TETTO (fr. toit; sp. te)ado; ted. Dach; ingl. roof)
Tecnica della costruzione. - In un tetto si distinguono queste diverse parti: le falde o piani di copertura; la linea di compluvio, intersezione di due falde ad angoli rientranti; la linea di displuvio, intersezione di due falde ad angoli sporgenti.
Il tetto può essere inoltre a falda unica; a doppia falda; a padiglione e cioè, in quest'ultimo caso, con tante falde quanti sono i lati del perimetro dell'edificio.
Tutte le falde dovrebbero avere la medesima pendenza e dovrebbero essere evitati, per quanto è possibile, i punti e le linee interne di compluvio. In deroga a quest'ultima norma vengono frequentemente costruite le coperture degli edifici industriali detti sheds, dove la copertura risulta, in sezione, come una spezzata a tratti alternatì costituiti da tetti e da lucernarî i quali ultimi sono disposti quasi verticalmente. Dai tetti l'acqua si raccoglie nelle converse e di lì defluisce in punti determinati corrispondenti generalmente a elementi verticali cavi (pilastri, tubi di ghisa, ecc.) che assumono quindi la duplice funzione di sorreggere le strutture e di servire da discendenti di gronda.
Ritornando ai normali tetti, noteremo come, quando in un edificio si abbia un muro mediano parallelo ai perimetrali, sia buona norma che questo muro mediano venga sopraelevato, rispetto a quelli, fino all'altezza sufficiente per dare alle falde del tetto la pendenza voluta. Questo sistema riduce di molto il materiale ligneo necessario all'orditura del tetto stesso ed è quindi dei più economici. In questo caso coincidendo la sommità del muro mediano con il colmo del tetto, tutto il muro prenderà il nome di muro di colmo. Quando invece il muro interno non risulti sull'asse dell'edificio, o peggio quando non si abbiano muri mediani, sarà necessario ricorrere alle capriate o incavallature.
La capriata è l'elemento base dell'orditura. Su una serie di capriate distanti l'una dall'altra non più di 4 o 5 metri (nei tetti con coperture metalliche la distanza può essere assai maggiore, fino a 7-8 m.) poggiano, disposti in senso normale alle capriate, travi di legno detti comunemente arcarecci distanti da 1,25 a 2 m. l'uno dall'altro; sugli arcarecci e in maniera da incrociarsi con essi, poggiano i correnti distanti da 0,40-0,50 m.; su quest'ultimi, ancora incrociati, i correntini distanti da 0,08 a 0,12 m., sui quali si assicura il pianellato (fig.1). Quest'ultimo, che può essere costituito di mattoni sottili o di pianelle-tavole di legno dette comunemente a Roma fette - non è assolutamente indispensabile e manca infatti assai spesso.
L'inclinazione dei tetti varia, specialmente in funzione del clima, fra i 70° ed i 18°. A seconda della maggiore o minore inclinazione delle falde, variano la pressione verticale dovuta alla neve (30 a 90 kg. a mq.) e la pressione verticale del vento (da 20 a 80 kg. a mq.). Crescendo l'inclinazione del tetto, diminuisce la pressione della neve e aumenta quella del vento; diminuendo l'inclinazione del tetto avviene naturalmente l'inverso. In Italia si può calcolare come sopraccarico medio per neve e vento dai 60 agli 80 kg. per mq.
Il carico totale di un tetto a copertura leggiera, escluso il materiale di coperta, varia tra i 90-120 kg. a mq.; per coperture pesanti tra i 110-140.
La copertura dei tetti si eseguisce normalmente in Italia con tegole di terracotta dette comunemente coppi. Sono, queste, elementi ricurvi di laterizio di spessore variabile tra i 10 ed i 15 mm. che vengono fabbricati (a differenza di tutti gli altri laterizî, per i quali ci si serve oggi comunemente delle trafile), per mezzo di stampi a compressione. Le tegole a copertura dei tetti si possono disporre secondo varî sistemi; quelli più usati sono però due a seconda che ci si serva esclusivamente delle comuni tegole, ovvero anche di un altro tipo di laterizî detti tegole piane o embrici. L'embrice non è altro che una lastra di terracotta a margini laterali rialzati e di forma rastremata in maniera tale che un elemento possa facilmente sovrapporsi all'altro per un tratto minimo di cm. 5. Disposte (fig. 2) le tegole piane sulla sopracoperta, tavolato o pianellato, in filari normali alla gronda del tetto e con i bordi rialzati rivolti verso l'alto, si dispone sui bordi delle tegole piane un filare di coppi con la convessità rivolta verso l'alto.
Nell'altro sistema di copertura (fig. 3), i filari di tegole ricurve si dispongono alternatamente dritti e rovesci. Questo sistema di coprire i tetti si dice a tegole maritate o alla romana. Nell'un caso o nell'altro si sogliono murare generalmente soltanto il filare di colmo e il filare dí gronda della copertura.
Altro sistema ancora di coprire i tetti è quello che si basa sull'uso di tegole a incastro, dette comunemerite alla marsigliese (fig. 4). Queste sono a superficie piana, ma presentano tutto un sistema d'incastri che permette d'innestare un elemento all'altro; speciali risalti permettono anche di legare, generalmente con fili di ferro zincato, le tegole al pianellato; a quest'ultima operazione però si ricorre solamente in caso di tetti a forte pendenza. Le dimensioni normali di queste tegole sono di cm. 24 × 41.
Questo per i tetti a copertura di laterizî; oggi è frequente però anche l'uso di coperture con lamiere metalliche piane o ondulate. I metalli più usati sono il ferro, ma anche meglio il ferro zincato che non si ossida. In casi speciali poi, ad es. per la copertura delle cupole, si usa dai tempi più remoti il piombo. Nel caso di coperture con elementi metallici si deve tener presente come, avendo generalmente i metalli coefficienti di dilatazione molto elevati, i singoli elementi non si possono chiodare completamente al pianellato; è per questo che, nel caso d'impiego di lamiere metalliche duttili, come il piombo, si ricorre all'artificio di avvolgere insieme i lembi estremi di due elementi successivi, ovvero si sovrappongono parzialmente le varie lamiere chiodandole esclusivamente in corrispondenza della linea mediana.
Per le coperture orizzontali vedi terrazza.
Tracciamento di tetti in proiezione orizzontale. - Per ragioni tecniche ed estetiche insieme è necessario studiare, in sede di progetto, l'andamento dei tetti. Qui di seguito diamo quindi alcune norme elementari atte a risolvere i casi più frequenti.
In un tetto a due falde di uguale pendenza, se le linee di gronda sono parallele, l'intersezione delle falde coincide naturalmente con la mediana; se invece le linee di gronda concorrono in un punto, l'intersezione si ha sulla bisettrice dell'angolo determinato dalle linee stesse. Nel caso di un quadrilatero si condurranno in un primo tempo le bisettrici dei singoli angoli che s'incontreranno due a due; la congiungente dei punti d'intersezione coinciderà (in base alla norma che le bisettrici di un triangolo s'incontrano in un punto), con la bisettrice dell'angolo formato dal prolungamento dei due lati AC BD del quadrilatero (fig. 5).
Per risolvere geometricamente un tetto su pianta complessa si regolarizzerà dapprima il perimetro della pianta riducendola un quadrilatero e quindi si condurranno le bisettrici di tutti gli angoli risultanti nella pianta; si risolverà così facilmente, per cominciare, la falda AEB; quindi dai punti C ed H si tracceranno le bisettrici individuando così il punto F che, collegato con E, ci darà la linea di colmo che, nel caso in esame, coincide con la mediana. Il tratto FI della bisettrice in H servirà a definire un tratto del colmo della falda AD. Analogamente si procederà quindi per le altre falde del tetto (fig. 6).
Bibl.: G. Giovannoni, Corso di architettura, parte 1a: Elementi di costruzioni civili, Roma 1932; I. Andreani, Nel cantiere, Milano 1929; D. Donghi, Manuale dell'architetto, I, i, Torino 1925.
Storia dell'architettura. - Antichità. - Gli Egiziani, quando usarono materiale flessibile, come canne e giunchi, lo piegarono. Da questo deriva la curva caratteristica della copertura nelle edicole sacre dell'età più antica, curva che si mantenne anche quando il naós fu fatto di materiale più solido, come mostra il modellino di legno conservato nel museo di Torino. Incurvarono anche sui tetti delle abitazioni i tronchi di palma, quando questi erano flessibili, ponendo su di essi uno strato di canne intrecciate coperto di argilla. Quando il materiale era abbastanza resistente, la copertura assumeva una disposizione piana; questo in particolare nei templi, nella loro forma più sviluppata coperti con lastre di pietra.
Anche l'architettura della Mesopotamia e quelle hittita, fenicia, ecc., usarono coperture a terrazza, la cui orditura reggeva uno spesso strato d'argilla che proteggeva l'interno tanto dalla pioggia quanto dal caldo. Sulle terrazze si erigeva spesso, come si fa anche oggi, una loggia aperta.
Per le abitazioni assire, C. Chipiez ha immaginato che si usasse una struttura lignea a quattro spioventi, simile a quella etrusca, che permettesse una maggiore portata e un'apertura centrale per l'illuminazione. Essa sarebbe stata ricoperta di terra battuta sicché, in definitiva, si sarebbe avuta la medesima disposizione piana delle terrazze. Secondo P. E. Botta (Monuments de Ninive, V, Parigi 1850, p. 73), le aperture nel tetto potevano anche essere ottenute nel modo usato ancora dai contadini armeni: con quattro travi incrociate su cui poggiano altri quadri man mano più piccoli e posti ciascuno diagonalmente rispetto all'inferiore.
A Creta si aveva tanto la terrazza con terra battuta quanto il tetto a due spioventi a debole inclinazione, che sembra essere indicato in una delle piccole riproduzioni fittili di facciate di case scoperte a Cnosso.
Nell'Argolide preellenica il mégaron aveva un tetto piano, sorretto, quando occorreva, da sostegni isolati. A Tirinto in corrispondenza delle quattro colonne mediane doveva esservi, per dare sfogo al fumo del focolare, un'apertura forse coperta da un lucernario.
Nell'Asia Minore le tombe di pietra e le facciate rupestri ci hanno conservato l'immagine fedele e particolareggiata delle costruzioni in legno realizzate dall'architettura di quelle regioni. In particolare nella Licia, i tetti appaiono a gronda molto aggettante, piani o a spiovente con debole inclinazione, e anche a ogiva, forma che ricorda da vicino le carene delle navi. L'orditura della terrazza, che sussisteva anche sotto il tetto displuviato e sotto quello a carena, era costituita da un telaio di grosse travi su cui poggiava una serie di tronchi, l'uno accosto all'altro, chiusa alle estremità da due travetti a sezione rettangolare. Al disopra tre altre travi sovrapposte e aggettanti l'una sull'altra formavano un bordo alla terra stesa sulla terrazza. La stessa disposizione che si trova nella copertura dei palazzi persiani, è ancora usata dai contadini dell'Asia Minore del Lazistan e del Gilan. Come nelle restanti strutture, le testate delle travi sono fatte sporgere fortemente. Nel centro e nel nord dell'Asia Minore si trovano maniere differenti di lavorare il legno per i tetti. La cosiddetta tomba di Mida, nella Frigia, offre uno dei più antichi esempî conosciuti di tetto a due spioventi. La sua struttura, che doveva essere realizzata, come per i muri, in legno e argilla, è rivelata più completamente in altri ipogei. Essa presenta la caratteristica che le travi orizzontali reggono per mezzo di un puntello verticale mediano il colmareccio e i travicelli. Questa soluzione primitiva era del resto diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo, e la si ritrova in Grecia come in Etruria.
Nell'architettura ellenica il tetto a due spioventi, quando non ricopre un edificio abbastanza corto perché vi si possano disporre travi orizzontali che poggino sui due muri di facciata, ha costantemente bisogno di una serie di sostegni mediani. Questi, particolarmente nei monumenti più antichi, sono colonne o pilastri: così nel tempio di Neandria, nella Troade, in cui i capitelli, per offrire un più ampio appoggio al trave longitudinale, si aprono in due possenti volute, e così nel tempio di Apollo a Termo nell'Etolia, e nella cosiddetta "basilica" di Paestum.
Con ciò non si vuol però dire che ogni edificio a divisione mediana dovesse avere il tetto a due spioventi. E, per es., copertura piana dovette avere il tempio A di Priniá (Creta) che presenta tale disposizione, e pur ripetendo le forme dei mégara preellenici, come quello del sesto strato di Hissarlik, segna il passaggio da questi al tempio ellenico primitivo.
La soluzione che in seguito venne comunemente adottata fu, come si è detto, di far sostenere il colmareccio da puntelli che insistevano nel mezzo delle travi orizzontali. Così era la copertura della σκευοϑήκη al Pireo (v. arsenale), e ad essa doveva essere simile la copertura dei templi. Il displuvio si poteva anche ottenere sovrapponendo a un'orditura lignea piana uno strato di argilla a profilo triangolare. La copertura a terrazza di terra battuta dovette poi essere frequente nelle case private.
Il rivestimento dei tetti a spioventi fu di tegole di terracotta (κέραμος, parola che designa anche l'argilla; Keramos, figlio di Bacco e Arianna, era l'eroe eponimo dei figuli) che sembrano derivare da prototipi di legno. La loro invenzione fu attribuita a Cinira, re di Cipro, il cui nome è legato all'inizio dell'industria della ceramica. Nel sec. VI cominciarono a sostituirsi alle tegole di terracotta quelle di marmo, il cui impiego, iniziato, si credeva, da Bize di Nasso, si generalizzò nel secolo seguente.
Le tegole poggiavano direttamente sull'orditura di travicelli, oppure su un tavolato che poteva essere protetto da uno strato di terra. La loro forma fu dapprima leggermente concava, poi piatta a bordi rialzati. I coprigiunti erano semicilindrici o triangolari. Talvolta, come nel tempio di Apollo a Figalia, il bordo stesso di una tegola formava il coprigiunto che si sovrapponeva alla tegola vicina. Gli ultimi coprigiunti, sul bordo del tetto, avevano alla loro estremità un motivo decorativo (v. antefissa). Invece che con una fila di antefisse, le tegole. di bordura potevano finire in una grondaia sia formata di pezzi distinti, sia costituita dal bordo delle tegole stesse opportunamente rialzato. Nel tempio C di Selinunte, secondo la ricostruzione di F. S. Cavallari (Not. Scavi, 1882, p. 329 segg., tav. XIX) dalla quale W. Dörpfeld dissente, alla grondaia era sovrapposta una fila di antefisse. Dalle grondaie l'acqua usciva per mezzo di docce a forma cilindrica, a protome leonina, ecc. Lungo gli spioventi del frontone seguitava talvolta la stessa grondaia dei lati lunghi, altre volte invece si avevano elementi d'altra forma. Al sommo del tetto c'era una fila di tegole più grosse, semicilindriche, o di tegole e coprigiunti doppî d. forma speciale, che potevano avere superiormente una palmetta o altro motivo decorativo (tempio di Nemesi a Ramnunte, tesoro di Gela a Olimpia), e che comunque alle estremità del tetto terminavano con un ornato di grandi dimensioni che coronava il sommo del timpano, quando questo non portava addirittura un gruppo statuario. Analoghi elementi decoravano le estremità degli spioventi (v. acroterio).
Oltre al tetto displuviato si aveva naturalmente la forma più semplice di tetto a una sola pendenza, ad es. per i porticati, e si avevano tetti di struttura più complessa per gli edifici che si allontanavano dalle proporzioni di un rettangolo allungato. In essi (Telesterion di Eleusi, Tersilion di Megalopoli, "sala ipostila" di Delo) si ricorreva a una serie di sostegni isolati variamente disposti, e i tetti dovevano avere probabilmente quattro versanti (v. ipostilo). Dubbio è il tipo di copertura delle costruzioni cilindriche o poligonali. Il tetto dell'ottagona Torre dei Venti, ad Atene, formato da lastre trapezoidali disposte a piramide, non ci dice con sicurezza quale poteva essere la struttura di un tetto ligneo. Sappiamo che al sommo del Philippeion di Olimpia vi era un elemento di bronzo che stringeva insieme i travicelli della copertura (Pausania, V, 20, 9). Alle volte, specialmente in alcuni templi, il tetto era aperto nella parte centrale.
Il sottotetto era illuminato da aperture (ὀπαῖα), che si potevano ridursi a fori praticati nelle tegole stesse.
In Italia la struttura delle primitive capanne rotonde ci è nota per le urne cinerarie che ne riproducono la forma. Accanto ai tetti conici di paglia e di canne, appoggiati a un palo centrale, simili a quelli delle capanne che ancora si costruiscono in qualche punto dell'Agro Romano, si ha il tetto ottenuto piegando i pali che costituiscono l'ossatura della capanna e legandone insieme a due a due le loro estremità. Sopra la porta era praticata un'apertura per illuminare l'interno e per fare uscire il fumo del focolare.
Nelle case a pianta rettangolare il tetto era a due spioventi (tectum pectenatum) o a quattro (tectum testudinatum). Rispetto alla parte centrale, scoperta, della casa, atrium, cavum aedium (Vitruvio, VI, 3), il tetto poteva essere inclinato all'infuori, o all'indentro verso l'apertura centrale (compluvium). In quest'ultimo caso la sua struttura variava a seconda del tipo di atrio, cioè a seconda che l'atrio presentava o no sostegni isolati che ne reggevano la copertum. Nell'atrio displuviato (cavum aedium displuviatum) la struttura - che si può vedere riprodotta nel soffitto di una tomba etrusca di Tarquinia - è data da un rettangolo delimitante l'apertura centrale, sorretto da quattro travi angolari, con altre travi inclinate che si appoggiano a questa armatura. Lo stesso problema d'illuminazione dall'alto trova un'altra soluzione nell'oecus aegyptius (Vitruvio, VI, 5), grande ambiente diviso in tre navate per mezzo di due colonnati a doppio ordine. La navata centrale vi era più alta delle laterali, e negl'intercolumnî superiori erano ricavate delle aperture. Soluzione questa che ricorda le sale ipostile egiziane e che fu adottata anche nelle basiliche.
Analogamente negli ambienti di tipo termale (tepidarî delle terme di Caracalla e di Diocleziano, basilica di Costantino), la parte centrale aveva crociere più alte delle vòlte a botte ricoprenti le parti laterali. Queste ultime terminavano superiormente a terrazza, mentre le prime avevano la superficie esterna conformata a piani inclinati sui quali poggiavano direttamente le tegole. Al quale riguardo conviene notare che fu costante abitudine dei Romani di non sovrapporre alle vòlte un tetto di legname, ma di dare alle superficie estradossali di queste la disposizione di un tetto a due o più spioventi.
Per gli edifici, in particolare i templi, a copertura piana, i Romani costruirono tetti con armatura più complessa che i Greci e gli Etruschi. Per la copertura del tempio etrusco abbiamo la descrizione di Vitruvio (IV, 7). Questi parla di trabes compactiles, ossia travi accoppiate, appoggiate trasversalmente sulle colonne del pronao e sui muri della cella. Il colmareccio (columen) si appoggiava su di esse per mezzo di un supporto (tympanum), che poteva anche essere un pilastrino in muratura, e su di esse poggiavano anche travi longitudinali (mutuli), alle cui teste, che si avanzavano all'esterno con una sporgenza pari a un quarto dell'altezza delle colonne, erano inchiodate delle tavole. Il resto dell'orditura era costituito naturalmente da travicelli inclinati (cantherii), appoggiati al columen e ai mutuli, e sui quali erano fissati i correntini (templa).
I Romani, per i tetti di portata limitata, adottarono una struttura costituita semplicemente da un columen, appoggiato sui due muri di testata (fastigia), e da cantherii; ma nei tetti di maggior portata introdussero nuovi sistemi, che sono poi quelli che ancor vigono, con necessarî adattamenti, nei tetti moderni non solo di legno, ma anche di ferro e di cemento armato. Il legname non lavora più soltanto a flessione, ma le travi inclinate o puntoni (capreoli) s'inseriscono alle estremità della trave orizzontale o catena (transtra), la quale resiste alle loro spinte e subisce così uno sforzo di trazione. Su queste armature si appoggiano i travicelli orizzontali, o correnti (catenae, a cui viene fissata l'orditura minore a listelli o assito. Attraverso le strutture dei tetti delle più antiche basiliche cristiane, conservateci in disegni, noi possiamo risalire a quelle della Roma imperiale, non solo quali ci sono descritte da Vitruvio (IV, 2) ma quali dovettero essere nelle loro forme più complesse. Nelle capriate dell'antica Basilica Vaticana gli elementi erano raddoppiati, si avevano cioè due capriate accostate, aventi ciascuna a metà altezza una controcatena, con un unico tirante verticale, che leggeva nel mezzo questa e la catena sottostante.
Le travature in bronzo del pronao del Pantheon, asportate da Urbano VIII, ma di cui ci resta il disegno, mostrano un'altra disposizione, con le travi appoggiate ai muri e puntellate con saettoni. Né questo è l'unico esempio di strutture metalliche, che esistevano anche, per es., nella Basilica Ulpia e nelle terme di Caracalla.
I tetti romani - la cui inclinazione Vitruvio (III, 6) prescrive sia nei templi di 1/4,5 - erano, come quelli greci ed etruschi, coperti con tegole piatte (tegulae) e con coprigiunti semicircolari, embrici (imbrices), triangolari nei tetti di marmo. Anche il metallo veniva impiegato: il Pantheon era coperto di tegole di bronzo dorato e il tempio di Giove Capitolino di tegole di rame dorato. Delle tegole forate, di varia forma, servivano a dare aria e luce al sottotetto. A Pompei e altrove ne sono state trovate alcune che presentano speciali dispositivi per l'adattamento di un vetro alla loro apertura.
Medioevo ed età moderna. - La chiesa paleocristiana era sempre coperta a tetto: la navata centrale aveva il tetto a due falde, quelle laterali ad una e tutte a carpenteria vista e la parte absidale a semicono. La soprastruttura era laterizia del tipo che si usa ancora nell'Italia centrale e che si dice alla romana e l'ossatura portante era costituita da capriate in legno. Per diversi esempî di queste coperture, v. basilica. Le chiese latine a santuario centrale, tipo S. Stefano Rotondo del sec. V in Roma, hanno tetto conico sostenuto da capriate: così S. Angelo di Perugia del sec. VIII e S. Donato in Zara del IX. Altri tetti del genere coprono i mausolei, ma differiscono dai precedenti per il fatto che il loro sistema statico è affidato alle vòlte di copertura degli ambienti sottostanti, opportunamente sistemate all'estradosso - con materiale concrezionale leggiero - a cono o a falda anulare, che costituiscono anche sottostrato di copertura, come nel mausoleo di S. Costanza in Roma della prima metà del sec. IV. Le basiliche siriache e armene hanno tetti che per disposizione e forma sono analoghi a quelli delle contemporanee latine e differiscono soltanto per il sistema portante.
Nella prima metà del sec. V, a Ravenna i tetti della tomba di Galla Placidia appartengono (salvo la forma diversa) al sistema del mausoleo di S. Costanza e delle tombe laterizie romane. A questi tipi si ricollegano i tetti piramidali di alcuni battisteri più tardi del Piemonte come quelli di Arzago, Settimo Vittone, Biella, ecc., e di esempî più grandiosi e complessi come quelli del Duomo Vecchio di Brescia del sec. VIII, della cappella palatina di Aquisgrana e della chiesa di S. Benigno a Digione del principio del sec. IX.
Nella seconda metà del sec. V, in S. Vitale di Ravenna e in S. Lorenzo di Milano, s'incontrano tetti piramidali con incavallature lignee speciali appoggiate parte sulle murature perimetrali e parte, con opportuni sostegni lignei e saettatura, sulle reni e sulle chiavi delle vòlte di copertura degli ambienti sottostanti. La soprastruttura in S. Vitale è alla romana, in S. Lorenzo a sole tegole laterizie curve, come ancora si usa nell'Italia Settentrionale. Questi sistemi di coperture s'incontrano successivamente in altre costruzioni d'influenza bizantina in Italia come nei battisteri di S. Maria di Nocera dei Pagani, di Nola, di Novara, ecc. Le costruzioni bizantine d'Oriente hanno, nel sec. V e VI, il grande ambiente centrale coperto a cupola con estradosso in vista e nella ripresa del sec. IX e X, quando le cupole venivano voltate sui loro alti tamburi, queste erano coperte con coppi cementati direttamente sull'estradosso e opportunamente raccordati con le murature del tamburo e dei loro motivi architettonici. Gli ambienti laterali seguivan0 qualche volta la copertura del sistema centrale oppure avevano il tetto a falde inclinate ottenuto come nel mausoleo di Galla Placidia. Vale la pena di ricordare, per incidenza, i tetti delle chiese bizantine a croce greca con cinque cupole del sec. XI, come S. Marco di Venezia, Saint-Front di Périgueux, ecc. S. Marco di Venezia, per esempio, ha il tetto delle cupole rialzato su ossatura lignea a funzione decorativa e indipendente dalle cupole di muratura che coprono l'ambiente. I tetti delle navate invece sono a due falde aderenti alle vòlte a botte e a crociera sottostanti e si direbbe che seguano lo schema dei tetti termali romani. La soprastruttura di copertura è sempre con lastre di piombo.
Il tetto delle chiese romanico-lombarde segue in generale il motivo delle basiliche latine, salvo alcune complicazioni absidali e la presenza del tetto piramidale sopra la cupola del tiburio, come in S. Ambrogio di Milano. In alcune regioni d'Italia il tetto delle chiese romaniche è anche di copertura all'ambiente secondo lo schema latino. Queste coperture a carpenteria vista acquistano qualche volta un grande valore decorativo come in S. Miniato di Firenze e nel Duomo di Monreale del sec. XII. Particolare menzione meritano anche le coperture di S. Zeno e S. Fermo di Verona e S. Stefano di Venezia. Hanno capriate speciali con catena parte di legno e parte di ferro che sono mascherate da un motivo a cassettonato ligneo avente forma di carena di nave. Casi del tutto di eccezione quelli delle coperture dei battisteri di Cremona, Parma, Firenze, Pisa, ecc.
Le chiese romaniche d'oltralpe hanno tetti con falde ripidissime, ossatura lignea e manto di quercia, larice o lavagna. Quelle costruite dopo il sec. XII hanno generalmente una lanterna altissima all'incrocio del transetto coperto con tetto piramidale acutissimo come nei duomi di Spira, Magonza, Worms, ecc., e nelle chiese cluniacensi e cisterciensi della Normandia, della Borgogna e della Provenza, del sec. XII e XIII. Le chiese romaniche della Gran Bretagna hanno tetti a falde semplici ma ripidissime che si armonizzano con quelli delle torri campanarie e delle lanterne come nelle cattedrali di Lincoln, Winchester, Gloucester, ecc. Le cattedrali di Norwich e di Peterborough del sec. XIII offrono un tipo speciale di tetto a carpenteria vista.
In generale nelle costruzioni gotiche il tetto ripidissimo si distacca completamente dalle vòlte sottostanti. Ha per organo di sostegno robuste incavallature di legno saettate a tipo speciale, che scaricano il peso delle coperture sui piloni dei muri perimetrali senza interessare le vòlte. Gli esempî migliori si trovano in Francia nelle cattedrali di S. Stefano di Caen, Notre-Dame di Parigi, Soissons, Chartres, Reims, Beauvais, ecc., del sec. XIII. In Germania si trova il tipo francese come nella cattedrale di Ulma, ecc., oppure un tipo nazionale che copre con due ripidissime falde tutte le navate della chiesa come in S. Stefano di Vienna dove la copertura con tegole piatte di ceramica colorata a disegni rende apparentemente più leggiera la massa enorme del tetto.
Nelle manifestazioni ogivali italiane, a parte il Duomo di Milano d'influenza straniera (con tetto portato dalle vòlte e soprastruttura in lastre di marmo di Carrara saldate con mastice), le cattedrali hanno il tetto a falde poco inclinate su incavallature di legno sopra le vòlte di copertura degli ambienti. Esempî: S. Petronio di Bologna, Ss. Giovanni e Paolo e i Frari di Venezia, S. Maria del Fiore a Firenze, il Duomo di Siena, ecc. Altre chiese, per esigenze religiose o altro, hanno l'ossatura del tetto a carpenteria vista come S. Croce di Firenze, il Duomo di Orvieto, ecc. Un caso più raro in Italia ci è offerto dai tetti della basilica superiore di Assisi, la cui ossatura lignea di copertura è sostenuta da arconi trasversali e diagonali in muratura. Le costruzioni civili medievali hanno tetti con ossatura lignea o spesse volte mascherati dietro le merlature, come nel Palazzo Ducale di Venezia, coperto con lastre di piombo; ovvero impostati dietro timide cornici, come nel Broletto di Como, coperto con lastre di ardesia; oppure con ossatura lignea molto sporgente dalle murature, come nelle Logge del Bigallo e dell'Arte della Lana di Firenze, che hanno le falde sostenute da barbacani molto lavorati e la soprastruttura in tegole curve. Nell'architettura civile gotica d'oltralpe i timpani altissimi dei tetti, a pendenza talvolta due per uno, sono mascherati con linee terminali di pareti a scaglioni e altri motivi decorativi come nei palazzi comunali di Lubecca, Bruges, Danzica, Strasburgo, ecc.
Gli edifici civili del primo Rinascimento in Italia venivano esclusivamente coperti a tetto a due o più falde portate da capriate in legno e dalle murature di spina e aventi soprastruttura laterizia. Le opere viscontee e sforzesche della Lombardia hanno sistematicamente i tetti con larghe falde sporgenti sostenute da barbacani e mensole molto lavorate e con soprastruttura in cotto come nel Castello Sforzesco di Milano e nella Bicocca. Le chiese del Quattrocento seguono in generale la forma di copertura basilicale e i sistemi centrali della Lombardia hanno il tetto della tribuna di forma piramidale a poca pendenza e con lanternino alla sommità. L'ossatura è sempre lignea e appoggia parte sulle murature perimetrali e parte sulla cupola di copertura dell'ambiente. Esempî: santuario di Saronno, S. Maria delle Grazie di Milano, l'Incoronata di Lodi, la Madonna della Croce di Crema, ecc. Le coperture delle chiese di Venezia sono mascherate dai frontoni semicircolari dei prospetti. Le falde riposano su incavallature di legno che trovano sostegni intermedî sulle vòlte e la soprastruttura è qualche volta in lastre di piombo e qualche altra laterizia come a S. Michele all'Isola, a S. Zaccaria e in altre chiese della Dalmazia. Casi del tutto di eccezione il tetto della chiesa dei Miracoli a Venezia e quelli del duomo di Sebenico.
Non diverse le coperture del Cinquecento e più rari ancora i casi di falde sporgenti a carpenteria vista. Esempio isolato la copertura del Castello Farnese di Caprarola del Vignola che ha falde su capriate lignee zoppe che dànno verso il cortile circolare interno.
Verso la metà del Cinquecento, Michelangelo, nei Palazzi Capitolini in Roma, introduce per primo il concetto delle coperture nascoste da balaustrate che si piantano sulle linee frontali dell'edificio sopra il cornicione di coronamento. Il Sansovino e il Palladio nel Veneto e l'Alessi a Milano e nella Liguria seguono e sviluppano tale concetto e ci offrono i seguenti esempî: Libreria di S. Marco a Venezia, coperta con lastre di piombo; palazzo Chierigati a Vicenza, Palazzo Marino di Milano, coperti in laterizio; Villa Cambiaso di Genova coperta in ardesia, ecc. Nella seconda metà del Cinquecento si afferma l'uso delle capriate dette alla palladiana, introdotte dal Palladio nelle chiese del Redentore e di S. Giorgio Maggiore a Venezia, i cui tetti hanno soprastrutture di piombo. Queste capriate sono state successivamente usate un po' dappertutto dove le grandi portate le consigliavano, come nei rifacimenti dei tetti di S. Maria Maggiore in Roma. Anche nelle chiese del Cinquecento vengono sviluppati i sistemi di copertura del secolo precedente e si hanno esempî tanto di copertura a tetto su capriate, quanto di coperture con ossatura affidate anche alle vòlte come in S. Pietro in Roma, coperto parte a tetto laterizio su capriate e parte a piani leggermente inclinati appoggiati sulle vòlte e con soprastrutture in lastre di travertino, sigillate con bitume.
Nelle altre parti di Europa continuano in generale i tipi caratteristici già visti, con falde ripidissime, ravvivate da abbaini e camini molto alti. La soprastruttura è di ardesia o laterizia a squame, oppure a tapparelle di quercia o di larice inchiodate. Meritano speciale menzione alcuni sistemi di coperture del Brunswick, che hanno l'ossatura lignea ancorata, per dir così, nei piani sottostanti e palesata all'estemo. Hanno soprastruttura in lastre di eternit a forma di S sovrapposte e inchiodate all'ossatura lignea sottostante. Verso la fine del Cinquecento nel palazzo comunale di Brema e in quello di Colonia si presenta la balaustrata di parziale mascheramento delle coperture e piantata come nei primi esempî già visti in Italia.
Durante il Barocco in Italia prendono il sopravvento i tetti mascherati da balaustrate le quali, in qualche caso decorativo e di eccezione, seguono perfino l'andamento dei timpani come nelle chiese di S. Susanna e di S. Maria della Vittoria del Maderno e di S. Carlino alle Quattro Fontane del Borromini a Roma. Nella prima metà del Seicento l'architetto François Mansard introduce in Francia il tetto a falde spezzate che porta il suo nome: ripidissima la parte vicina alla linea di gronda, meno inclinata quella verso il colmo. Questo fatto ha permesso una migliore utilizzazione del sottotetto che mediante opportuni abbaini viene reso abitabile. Vicino al tipo alla Marsard, che si afferma ben presto in Francia e nei paesi vicini, coesistono le espressioni locali e qualche volta nelle applicazioni monumentali si presenta il tipo all'italiana. Così Jules Mansard ha coperto le navate degl'Invalidi di Parigi con tetto a falde poco inclinate e balaustrata di mascheramento sulla linea di gronda, seguito da Chr. Wren in S. Paolo di Londra e da altri nella reggia di Berlino, nel Palazzo Nuovo di Potsdam, ecc. In Austria persiste il tipo cinquecentesco vicino al quale il tetto alla Mansard si presenta con abbaini e balaustrate sulle linee di gronda come nel Belvedere di Vienna dell'Hildebrandt. Nella regione renana il tipo alla Mansard presenta un'altra variazione, e cioè una breve spezzatura della falda vicino alla linea di gronda in senso meno inclinato, come nel palazzo del vescovo di Münster dello Schlaum. Nella Baviera e nel Württemberg questo tipo subisce un'altra variazione e cioè la falda intermedia assume andamento curvilineo come nello Zwinger di Dresda, nel castello residenziale di Würzburg, ecc. Nel Settecento questo schema curvilineo assume svariatissimi andamenti e si propaga dappertutto. Nelle città verso il Mare del Nord e nei Paesi Bassi persiste il tetto ripidissimo con abbaini e timpani di mascheramento a linea barocca come in tanti esempî di Amburgo, Brema, Amsterdam, Francoforte, ecc.
Durante il Neoclassico in Italia si adottano i tipi già esaminati e cioè: tetti che si piantano dietro le balaustrate e che hanno motivi a timpani architettonici come nel Teatro della Scala e nel palazzo Rocca-Saporiti di Milano, ecc.; a cornicione di coronamento come nei palazzi del Valadier sulla Piazza del Popolo a Roma, nel teatro Carlo Felice di Genova, ecc. In Germania persistono le coperture regionali per le opere di secondaria importanza, mentre per le opere monumentali, ispirate ai motivi della Grecia, si usano tetti con falde di poca pendenza come nel Walhalla presso Ratisbona, nella Bavaria di Monaco, nella Galleria Nazionale di Berlino, ecc., nei quali oltre ai timpani classici ricompaiono le antefisse, gli acroterî e anche le coperture con lastre di marmo come nel dorico greco. In altri edifici, come nel Palazzo della Borsa di Berlino, nella Galleria di Dresda, ecc., si hanno coperture che seguono gli esempî sansovineschi e palladiani. A Vienna come a Londra si notano tre tipi di coperture: uno segue quello alla Mansard a falde dritte e curve, l'altro riprende il tipo medievale come lo Schmidt nel Rathaus di Vienna e il Barry nel Parlamento di Londra, e il terzo (più importante e monumentale) segue il tipo greco-romano come nel Parlamento di Vienna e nelle costruzioni di Trafalgar Square a Londra, ecc. Speciale menzione meritano tetti delle costruzioni neoclassiche in Russia, sorte per opera di artisti italiani come il Quarenghi e altri, che hanno influenzato tutte le costruzioni imperiali dell'epoca e in tutte le città della Russia, della Polonia, della Boemia, ecc. Si tratta di tetti prettamente palladiani a lieve pendenza, impostati su cornicioni o dietro balaustrate come nell'Accademia delle scienze, nell'istituto Smol′nyj di Pietroburgo, ecc. Nelle opere della grande attività edilizia di Napoleone III in Francia persiste il tipo alla Mansard in generale e quello classico nelle opere monumentali come nei palazzi intorno alla Place de l'Étoile, l'Avenue de la Grande-Armée, Piazza della Concordia, ecc., a Parigi.
Agl'inizî del sec. XX le coperture a tetto vengono cedendo il posto alle terrazze. Il tetto viene ancora largamente usato nelle modeste e medie applicazioni e segue generalmente gli schemi nazionali dei varî paesi. Così il Messel nel Warenhaus di Berlino (1904) riprende lo schema del tetto tedesco a tre inclinazioni per falda e lo copre con ardesia artificiale a squame. Il Behrens nelle sue fabbriche industriali di Berlino e di Düsseldorf (1910-1912) nello schema di cui sopra sostituisce gli abbaini con lucernai seguenti l'inclinazione delle falde. Paul Bonatz nella stazione di Stoccarda (1913-1927) tende ai tetti piani e a parziali terrazze, e così il Rockle nella Casa politica di Francoforte. Verso i paesi nordici persistono le coperture caratteristiche a tetto e abbaini come nelle opere dello Schumaher di Amburgo. Anche nelle costruzioni a schiera del dopoguerra in Germania resiste il tetto ripido con falde incurvate sulle linee di gronda, abbaini, camini e frontoni in vista a più piani sfenestrati e coperto di eternit come nelle opere del Salvisberg a Berlino e in Boemia, del Bonatz a Stoccarda, di altri a Dortmund, Karlsruhe, Colonia, ecc.
In Italia le coperture a tetto si alternano con quelle a terrazza. Generalmente le falde si mantengono sempre poco inclinate, a piani semplici e con soprastruttura laterizia. Con lo sviluppo delle strutture eterogenee dall'inizio del sec. XX si sono venute affermando anche le ossature portanti dei tetti in cemento armato. Si tratta di veri e proprî solai in cemento armato impostati secondo le pendenze delle falde e che costituiscono ossature portanti e nello stesso tempo sottostruttura di copertura.
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