CARAFA, Tiberio
Nacque il 22 apr. 1580, terzo figlio di Ottavio, primo marchese d'Anzi e Trivigno appartenente al ramo dei Carafa della Stadera, e di Costanza Carafa dei conti di Policastro. Il suo matrimonio con Giulia Orsini, vedova del marchese di Fuscaldo G. B. Spinelli e figlia del duca di Gravina, fu all'origine della sua posizione di grande rilievo tra l'aristocrazia del Regno.
L'Orsini, infatti, nipote ex sorore di Nicolò Berardino Sanseverino, principe di Bisignano, rimase erede, alla morte di questo, nel 1606, della vasta fortuna dei Bisignano, eredità che le veniva contestata dal conte di Saponara e dalla marchesa della Valle. La lunga lite si risolse solo nel 1622, dopo che la Orsini, morta nel 1612, aveva nominato suoi eredi il re, per i beni feudali, ed il marito, per quelli allodiali.
Al C. venne riconosciuto il diritto di portare il titolo di principe di Bisignano vita natural durante, nonché la signoria di Belvedere, terra già dei Bisignano, sulla quale ebbe anche il titolo principesco. Se il C. sia stato veramente, nei modi tenuti nel governo dei suoi possedimenti feudali, quel modello di giustizia, di generosità e di saggezza cui si riferisce la dedica del secondo volume del De vassallorum gravaminibus tractatus di Giovanni Maria Novario (Neapoli 1634-1642) è certamente difficile a dirsi. Ciò che si conosce di certo della sua attività nei feudi calabresi è che nelle vicinanze di Belvedere egli fondò, nel 1638, il nuovo centro di Diamante, dove fece introdurre le coltivazioni dell'olivo, del gelso, degli agrumi, che erano tra le più redditizie dell'agricoltura calabrese del tempo.
Fece anche riprendere la coltivazione della canna da zucchero che, tuttavia, ebbe breve durata, sebbene la zona di Belvedere ne fosse stata, fin dalla seconda metà del '500, uno dei principali centri di produzione della regione. È probabile che il declino che colpì le attività economiche calabresi, ed in particolare l'agricoltura, nel XVII secolo abbia reso impossibile portare avanti questo tipo di coltura che il C. fece pertanto sostituire con la coltivazione della vite.Nominato da Filippo IV consigliere del Collaterale, nell'anno 1627 il C. fu insignito del Toson d'oro. Con il conferimento di questa alta dignità si chiuse, almeno formalmente, l'attrito venutosi a creare tra il C. ed il viceré duca d'Alba a causa della deviazione delle acque di Sant'Agata dei Goti ed Airola verso Napoli, voluta dal viceré sia per il fabbisogno della città sia per abbellirne le fontane.
Ragione del contrasto furono le pretese di vari baroni, alcuni dei quali di casa Carafa, su queste acque, in virtù di antiche concessioni feudali. Il C., che si era opposto alle decisioni del viceré, ritenute, secondo quanto riferisce un cronista (Aggionta, XXXVI, p. 133), dispendiose per la città, fu allontanato da Napoli. Ritiratosi nei suoi possedimenti calabresi, pare che di li scrivesse, protestando, alla corte. Sta di fatto che, dopo poco tempo, il duca d'Alba inviava due navi in Calabria per far imbarcare il C. e portarlo a Napoli per la consegna del Toson d'oro, cerimonia che le cronache contemporanee dicono avvenuta con grande solennità e seguita da una grandiosa cavalcata di nobili che accompagnò il C. fino al suo palazzo.
Il secondo matrimonio contratto con Maria Ruffo, che era già vedova del principe di Scilla, contessa di Sinopoli e Nicotera, portò al C., oltre a un notevole accrescimento delle sue sostanze, per la dote della sposa, anche il titolo di principe di Scilla. Nel 1630 il C. rimase vedovo anche della seconda moglie.
La posizione politica del C. si può considerare, in base all'atteggiamento assunto in svariate occasioni, di sostanziale lealismo nei confronti della monarchia spagnola e di ossequio nei confronti delle decisioni prese a Madrid. Egli si distinse nel 1620 per l'azione svolta, insieme con altri nobili, nella fase di passaggio dal governo del duca d'Ossuna a quello del cardinale Gaspare Borgia.
La resistenza opposta dal primo allo sbarco dei Borgia a Napoli aveva creato un'atmosfera di tensione nella città che faceva temere lo scoppio di tumulti popolari. Il C., dopo essersi prodigato per evitare disordini, diede l'avvio a rimedi più drastici per stroncare la resistenza dell'Ossuna e ripristinare una situazione di normalità, introducendo il Borgia al governo del Regno. Dopo aver convinto il castellano di Castelnuovo ad accogliere il nuovo viceré, egli riuscì a persuadere il segretario della città a recarsi - travestito da prete, per sfuggire all'Ossuna - a Procida, dove si trovava il Borgia, per riceverne il giuramento. L'azione riuscì e il Borgia, che aveva preso intanto formalmente possesso del suo ufficio, poté finalmente sbarcare a Napoli, accolto dal C. che lo accompagnò, insieme con altri esponenti della aristocrazia, in Castelnuovo.
Il C. fu figura molto popolare nella Napoli della prima metà del '600, sia per la sua amabilità, sia per le ampie e frequenti largizioni di denaro con cui beneficava opere pie e istituzioni ecclesiastiche, sia, infine, per i trattenimenti mondani che offriva nella sua villa di Chiaia.
Qui il C. aveva formato un serraglio che ospitava anche leoni, che sarebbero stati i primi in Italia a riprodursi in condizioni di cattività. Grande curiosità suscitava, infine, la lotta tra tigre e cavallo, che il C. usava offrire, a mo' di spettacolo, agli ospiti. Proverbiali furono, come si è detto, la sua munificenza e la sua devozione. I biografi affermano che ogni giorno egli faceva distribuire elemosine ai poveri e a tredici di essi quotidianamente offriva il pasto; ma a godere maggiormente della sua beneficenza furono numerose istituzioni ecclesiastiche, innanzitutto il convento di S. Domenico, tradizionalmente sottoposto alla protezione della nobiltà del "seggio" di Nido. In quanto protettore del convento il C. fece coniare, nel 1604, una medaglia in onore di s. Tommaso d'Aquino che, l'anno seguente, entrò a far parte, con grandi solennità, del numeroso stuolo dei santi patroni della città di Napoli. Notevole influenza ebbe anche il C. nelle questioni del Tesoro di s. Gennaro, istituzione, anche questa, tradizionalmente sottoposta al controllo della maggiore nobiltà cittadina.
A illustrare il proprio casato il C. avanzò istanza all'arcivescovo di Napoli Ascanio Filomarino perché fosse avviato il processo di beatificazione di Carlo Carafa d'Andria, fondatore della Congregazione dei pii operai. Concorse, infine, alla edificazione del collegio di S. Giuseppe de' Vecchi che sorse a Napoli, nella zona detta "la Costigliola", di proprietà, per gran parte, dei Carafa stessi.
Il C. fece parte di due delle più importanti accademie napoletane della prima metà del '600: quella degli Oziosi, sorta nel 1611, e quella degli Infuriati, fondata l'anno successivo da suo fratello, Francesco Carafa d'Anzi, istituzioni orientate verso lo studio delle scienze filosofiche e naturali, della matematica, dell'astronomia e delle lettere. Dell'attività del C. come accademico non ci è giunta notizia, ma va tenuto presente che non sempre l'adesione a queste associazioni comportava da parte dei membri un vero impegno culturale.
Nel 1640 il C. ricoprì la carica di maestro di campo generale delle truppe popolari napoletane. Ne fu occasione una spedizione francese nel golfo di Napoli per cui fu necessario organizzare rapidamente non solo la fortificazione delle difese ma anche le truppe necessarie per respingere l'attacco nemico.
Furono riunite le squadre della milizia civica, il cosidetto battaglione di Napoli, i cui uomini avevano il privilegio di eleggere il loro comandante, cosa che aveva, già in precedenti occasioni, provocato attriti con la nobiltà. Quando il viceré duca di Medina accettò la richiesta dell'eletto del popolo, G. B. Naclerio, che le truppe fossero comandate da ufficiali del popolo, le "piazze" nobili insorsero contro il provvedimento facendo giungere le loro proteste anche al Collaterale. Fu, infine, raggiunto un compromesso sul nome del C., prescelto "non perché... Cavaliere di Seggio" ma "per essere quel Signore grande e d'autorità amato e riverito dal popolo, per le sue rare doti, e eccellenze dell'animo, e del corpo, con le quali ha sempre benignamente mostrato in ogni occasione di amare di reciproco amore l'intero fedelissimo popolo" (Tutini, pp. 269 ss.).
Allontanatasi l'armata francese, mentre la nobiltà insisteva ancora perché le venisse affidato il comando delle truppe popolari, il popolo chiese che la milizia fosse mantenuta in difesa della città e che vi rimanesse a capo il Carafa. È probabilmente falsa l'opinione espressa da Fabrizio Carafa, appartenente al gruppo di nobili in contatto col principe di Sanza - protagonista di un episodio di ribellione nei confronti della monarchia spagnola - secondo cui sarebbe stato possibile trovare appoggio nel C. a causa della scarsa inclinazione che egli avrebbe avuto per gli Spagnoli. Se sul C. fossero gravati simili sospetti è improbabile che il viceré duca d'Arcos si sarebbe rivolto a lui, allo scoppio dei tumulti del 1647, affinché interponesse la sua autorità per calmare il popolo.
In realtà prima ancora di ricevere tale incarico dal viceré, il C. era stato invocato dalla folla di tumultuanti, spintasi fin sotto il suo palazzo, affinché si facesse mediatore presso il governo delle richieste popolari. I capi della rivolta avrebbero addirittura pensato, in un primo momento, di affidare al C. la guida e la protezione dei rivoltosi, sia perché godeva di molta popolarità sia perché apparteneva "a quel più alto patriziato che, nel concetto del Genoino e del duca d'Ossuna, doveva sostituirsi ai corrotti e venali cavalieri dei seggi nell'amministrazione cittadina e darne al popolo la parte che gli spettava" (Schipa, 1925, p. 83).
Il C. fu, dunque, inviato dal duca d'Arcos al mercato, assieme al principe di Satriano, contro il parere dell'eletto del popolo, il Naclerio, il cui timore era che il C. "per la bontà, e facilità naturale non avesse fatto più di quel ch'era mestiere" (Capecelatro, I, p. 19). Cosa che, infatti, avvenne, poiché il C., credendo di potere in tal modo controllare la situazione, assicurò al popolo che il viceré non solo aveva abolito la gabella della frutta ma anche tutte le altre. Le pretese del popolo andavano, tuttavia, al di là delle assicurazioni del C. e si richiamavano al fantomatico privilegio di disgravio da ogni imposta che sarebbe stato concesso da Carlo V alla città. Il C., circondato dalla folla, insospettita che egli volesse sottrarsi alle richieste che gli erano state avanzate, dopo aver cercato inutilmente di rifugiarsi nel convento di Gesù e Maria, fu trascinato dai popolani in S. Lorenzo, dove aveva sede la municipalità napoletana. Qui, temendo per la propria incolumità, si nascose nella cella di un frate, con il cui aiuto riuscì ad allontanarsi, uscendo da una porta secondaria.
Ritiratosi quindi in Castelnuovo, nonostante fosse stato colpito da infermità, fu costretto a mostrarsi nei giorni successivi al popolo che, insospettito per il fatto di non vederlo, temeva fosse stato ucciso, per volere del viceré e della nobiltà, a causa dell'azione svolta a favore dei popolari. Tali dimostrazioni di interessamento ebbero, tuttavia, breve durata. Scatenatosi l'odio verso i Carafa, in seguito all'azione condotta contro i popolari dai banditi del duca di Maddaloni, neanche il C. poté sentirsi più al sicuro.
Dopo un breve soggiorno ad Amalfi egli si recò a Roma presso il fratello, il cardinale Pier Luigi, dove, dopo poco tempo, "afflitto dal passato accidente, gravemente infermatosi ed uscito di senno" (Capecelatro, I, p. 20), morì il 5 ott. 1647, lasciando erede il nipote Ottavio, marchese d'Anzi. Dopo il suo allontanamento da Napoli, la villa di Chiaia era stata saccheggiata dai popolari e gli animali del suo serraglio uccisi.
Fonti e Bibl.: Napoli, Soc. napol. di st. patria, ms. XXVII B 11, ff. 240-343; C. Tutini, Dell'origine et fundatione de' Seggi di Napoli, Napoli 1644, pp. 269 ss., 273; F. Zazzera, Narrazioni tratte da' giornali del governo di don Pietro Girone duca d'Ossuna, in Arch. stor. ital., IX (1846), pp. 605, 606 ss., 611; F. Capecelatro, Diario delle cose avvenuto nel Reame di Napoli negli anni 1647-1650, a cura di A. Granito, I, Napoli 1850, pp. 18 ss.; Annotazioni, pp. 86 s.; II, ibid. 1852, pp. 264-265 s.; [F. Bucca d'Aragona], Aggiontaalli Diurnali di Scipione Guerra, in Archiviostorico per le prov. napoletane, XXXVI (1911), pp. 133, 164 ss., 349, 512, 541 s., 577; XXXVII (1912), p. 274; B. Aldimari, Historia geneal. dellafamiglia Carafa, Napoli 1691, II, pp. 295-303; D. A. Parrino, Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli, II, Napoli 1692, p. 180; B. Minichini, Discorso stor. napol. sullavita di T. C. principe di Bisignano,di Scillae di Belvedere, Napoli 1867; C. Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite nella cittàdi Napoli, Napoli 1879, pp. 4, 59; M. Schipa, La così detta rivoluz. di Masaniello(da mem. contemporanee ined.), in Arch. stor. per le prov. napol., n. s., II (1916), pp. 88-91; Id., Masaniello, Bari 1925, p. 83; R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli, Bari 1967, pp. 135 ss., 201 ss.; G. Galasso, Economia e società nella Calabriadel Cinquecento, Napoli 1967, pp. 13 ss., 340; C. Celano, Notizie del bello,dell'antico e delcurioso della città di Napoli, Napoli 1970, III, p. 2000.