The Story of G.I. Joe
(USA 1945, I forzati della gloria, bianco e nero, 109m); regia: William A. Wellman; produzione: Lester Cowan per United Artists; soggetto: dai reportage Here Is Your War e Brave Men di Ernie Pyle; sceneggiatura: Leopold Atlas, Guy Endore, Philip Stevenson; fotografia: Russell Metty; montaggio: Albrecht Joseph; scenografia: David S. Hall; musica: Ann Ronell, Louis Applebaum.
La vita al tempo della guerra, filtrata attraverso l'esperienza e il racconto del corrispondente Ernie Pyle. Secondo conflitto mondiale: al seguito di una compagnia dell'esercito americano, guidata dal taciturno e coraggioso tenente Walker, il giornalista si trasferisce dal Nordafrica all'Italia e condivide, non senza qualche iniziale difficoltà, la vita rude dei militari. Stringe amicizia con alcuni soldati semplici e ha soprattutto modo di conoscere Walker, personalità paterna ed energica, con un fondo di pur virile malinconia provocato dall'abbandono della moglie. Di natura familiare sono pure molti dei drammi e delle gioie dei suoi uomini, mariti devoti, padri di famiglia o impenitenti libertini, che Pyle osserva e registra: un soldato, raggiunto dalla fidanzata ausiliaria, si sposa in Italia; un altro riceve un disco che porta incisa la voce del proprio figlio neonato e continua ad ascoltarla fino a impazzire. Finalmente nei pressi di Roma, il tenente Walker resta ucciso in battaglia.
Nel cinema americano, la Seconda guerra mondiale ha dato una nuova energia e una nuova forma al film di guerra o combat genre. Il tono dominante dei film bellici dell'epoca fu nei primi anni austero e patriottico, poi più incalzante e avventuroso; nella fase finale della guerra, o subito dopo, apparvero invece opere importanti che si segnalano più per il valore 'memoriale', riflessivo, che per la portata epica. È il caso, tra gli altri, di They Were Expendable (I sacrificati di Bataan, John Ford 1945) e di The Story of G.I. Joe, film molto amato dalla critica americana e, nell'opinione di Samuel Fuller, addirittura "il più grande di tutti i film di guerra". Sono opere in un certo senso 'dedrammatizzate', prive di eroi tradizionali, dove combattenti senza nessuna aura leggendaria non sempre si mostrano capaci di dominare le situazioni, e a volte non sembrano nemmeno consapevoli degli ordini ricevuti; circola in questi film un certo disincanto sulle ragioni della guerra e sull'etica dei 'piaceri forti'. In The Story of G.I. Joe non si respirano mai la libertà fisica e l'energia vitalistica tipiche dei film d'azione, non c'è senso di trionfo né accenti di gloria guerriera. Pur restando racconto d'una guerra 'giusta' e vittoriosa, il film di William A. Wellmann raggiunge un'ambiguità sconosciuta alla maggior parte dei film esplicitamente antimilitaristi. La guerra viene qui privata d'ogni epopea, così come accade nei documentari di John Huston e nei servizi del corrispondente al fronte Ernie Pyle, che rappresenta la fonte e il modello stilistico naturale del film di Wellman.
Ernie Pyle è voce narrante, coscienza e protagonista del film. Nelle parole della studiosa Jeanine Basinger, "Il G.I., dice la voce di Pyle, vive in modo miserabile e muore in modo miserabile. L'affermazione è illustrata con efficacia dall'episodio della morte del tenente, splendidamente interpretato dal giovane Robert Mitchum, il cui cadavere viene trasportato e gettato senza tante cerimonie sulla groppa di un asino. È morto, definitivamente perduto. Nessuno sa cosa è successo. È andata così, è la guerra, dice Pyle. È la guerra". Fuori d'ogni retorica, questo finisce per essere anche il punto di vista del capolavoro di Wellman. Nessun altro film sulla Seconda guerra mondiale ha restituito al pari di questo (realizzato quasi in contemporanea con gli ultimi eventi del conflitto) il quotidiano, il visibile e l'udibile, le sensazioni tattili e olfattive della guerra moderna. La rappresentazione è piana, non conosce enfasi, qualsiasi commento giunge ovattato. Storia collettiva della 'truppa' e degli uomini semplici che la compongono, The Story of G.I. Joe è anche un'esegesi acuta dell'arte del comando (la collettività dei soldati è una collettività umana, come e più delle altre ordinata secondo gerarchia): ma il punto di riferimento costante resta il gruppo, e il progredire della storia interna del gruppo ha il sopravvento sul progredire degli eventi della Storia. Pur nella 'moderazione' che una messinscena hollywoodiana richiede, l'evidenza della guerra è violenta e scabra, le scene di battaglia portano con sé una disperazione primitiva: siamo davanti a esseri viventi che ben presto smetteranno di esserlo. Il film mantiene fede alla propria scarna promessa iniziale: quel che si mostra è solo che il G.I. vive miseramente, muore miseramente. Non c'è bisogno di altre cerimonie.
The Story of G.I. Joe è la prova del fatto che l'ineguale, discontinuo, talvolta mediocre Wellman è stato, nei suoi momenti migliori, un cineasta pari a John Ford o a Howard Hawks, capace di una regia poderosa e inventiva. Marca stilistica importante di Wellman sono le scene di pioggia, mai come qui forti ed espressive: scene in cui, con minimale intensità poetica, diventa chiaro che la vita è sempre la vita, anche nelle condizioni più misere, anche sotto un temporale, nel fango, nel conto dei compagni caduti e degli infiniti lutti.
Interpreti e personaggi: Burgess Meredith (Ernie Pyle), Robert Mitchum (tenente Walker), Freddie Steele (sergente Warnicki), Wally Cassell (soldato Dondaro), Bill Murphy (soldato Mew), William Self (Cookie), Dick Rich (sergente sotto la doccia), Billy Benedict (Whitey), Dorothy Coonan Wellman (infermiera), George Chandler (soldato), Jimmy Lloyd (soldato Spencer), Jack Reilly (soldato Murphy), Tito Renaldo (Lopez), Yolanda Lacca (Amelia).
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