che è probabile supporre rilievi votivi piuttosto che metope.
Ancora più difficile l'enucleazione della personalità di T. fra quella degli scultori del Mausoleo di Alicarnasso, tanto che qualche voce isolata (Rumpf, in Einleit. Alt. Wiss., Gercke-Norden, II, 3, 1931, p. 60) ha anche proposto di riconoscere in questo T. non lo stesso, ma solo un omonimo dell'altro. Dalle fonti si apprende che la cella del monumento era decorata da un fregio con amazzonomachia e centauromachia, del quale sono state recuperate molte lastre (v. mausoleo); su un lato avevano lavorato Skopas e Bryaxis, sull'altrà T. e Leochares (il solo Vitruvio menziona Prassitele al posto di T. aggiungendo però: nonnulli etiam putant Timotheum). T., che era il più anziano dei quattro, avrebbe lavorato sul lato meridionale. Purtroppo le condizioni del rinvenimento non hanno consentito di appoggiare con sicuri dati topografici l'indagine stilistica, resa più incerta dalla partecipazione di numerose maestranze, e in realtà solo per alcune lastre, e precisamente quelle contrassegnate con i nn. British Museum 1006, 1016 e 1010 (quest'ultima il solo Buschor l'attribuisce invece a Bryaxis) i pareri dei vari studiosi sono concordi. Wolters e Sieveking riconobbero la mano di T. anche nelle lastre 1007, 1008, 1012 e 1017; lo Amelung vi aggiunse anche le 1018, 1020, 1021; il Neugebauer le 1013, 1015, lo Pfuhl si limitò a riconoscere a T. solo le 1006, 1010, 1016, 1017, il Lippold vi aggregò le statue nn. 1049, 1053, 1055-57, il Byvanck si ridusse nuovamente all'opinione dello Pfuhl escludendo anche la 1017, mentre il Buschor, che ha avanzato l'ipotesi di una interruzione dei lavori del Mausoleo alla morte di Artemisia (350 a. C.) e a una ripresa sotto Alessandro Magno nel 333 a. C., ascrive nuovamente a T. le lastre 1006, 1016, 1017, vi aggiunge la parte superiore di due combattenti greci (1030 e frammento), è inoltre la lastra 1022 (detta la lastra Genova). Quest'ultima sarebbe stata eseguita dall'artista nella seconda fase dei lavori del Mausoleo, e cioè nel 333 a. C. Il Buschor propenderebbe per attribuire alla mano di T. anche la testa 1054. Malgrado l'incertezza e la controversia delle attribuzioni l'arte di T. al Mausoleo viene riconosciuta, rispetto a quella degli altri maestri, come opera di un artista attardato e leggermente accademico, legato a una partizione ormai un po' schematica dei vuoti e dei pieni nella distribuzione delle figure nello spazio, superato dalla creatività innovativa dei suoi giovani colleghi.
Accanto a questi originali, intorno alla paternità di T. è stato raccolto inoltre un gruppo di sculture che offrono dei dati stilistici omogenei; alcune di queste possono richiamare opere menzionate dalle fonti, altre si accostano alle sculture di Epidauro. Si ricorderà per prima la Leda-Nemesis col cigno, nota attraverso numerosissime repliche ellenistiche e romane, di cui la più famosa conservata al Museo Capitolino, e che dovrebbe essere pressappoco della stessa epoca dei frontoni di Epidauro (l'attribuzione si deve al Winter); una Igea, da Epidauro (Atene, Museo Nazionale), la più prossima stilisticamente alla Leda; un'Afrodite armata, pure da Epidauro, un'Atena; conservata in molte repliche (una delle quali al Museo degli Uffizî); una Nereide (?) e un altro torso femminile proveniente dagli scavi dell'agorà di Atene; un torso di Amazzone nel museo di Boston (Caskey, Cat. Sculpt., n. 40, pp. 89-92), che lo Amelung aveva erroneamente attribuito al frontone di Epidauro, ma di proporzioni maggiori; una statua femminile di Burlington House (Londra, Brunn-Bruckmann, 747 s.); un torso femminile da Hermione nella Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen (Brunn-Bruckmann, 664 s.). Si conservava a Roma nel tempio di Apollo Palatino un'Artemide di T., ivi portata da Augusto, di cui si è creduto di riconoscere una replica in un rilievo su una base di Sorrento, ove compaiono anche le altre due divinità della triade, opere rispettivamente, la Latona di Kephisodotos e l'Apollo di Skopas. L'Artemide presenta qualche somiglianza con un torso femminile proveniente dal Mausoleo e da alcuni (Pfuhl) attribuito a Timotheos. Fra le statue maschili sono state anche attribuite a T. la stele di Aristonautes del Museo Nazionale di Atene (Lippold), il Giovane Alba della Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen, l'Ilioneo della Gliptoteca di Monaco, un Ganimede (Lippold, in Sitz. bayr. Ak. München, 1954, H. 3), ecc. Opera di T. era ancora un Asklepios imberbe (Ippolito secondo una tradizione locale) per il tempio di Trezene, (Paus., 11, 32, 4), da alcuni riconosciuto in uno Pseudo Alessandro dell'Ermitage di Leningrado, e un colossale acrolito di Ares, compiuto in collaborazione con Leochares per l'acropoli di Alicarnasso (Vitr., ii, 8, ii).
I caratteri dell'arte di T., quali emergono dagli scarsi originali che gli si riconoscono unanimemente e da queste spesso discutibili attribuzioni, appaiono quelli di un conservatorismo attico, ligio alla tradizione fidiaca minore espressa dalle sculture dell'Eretteo e del tempio di Atena Nike, ma con qualche contatto con la scuola policletea. Nell'ambito di una semplicità di ritmo compositivo essa è distinta da un gusto del panneggio, ove la linea fluisce con intenti quasi calligrafici, al limite del trapasso nel decorativo e nel manierismo. Proprio per queste sue qualità facilmente traducibili nel gergo di opere di artigianato, lo stile di T. conobbe grande diffusione nelle province periferiche della Grecia e, insieme ai vasi di stile meidiaco, che si partivano da una medesima radice stilistica, contribuì a creare quella ondata di arte attica che, alla fine del IV sec., si estese in tutto il mondo grecizzato e costituì una delle premesse della koinè ellenistica. Un'interpretazione notevolmente discordante della figura di T. è quella offerta dal recente volume di B. Schlörb (bibl.). L'autrice ritiene che i τύποι fossero bozzetti e attribuisce a T., che suppone nativo delle isole ionie, gli acroterî e il frontone orientale del tempio di Epidauro riservando a Hektoridas il frontone occidentale e a Theodotos gli acroterî relativi. Ella postula, inoltre, l'eventualità di un alunnato di T. presso Agorakritos e la sua partecipazione giovanile alla balaustrata di Atena Nike. Per l'attribuzione delle sculture del Mausoleo, è concorde in sostanza con la bibliografia più recente, ma pone il torso 1050 al termine della carriera artistica del maestro.
Bibl.: F. Winter, in Ath. Mitt., XIX, 1894, pp. 157-162; W. Amelung, in Ausonia, III, 1908, pp. 91-115; P. Wolters-J. Sieveking, Arch. Jahrb., XXIV, 1909, pp. 171-191; K. A. Neugebauer, ibid., XLI, 1926, pp. 82-93; G. M. A. Richter, in Amer. Journ. Arch., XXXI, 1927, pp. 80-82; G. Lippold, in Arch. Jahrb., XL, 1925, pp. 206-209; E. Pfuhl, ibid., XLIII, 1928, pp. 1-53; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, VI A, 1937, cc. 1363-65, s. v., n. 76; J. F. Crome, in Arch. Anz., LIII, 1938, cc. 772-782; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXXIII, 1939, pp. 509-600; A. W. Byvanck, in Bull. Antieke Beschaving, XVIII, 1943, p. 12 ss.; H. Bulle, in Österr. Jahresh., XXXVII, 1948, pp. 1-42; C. Picard, Manuel, III, i, Parigi 1948, pp. 322-387; III, 2, Parigi 1954, pp. 1-99; E. Buschor, Mausollos und Alexander, Monaco 1950; C. Lippold, Handbuch, III, i, Monaco 1950, pp. 219-222; J. F. Crome, Die Sculpt. d. Asklepiost. v. Epidauros, Berlino 1951; G. Lippold, in Sitzber. bayer. Akad. Wiss., Monaco 1954, Heft 3; H. Gropengiesser, in Ath. Mitt., LXIX-LXX, 1954-5, pp. 105-108; G. Roux, in Bull. Corr. Hell., LXXX, 1956, II, pp. 518-521; G. Donnay, in Antiq. Classique, XXVI, 1957, 2, pp. 383-403; G. Roux, in Rev. Ét. Anc., LXIII, 1961, pp. 5-14; A. M. Tamassia, in Archeologia Classica, XIII, 1961, pp. 124-131; B. Schlörb, Timotheos, Berlino 1965.