TIBURIO
. Il tiburio costituisce una notevole particolarità dell'architettura lombarda. In sostanza esso può essere definito una cupola a spicchi su pianta poligonale racchiusa all'esterno da un involucro di ugual numero di lati e coperta da tetto piramidale a falde inclinate.
L'origine di tale forma costruttiva può essere ricercata nelle stesse costruzioni locali paleocristiane. I battisteri che sorsero numerosissimi nella Valle Padana in forme derivanti nettamente dai mausolei imperiali (per restare a Milano, il mausoleo di Valentiniano II presso S. Vittore e la cosiddetta cappella della Regina o S. Aquilino presso S. Lorenzo) presentano decisamente tale caratteristica. All'esterno non sono mai apparenti cupola o vòlte interne, poiché il muro perimetrale si eleva a rinchiuderle fino alla grondaia del tetto ligneo che le protegge, quasi una continuazione del tamburo. Accade poi che lo spazio tra l'estradosso della cupola ed il muro esterno sia trasformato in una galleria ad arcatelle, praticabile o no, autentico anticipo di motivi che l'architettura lombarda svilupperà in forme di eccezionale varietà ed importanza.
Le cupole bizantine del secondo periodo, e le altre da quelle derivate in Calabria o in Sicilia, ebbero il carattere del raccordo tra quadrato e ottagono e il rialzamento su un alto tamburo, ma mostrarono per contro sempre all'esterno la superficie d'estradosso.
Allorché intorno al Mille, si iniziò per tutte le basiliche lombarde il periodo delle ricostruzioni e dei rimaneggiamenti, pure conservando esse, più o meno, la struttura tipicamente basilicale delle sole tre navate, oppure estendendosi ad impiantare organismi a croce latina, al di sopra della campata principale sorse il tiburio.
Sono noti gli espedienti per cui i Lombardi trasformarono il quadrato o rettangolo sottostante in un poligono per lo più ottagono: furono ugualmente adottate vele e trombe; ma il fine fu sempre lo stesso. L'ottagono cosi generato sale a costituire la cupola composta da tanti spicchi di vòlta quanti sono i lati del poligono. All'esterno tamburo e cupola assumono l'aspetto caratteristico ricordato. Sono così due, tre o più ordini di logge ad arcatelle su colonnine, le quali, oltre a costituire un notevole alleggerimento della struttura portante il tetto, dànno motivo di leggiadrissime invenzioni.
Talune basiliche maggiori (a Milano S. Ambrogio, S. Nazaro e S. Simpliciano; a Pavia S. Michele e S. Pietro in Ciel d'oro; a Lomello S. Michele; a Como S. Fedele; a Trento, il duomo; a Piacenza, il duomo, e, sotto un certo aspetto, S. Antonino) hanno un proprio tiburio limitato strettamente al volume della cupola interna, più o meno arricchito da ordini di gallerie. Ma anche accade che, al di sopra della cupola, siano aggiunti cupolini o lanternini: il che costituisce una sovrapposizione decorativa di primissimo ordine soprattutto agli effetti del pittoresco (si veda, ad esempio, il tiburio di S. Teodoro a Pavia).
In una categoria ben definita di edifici lombardi medievali, le chiese delle abbazie benedettine, il tiburio che sorge all'incontro della nave longitudinale con quella trasversale obbedisce anche a ragioni che potrebbero definirsi canoniche. Infatti, è qui una vera e propria torre campanaria, l'unico campanile necessario alle funzioni del culto; qui dentro è collocata la campana che, durante le funzioni, i monaci usano, manovrandola con la fune che scende direttamente nel presbiterio. Tale partito è forse un'importazione diretta degli stessi ordini monastici, i francesi cisterciensi e sanvittoriani, ed ha rapporti con gli altri tiburî che intanto si elevano in chiese romaniche francesi o renane.
In qualche caso (abbazie di Morimondo e di Cerreto lodigiano) questo tiburio-campanile, o, meglio, torre-lanterna, è contenuto in dimensioni strettamente utilitarie, tanto che neppure corrisponde ad una sottostante cupola. Nel caso dell'abbazia di Chiaravalle Milanese, invece, la torre-lanterna assume proporzioni ed importanza eccezionali, così da divenire la principale caratteristica di tutta la costruzione e il segnacolo dell'abbazia medesima: sono allora serie di ottagoni, sforati e rientranti, che si sovrappongono in più piani, fino alla cuspide terminale. Di questo tipo, ma più massiccio nelle proporzioni e più severo nell'architettura, è anche il tiburio di S. Andrea di Vercelli. In ogni caso è il connubio tra il mattone e la pietra che trae, assieme con gli ornati, singolarissimi effetti decorativi. A forme tanto complesse e definitive si giunse tuttavia per gradi: sono gli anni o i secoli che a ciascun monumento hanno portato il loro contributo.
È questo il tipico caso occorso alla cattedrale milanese, il cui tiburio, conservando all'intradosso della cupola ben visibile la struttura di vòlta a spicchi costolonati, all'esterno è completamente mascherato dalle decorazioni e dagli elementi più o meno statici e costruttivi che l'attorniano (archi rampanti, gugliotti) per conchiudersi, infine, nell'arditissima guglia centrale con la Madonnina.
Il tiburio delle basiliche lombarde romaniche costituirà elemento di prim'ordine anche nelle fabbriche religiose del Rinascimento lombardo, così radicato in ogni sua espressione a forme che potrebbero definirsi campanilistiche. Non quindi soltanto gli artisti locali di tutto il Quattrocento; ma lo stesso Bramante e i bramanteschi non potranno sottrarsi al tema consacrato dai secoli, quale realtà di organismi strutturali e di fantasie architettoniche.
La stessa grande cupola della tribuna di Santa Maria delle Grazie è dal Bramante interpretata e realizzata a mo' di tiburio con un vero trionfo di ordini, di gallerie, di piccole lanterne. Così l'altra grande realizzazione milanese dell'architetto urbinate, Santa Maria presso S. Satiro, non esce da questi principî; tanto che, non soltanto la sacristia nuovissima ma persino l'adattamento di un'antica cappella, hanno dovuto assoggettarsi ai canoni quasi inderogabili. V'è poi tutta la serie dei bramanteschi dall'Incoronata di Lodi al Santuario di Saronno, alla Madonna della Croce in Crema, a Santa Maria in Canepanova di Pavia; un architetto toscano risolve la cupola della cappella Portinari a guisa di tiburio; e l'elenco potrebbe seguitare ove comprendessimo le Certose di Pavia e Garegnano, la Madonna di Campagna di Piacenza, la Cappella Colleoni di Bergamo. In sostanza, ogni costruzione centrale che abbia motivo di cupola, piccola o grande, la interpreta e la realizza preoccupandosi di mascherarla all'esterno con la somma delle più varie risoluzioni architettoniche. E questo non solo per tutto il Quattrocento lombardo. Ciò si protrarrà anche in pieno Cinquecento: basti citare, in Milano, i due stupendi tiburî di Santa Maria della Passione e di Santa Maria presso S. Celso, il primo dei quali veramente possente nelle dimensioni eccezionali della cupola interna e dell'ordine esterno, il secondo, invece, assai piccolo e minuto nelle membrature, quasi un modellino: non è difficile vedere in questi esempî, radicatissima tradizione, la stretta parentela e discendenza con gli antenati romanici.
V. tavv. CV e CVI.