Theravada
Letteral. «dottrina degli anziani». Scuola buddista che si rifà direttamente al canone buddista in pāli e oggi diffusa in Śrī Laṅkā, Cambogia, Birmania e Thailandia. Il canone pāli è composto da tre «canestri» (piṭaka), Suttapiṭaka, Vinayapiṭaka e Abhidhammapiṭaka (➔ Abhidharma), dedicati rispettivamente ai discorsi del Buddha, alla disciplina, a elencazioni e spiegazioni dottrinali. Il Th. riconduce l’intero canone alla parola del Buddha, tuttavia il terzo canestro è storicamente più recente. Fondamentali per il Th. sono poi i commenti in pāli di Buddhaghosa (5° sec.) e della sua scuola. Nel Th., come sviluppatosi attraverso tali commenti e i relativi subcommenti, i temi più trattati sono l’esegesi di passaggi del canone pāli, in partic. dell’Abhidhammapiṭaka, la psicologia e la meditazione, con ciò seguendo l’attenzione dimostrata nei discorsi del Buddha raccolti nello stesso canone, in cui l’accento è posto sull’aspetto pratico della conoscenza, mentre le speculazioni teoretiche hanno un ruolo subordinato in vista della liberazione (pāli nibbāna, sanscrito nirvāna). Ciò ha fatto sì che riflessioni costanti nel panorama filosofico indiano, quali quelle riguardanti logica ed epistemologia, siano poco rappresentate nel Th., il quale è sostanzialmente rimasto estraneo, forse anche a causa del suo usare il pāli e non il sanscrito, dai dibattiti che hanno occupato i filosofi indiani classici e postclassici, da cui pure è stato influenzato (➔ śūnyatā) pur senza prendervi direttamente parte. La delineazione della filosofia del Th. si basa perciò su indizi canonici e su trattazioni in commenti e subcommenti che però generalmente enunciano principi senza esaminarli in dettaglio. Pensatori contemporanei del Th. sostengono, sulla base di testi precedenti, la distinzione fra una conoscenza dei Buddha (āryajñāna, una sorta di yogipratyakṣa), che si riferisce alla realtà ultima, e una conoscenza basata sulla realtà convenzionale e divisa in percezione e conoscenza «che segue [la percezione]» (anvayajñāna). Di questa fanno parte fede, inclinazione, conoscenza desunta dalle parole di un altro, riflessione sulle cause e conoscenza basata su tale riflessione. Fede e conoscenza desunta dalle parole di un altro sono anche definibili «[conoscenza che sorge] dalla voce di un altro», mentre le altre tre modalità si fondano su processi riflessivi del soggetto. Altri passaggi canonici chiamano questi due raggruppamenti, rispettivamente «conoscenza da quanto udito» e «conoscenza sorta da riflessione» (śrutamayī prajñā e cintāmayī prajñā, ➔ pramāṇa; Pramāṇavāda). Sul piano ontologico, il Th. sostiene che gli oggetti materiali possano durare da uno a diciassette istanti e che però oggetti di durata istantanea non possano essere colti dalla percezione diretta. Dell’Abhidhammapiṭaka fa parte anche il Kathāvatthu («Punti di controversia»), che fu scritto dopo il nirvāṇa del Buddha da un monaco di nome Tissa Moggalīputta e che copre più di duecento temi di dissenso nella comunità buddista, molti dei quali riguardano la natura del Buddha. Viene riferita, per es., l’opinione di chi sostiene che il Buddha pervada tutte le regioni dello spazio e del tempo e possa sospendere a piacimento le leggi della natura. Discussa è anche la questione se il raggiungimento del risveglio (bodhi) consista nell’acquisizione di una qualità aggiuntiva. Tissa Moggalīputta risponde che se il risveglio potesse essere attivamente raggiunto, esso potrebbe anche essere perso. La conclusione è che il risveglio sia soltanto l’assenza di errore e che di conseguenza non siano possibili diversi gradi di risveglio.