TESORO (ϑησανρός, thesaurus)
Nome greco di etimologia ignota, che in origine significò magazzino.
Antichità. - Nell'età classica i tesori valevano generalmente come depositi di oggetti preziosi e avevano carattere sacro, essendo connessi con i santuarî. Il tesoro poteva essere sotterraneo, del tipo che si è scoperto nell'Asclepieo di Lebena in Creta: ma tesori chiamavano anche gli antichi le tombe a tholos antichissime (tali i cosiddetti tesori di Minia in Orcomeno e di Atreo a Micene), come depositi (accanto al morto, di solito in separata camera) di vere o presunte ricchezze. I tesori sopra terra erano edifici chiamati talvolta anche case (οἶκοι, a Delo) o addirittura templi (ναοί) destinati agli oggetti culturali di proprietà del tempio a cui erano affiancati: esempio ben noto in Eleusi. In santuarî di carattere panellenico, come Delfi od Olimpia, il tesoro rappresentava la sede delle singole città partecipanti, che vi tenevano i proprî oggetti di culto e le offerte fatte dai proprî cittadini, che non dovessero stare proprio nel tempio del dio, per qualsiasi ragione. Avere un tesoro in questi santuarî significava essere ammessi al culto del medesimo. Come pianta, i tesori erano piccoli edifici simili al tempio greco più semplice, cioè privo di colonnato esterno, costruito e decorato da artefici dello stato dedicante, e spesso con materiale edilizio da questo importato; a Olimpia i tredici tesori erano allineati su una medesima terrazza. Col nome di tesori s'indicano poi anche le cavità, in genere ricavate dalla pietra, destinate a raccogliere le offerte anonime dei devoti nei santuarî: le migliori informazioni a noi pervenute dalla legge sacra di Andania, e i migliori esemplari sono in Tera. L'apertura di questi tesori era naturalmente sottoposta a cautele speciali, e avveniva a data fissa: ad Andania, per es., ogni anno.
Nell'Egitto ellenistico e romano con tesoro si è denominato un vecchio tipo di edificio indigeno destinato alla raccolta del grano, proveniente sia dalle terre demaniali, sia dalle tasse in natura, ecc., mentre serviva come centrale di distribuzione per le razioni ai funzionarî e soldati, per i prestiti di semenze: si trovavano tesori nei singoli villaggi, e centrali per ogni nomo.
Custodi dei tesori depositati nei santuarî e loro dispensieri erano i tesorieri o ταμίαι, che poi furono anche istituiti per le casse dello stato. Sebbene infatti gli stati depositassero volentieri i loro capitali presso santuarî, e il controllo degli stati sulle finanze dei santuarî si estendesse sempre di più in età classica e postclassica e in certe città, come in Atene, le casse dei santuarî diventassero le più importanti branche della finanza dello stato, anzi costituissero quasi l'unica riserva di valori di cui lo stato potesse servirsi in momenti eccezionali di bisogno, tuttavia si mantenne sempre la distinzione formale tra le casse varie dello stato e le casse dei santuarî: donde la creazione di speciali tesorieri o cassieri per lo stato. Come i tesorieri dei templi erano in origine alle dipendenze dei sacerdoti, i tesorieri delle varie amministrazioni dello stato erano alle dipendenze degli organi di governo, e in particolare della bulè: di fatto i tesorieri non hanno competenza d'ingiunzione e di giurisdizione. I tesorieri più antichi erano forse schiavi, ma, soprattutto in regimi democratici, si comprende come si cercassero dei possidenti. L'elezione avveniva per sorte o per nomina: la ricerca di persone specialmente facoltose fece prevalere anche in stati democratici la designazione nominale. Il controllo dello stato sulle ricchezze dei santuarî fece sì che anche i tesorieri di essi venissero nominati con identici sistemi dagli organi politici, cioè i tesorieri dei santuarî diventassero in molti luoghi funzionarî dello stato. I tesorieri erano nominati a scadenza fissa, di regola breve, annuale o minore di un anno. Essi dovevano rendere conto della loro gestione non solo alla scadenza del mandato, ma, spesso, a intervalli regolari durante di esso. I controlli che ci sono noti per Atene e Delfi erano particolarmente rigorosi; ad Atene, naturalmente, qualsiasi cittadino aveva diritto d'intervenire. Dall'esempio di Atene è facile pure scorgere che da un periodo arcaico in cui uno o pochi funzionarî bastano all'ufficio di un'unica tesoreria si passa in età classica alla creazione di varie casse distinte: dalla seconda metà del sec. IV in poi si sviluppa un'amministrazione più unitaria, a cui le varie casse speciali sono subordinate, creando praticamente un vero dicastero delle Finanze, il cui compito specifico è di equilibrare entrate e uscite.
In Atene i più antichi tesorieri a noi noti sono i colacreti, già esistenti al tempo di Solone, di origine e attribuzioni malcerte, in ogni caso connesse col pritaneo, perché ai colacreti toccava incassare i pagamenti per le spese processuali (prytaneia) e pagare il vitto in pritaneo agl'insigniti di questo onore: ma in età arcaica il loro compito praticamente più importante dovette essere l'amministrazione dei fondi dei naucrarica (v. naucrarie) destinati principalmente alla flotta, poi a spese varie, in particolare di carattere sacrale. Di fronte ai colacreti assumono però sempre più importanza nel secolo V sia i cassieri della Lega delio-attica (v. delioattica, lega), sia i tesorieri dei templi. I cassieri della lega, gli ellenotami nominati in numero di 10 da Atene per tribù, specie dopo il trasferimento del tesoro ad Atene nel 454-53 e l'utilizzazione dei tributi per le spese pubbliche di Atene, diventano funzionarî ateniesi: nel 411 vengono loro attribuite anche le mansioni dei colacreti aboliti. Ma nel 404 la rovina dell'impero porta all'abolizione pure degli ellenotami. I tesorieri sacri dei templi erano già preparati per le loro mansioni alla successione almeno parziale. I tesorieri della "dea", cioè di Atena, nominati a sorte, tratti dai pentacosiomedimmi, in numero di dieci (ma praticamente anche meno) oltre a un segretario, facevano abitualmente allo stato anticipi, soprattutto in caso di guerra; ricevevano inoltre nel sec. V per diritto 1/60 dei tributi degli alleati; dal 434 diventarono depositarî delle rimanenze annuali dei tributi, nel sec. IV poi ebbero in deposito altri fondi come quello di 10 talenti per i decreti onorarî, affidato a uno speciale "tesoriere del popolo", il metallo non monetato, ecc. Nel 434 vennero inoltre unificati i tesori di tutti gli altri santuarî ateniesi, con eccezione di quello di Eleusi, sotto l'amministrazione di "tesorieri degli altri dei": il nuovo tesoro era pure collocato nell'opistodomo del tempio di Atena, dove si trovava il tesoro della "dea", ma separatamente. I due collegi di tesorieri furono unificati nel 406-5 come "tesorieri delle sacre ricchezze di Atena e degli altri dei", poi separati di nuovo circa il 386: infine i tesorieri degli altri dei sparirono tra il 363 e il 346, cioè i tesorieri della dea ne ereditarono in pieno le attribuzioni. S'intende però che queste varianti non sono scindibili dalle concrete vicende della finanza ateniese, che non possiamo qui riguardare. Nel sec. IV, accanto a questi organi di origine sacrale, assunsero grande importanza alcuni organi di nuova creazione: i soprintendenti e tesorieri del teorico per i controlli che estesero su tutti i rami dell'amministrazione, e il tesoriere del fondo di guerra (ταμίας τῶν στρατιωτικῶν) documentato da circa il 346. Un soprintendente generale alle casse dello stato, col nome di tesoriere dell'amministrazione generale (ταμίας τῆς κοινὴς διοικήσεως), fu nominato per quattro anni nel 338 nella persona di Licurgo, col compito specifico di equilibrare il bilancio dello stato e dopoché già Eubulo aveva praticamente tenuto il medesimo ufficio. La carica fu poi continuata, regolarmente, almeno dal 307-6, ora costituita in collegio, ora affidata a uno solo, secondo il prevalere di correnti più o meno democratiche. In origine probabilmente senza cassa propria e solo destinato al controllo, al disopra degli apodetti, dell'andamento generale delle entrate e uscite, ebbe cassa propria almeno dal 302, quando le furono affidati i fondi del tesoriere del popolo. La sua cassa poi si venne a confondere con quella del fondo di guerra, e infatti i due tesorieri appaiono spesso uniti, e il tesoriere del fondo di guerra prevalse: nella prima metà del sec. II a. C. si assiste alla decadenza della carica dell'ὁ ἐπὶ τῇ διοικήσει. Abbiamo già accennato al "tesoriere del popolo" che era cassiere di un piccolo fondo per conto dell'ecclesia: analoghe funzioni aveva un tesoriere della bulè. Altri tesorieri esistevano per altre mansioni, per es., per i pagamenti delle vettovaglie ai soldati. E tesorieri avevano le tribù e i demi (come pure le associazioni gentilizie e religiose).
Fuori di Atene sono naturalmente documentati tesorieri, sebbene di regola ci sfuggano le particolari mansioni. A Sparta un tesoriere è documentato tardi, in correlazione col tardo sviluppo dell'economia monetaria: la prima documentazione è del 188 a. C.; in Beozia collegi di tre tamíai della durata di 4 mesi assumono grande importanza in parecchie città nel sec. III a. C. come organi supremi della finanza: tali organi erano anche i sette tamíai, uno per ogni distretto della Lega etolica nel sec. III; un tamías è ricordato per la Lega arcadica, ecc.
Dal punto di vista economico, la storia del tesoro s'identifica evidentemente con quella delle finanze dei singoli stati (per Roma, v. anche erario). Basti qui dire che un tesoro come cassa delle riserve dello stato, fondamentale nella struttura finanziaria della Persia, si ritrova in Grecia per somme notevoli solo in Atene nel sec. V, per poi ritornare con Alessandro Magno e gli stati ellenistici, nonché in Cartagine e Roma: negli altri stati greci il tesoro è di regola deposito provvisorio del contante in cassa. Diverso è naturalmente il caso dei tesori dei templi, che hanno sempre avuto forti riserve prima in oggetti preziosi e poi in moneta, talvolta esposte (in specie negli stati ellenistici e in Roma) a politica di secolarizzazione.
Bibl.: Busolt-Swoboda, Griechische Staatskunde, 2a ed., Monaco 1920-26, passim; W. Schwahn, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV A, col. 2099 segg.; L. Ziehen, ibid., VI A, col. i segg. (s. v. ϑησαυρος); W. S. Ferguson, The treasurers of Athens, Cambridge Mass., 1932.
Diritto.
Del tesoro abbiamo varie definizioni nelle fonti romane. L'una, la più celebre, è di Paolo (Dig., XLI,1, de adq. rer. dom., 31.1): vetus quaedam depositio pecuniae, cuius non extat memoria, ut iam dominum non habeat; l'altra è in una costituzione dell'imperatore Leone (Cod., X, 15, de thes.,1): condita ab ignotis dominis tempore vetustiore mobilia; la terza, che sembra ricalcare quella di Paolo, è data da Cassiodoro (Var., 6, 8): depositivae pecuniae, quae longa vetustate competentes dominos amiserunt. La seconda, attribuita a Leone, è probabilmente giustinianea, e riassume nel termine mobilia tanto la pecunia, ricordata nel testo di Paolo, quanto i monilia condita ab ignotis dominis tempore vetustiore, ricordati in una costituzione dell'anno 380 (Cod. Theod., X, 18, de thes., 2), non considerati propriamente tesoro, ma come tesoro trattati. Nel codice civile italiano (art. 714, capov.) il tesoro è definito: "qualunque oggetto mobile di pregio, che sia nascosto o sotterrato e del quale nessuno possa provare di essere padrone". Poiché la cosa deve essere mobile, non è tesoro il rudere antico o altra parte di fabbrica incorporata nel suolo.
Il tesoro nella definizione di Paolo - somma di denaro nascosta - sta a indicare una società e un'economia primitive, un'epoca in cui le guerre rendevano necessario salvare le proprie ricchezze in modi straordinarî e mancava l'organizzazione del credito. I monilia, trattati come tesoro nella costituzione dell'anno 380 e soltanto da Giustiniano riassunti nel concetto di tesoro, sono la forma di tesoro che emerge nel corso del tempo, rappresentata dai ritrovamenti archeologici: le stesse urne di monete antiche hanno valore archeologico, non monetario.
Sul regime più antico del tesoro si discute, sostenendo alcuni che il tesoro scoperto in fondo altrui spettasse tutto al proprietario del fondo; altri, che fosse attribuito all'inventore; altri ancora, che vi fosse disputa circa l'appartenenza all'uno o all'altro: più probabile è la prima opinione che tiene conto del potere di attrazione del dominium romano. L'imperatore Adriano (Inst., II,1, de rer. div., 39) concesse il tesoro per intero a chi lo avesse scoperto nel suo fondo o, fortuitamente, in luogo sacro o religioso; lo concesse per metà al proprietario del fondo e per metà all'inventore nel caso che fosse scoperto in fondo altrui non data opera, c. oè fortuitamente; se il fondo era di proprietà o dell'imperatore o del fisco o del pubblico, il tesoro spettava per metà all'inventore, per metà all'imperatore o al fisco o alla comunità. Le posteriori vicende del tesoro sono complesse, ma l'imperatore Leone, seguito da Giustiniano, accolse il regime adrianeo, che, abbandonato ancora successivamente per l'invadenza delle pretese fiscali, fu ripristinato da Leone VI il Filosofo (885-912).
Il codice civile italiano (art. 714, 1° comma), ispirandosi al regime adrianeo, stabilisee che "se il tesoro è trovato nel fondo altrui, purché sia stato scoperto per solo effetto del caso, spetta per metà al proprietario del fondo in cui fu trovato, e per metà al ritrovatore". Circa i requisiti del tesoro la disputa è ampia. Che l'oggetto debba essere di pregio è esplicitamente affermato nel codice civile italiano (art. 714, capov.), ma è indubitabile anche per diritto romano, quantunque su basi esegetiche inesatte S. Perozzi lo neghi. Il requisito del nascondimento, ammesso giustamente dai più, è negato da C. Ferrini. Altro punto controverso è se il tesoro debba essere scoperto in un immobile: a torto alcuni scrittori ritengono che gli oggetti preziosi scoperti nella cosa mobile non ricadano sotto il concetto di tesoro. Non è improbabile che nel codice civile italiano (art. 714, capov.) i due termini "nascosto o sotterrato", criticati dal Perozzi, siano stati scritti in relazione alla svariatissima serie degli oggetti, non esclusi i mobili, in cui il tesoro può scoprirsi: il nascondimento in un immobile è un sotterramento. Una battaglia è stata vivamente combattuta sui due requisiti strettamente connessi dell'antichità del deposito e dell'irreperibilità del proprietario. È stata acutamente difesa la tesi (P. Bonfante) che requisito del tesoro è non già l'irreperibilità, ma l'inesistenza del proprietario, per modo che il tesoro è una res sine domino, una res nullius di natura speciale. Se il deposito è recente, il proprietario può ben essere irreperibile, ma è quasi sicuro che un proprietario esiste e si deve trattare l'oggetto come cosa smarrita.
Un interessante caso presentatosi alla giurisprudenza moderna ha fatto sorgere la disputa se sia tesoro un oggetto che fu nascosto ma che non lo è più: ad esempio, per essere stato messo allo scoperto da cause naturali; in altri termini, se la scoperta del tesoro debba farsi dall'inventore. La dottrina prevalente (F. Ferrara, P. Bonfante) ammette esservi tesoro anche in questo caso.
Il requisito della fortuità per l'acquisto all'inventore della metà del tesoro scoperto in fondo altrui è stato eliminato dal codice civile germanico (BGB, § § 984). Certamente è eccessivo esigere il non data opera, anche se il ritrovamento sia fatto da un terzo col consenso del proprietario, perché in questo caso non si eccita l'invasione nell'altrui proprietà e la scoperta è fatta senza lesione dell'altrui diritto.
Quando il tesoro è scoperto in fondo altrui, il duplice acquisto avviene per diritto di accessione a favore del proprietario del fondo, per diritto d'invenzione o di occupazione a favore dello scopritore. Una profonda innovazione ha introdotto la legge 2 giugno 1902 (poi legge 20 giugno 1909, n. 364) per i ritrovamenti di oggetti artistici e archeologici, perché né il proprietario del fondo, né il ritrovatore di oggetti di scavo hanno più un diritto sulle cose scoperte, ma semplicemente una ragione di credito, il primo verso lo stato, il secondo verso il proprietario del fondo.
Bibl.: Fondamentale è la trattazione che trovasi in P. Bonfante, Corso di diritto romano, II: Proprietà, parte 2a, pp. 95-115, Roma 1928; vedansi inoltre: M. Pampaloni, Il concetto giuridico del tesoro, in Studi per l'VIII centenario dell'univ. di Bologna, Bologna 1889; S. Perozzi, Contro l'istituto giuridico del tesoro, in Monit. Tribun., Milano 1890; id., Tra la fanciulla d'Anzio e la Niobide, in Riv. dir. comm., ivi 1910 (due scritti contenenti una critica serrata e brillante contro l'istituto); F. Ferrara, in Foro ital., 1906, parte 1a, p. 1332; G. Rotondi, I ritrovamenti archeologici e il regime dell'acquisto del tesoro, in Scritti giuridici, III, Milano 1922, p. 339 segg.; R. de Ruggiero, Istituzioni di dir. civ., 6a ed., II, Messina s. a., p. 414 segg.
Tesoro pubblico.
Tesoro è detta la somma di valori di proprietà collettiva, oppure di ragione pubblica e in custodia presso lo stato, e anche il luogo dove i valori dello stato sono custoditi (lat. aerarium), e l'organo statale incaricato di custodire e amministrare i valori stessi. Oggi con la dizione "Tesoro pubblico" e anche con quella di "Tesoro" si suole indicare quel ramo dell'amministrazione statale che presiede alla gestione del pubblico denaro e dei valori dello stato, al servizio del bilancio e delle contabilità finanziarie.
Nell'epoca moderna il primo e più importante ordinamento di pubblico tesoro fu quello adottato dall'Inghilterra, e imitato successivamente da alcuni stati del continente europeo. Sennonché l'origine di tale ordinamento si fa risalire al sistema finanziario dei Cavalieri normanni, i quali conquistarono l'Inghilterra nel 1066. Dal tavolo a "scacchiere" che era nella camera dei conti di Roberto il Diavolo di Normandia (1028-1035), dove siedeva la corte suprema, deriva poi il titolo di "cancelliere dello Scacchiere" (Chancellor of the Exchequer) al ministro del Tesoro inglese, titolo che conserva tuttora.
Bisogna riconoscere che l'ordinamento finanziario inglese fu perfezionato attraverso le vicende politiche, si compenetrò indissolubilmente all'ordine politico-sociale formatosi dopo le ultime rivoluzioni, e mantenne quegli spiccati caratteri di originalità e di praticità, che sono particolari alla civiltà inglese. La commissione mista, ossia formata di membri politici e tecnici, che presiede l'amministrazione del tesoro inglese, serve a vagliare preventivamente tutta la politica economica e finanziaria della nazione, dando ad essa un'importanza molto superiore a quella che le si suol dare dagli stati europei del continente. A capo del tesoro inglese vi è il Board of Treasury, presieduto dal primo lord della tesoreria, generalmente capo del governo, e, in ogni caso, capo del partito dominante; ne fanno parte come membri: il cancelliere dello Scacchiere, avente la direzione della pubblica finanza, tre junior lords e due segretarî della tesoreria (ossia del ministero).
Il pubblico danaro viene amministrato con molto rigore, sottoponendo al giudizio speciale del controllore generale (auditor general) tutti coloro che sono chiamati a gestire le pubbliche entrate e a ordinare le spese. Inoltre il controllore generale può rifiutare i fondi necessarî al pagamento delle spese quante volte non ritenga regolare l'ordine, e, quando la spesa sia già pagata, può rifiutare il discarico della relativa somma accollandone la rifusione ai funzionarî colpevoli.
Quest'ordinamento del tesoro inglese (Exchequer and Audit Department) fu creato dalla riforma generale, concepita dal Gladstone nel 1866, ed è ormai consacrato dalla buona prova di oltre mezzo secolo. La legge 19 agosto 1921 ne lasciò immutata la costituzione sostanziale, e la legge 29 giugno 1922 si limitò a modificare i rendiconti ai controllori locali.
Nelle sedute plenarie che si tengono presso la Commissione parlamentare (Public Accounts Committee) alla chiusura dei conti per l'anno finanziario scaduto, gli amministratori sono chiamati a render conto sopra parecchie migliaia di osservazioni presentate dal controllore sulla regolarità delle varie gestioni; e oltre ai rendiconti presentati al parlamento per l'approvazione, vengono pubblicati larghi resoconti statistici (statistical abstracts) e particolareggiati conti della tesoreria (finance accounts).
L'ordinamento del tesoro italiano si dimostrò soddisfacente - come quello inglese - durante una prova di circa mezzo secolo e non presentò inconvenienti nel periodo della guerra mondiale. Appena formato il regno d'Italia, le risorse tributarie erano troppo scarse in confronto coi nuovi bisogni sociali, e il risparmio nazionale si palesava insufficiente a coprire i nuovi prestiti pubblici per far fronte alle più urgenti opere di pubblica utilità.
In tali difficili condizioni sembrò opportuno dedicare particolari cure al pubblico danaro affidando la delicata amministrazione a un ministero autonomo, incaricato di stabilire e mantenere un certo equilibrio fra i bisogni più urgenti del paese e i mezzi finanziarî disponibili. Il Ministero del tesoro - separato da quello delle finanze - cominciò a funzionare nel 1881, con ordinamento originale e pratico, che si andò gradatamente perfezionando e che nonostante gravi difficoltà raggiunse dal 1891 - soprattutto per merito di Luigi Luzzatti - il risanamento finanziario e monetario della nazione: nel 1906 la lira italiana carta faceva premio sull'oro monetato, e si poté compiere la prima conversione del consolidato dal 4% al 3½ %.
I principali servizî affidati al Ministero del tesoro fino dalla sua istituzione furono i seguenti:
a) Servizio di tesoreria. Vigilanza sulle riscossioni e sui pagamenti, tanto di bilancio quanto di extra-bilancio; conti correnti con le amministrazioni statali; pagamenti all'estero; operazioni finanziarie (emissione, conversione, estinzione di prestiti pubblici; sovvenzioni ferroviarie e diverse); compilazione delle contabilità di cassa e di tesoreria (conto mensile del tesoro, conti degli agenti, rendiconti annuali); servizio di circolazione monetaria e dei biglietti di stato, e quindi servizî della zecca, servizî dell'officina carte-valori e della cassa speciale dei biglietti a debito dello stato; emissione, amministrazione ed estinzione del debito fluttuante.
Questi servizî - già affidati alla Direzione generale del tesoro, prima ancora che fosse istituito il Ministero del tesoro - furono poi integrati con l'Uffizio di ispezioni alle banche di emissione, e con l'affidare il servizio provinciale di tesoreria alla Banca d'Italia, a decorrere dal 10 febbraio 1895 - a norma della convenzione 30 ottobre 1894 e del regio decreto 15 gennaio 1895, n. 16, il quale istituiva le sezioni provinciali di tesoreria e le delegazioni del tesoro incaricate del riscontro contabile e di cassa.
b) Compilazione del bilancio di previsione, contabilità relative agli accertamenti delle entrate e agl'impegni delle spese; compilazione del rendiconto generale; contabilità patrimoniali. A questo servizio furono destinate la ragioneria generale e le ragionerie centrali dei singoli ministeri.
c) Servizio del debito pubblico. Iscrizioni al nome e al portatore sul Gran Libro; trasferimenti al nome, tramutamenti al portatore; iscrizione e cancellazione di vincoli; pagamento e revisione delle cedole scadute; ammortamento dei debiti redimibili, estrazione di premî. Compilazione della situazione trimestrale dei debiti pubblici. Questo servizio fu affidato alla Direzione generale del debito pubblico.
d) Servizio d'ispezione alle banche di emissione per garantire l'esatta applicazione delle leggi sulla circolazione cartacea e sulle operazioni autorizzate.
Dopo la guerra mondiale quasi tutti gli stati civili adottarono vaste e generali riforme circa la circolazione monetaria e cartacea, la difesa delle riserve auree degli istituti di emissione, i prestiti pubblici, l'amministrazione e il controllo del pubblico danaro.
In Italia il governo fascista ha compiuto una vasta e organica riforma dell'amministrazione del pubblico tesoro, della quale i principali provvedimenti si possono riassumere come segue:
a) unificazione dell'azione finanziaria (tributaria e di tesoro), mediante la riunione dei due ministeri delle Finanze e del Tesoro, nonché dei dipendenti uffici centrali e provinciali (r. decr. 21 dicembre 1922, n. 1700);
b) riforma della legge e del regolamento sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello stato, per l'opportuno adeguamento delle disposizioni di legge alle nuove condizioni di fatto create durante e dopo la guerra mondiale (r. decr. 18 novembre 1923, n. 2440); e passaggio delle ragionerie centrali dei varî ministeri e delle amministrazioni statali autonome alla dipendenza del Ministero delle finanze, allo scopo di esercitare un riscontro finanziario più diretto;
c) decentramento di funzioni non direttive alle intendenze di finanza anche per quanto si riferisce al tesoro;
d) soppressione delle delegazioni del tesoro presso le sezioni di regia tesoreria provinciale, e istituzione di uffici di tesoro presso le intendenze di finanza, quale logico complemento alla riunione dei due ministeri e al decentramento finanziario (convenzione con la Banca d'Italia 13 giugno 1925, approvata con decreto ministeriale 16 giugno 1925, n. 12.428, giusta i poteri conferiti al governo col r. decr. legge 4 giugno 1925, n. 835);
e) compilazione e pubblicazione, in allegati al Conto mensile del tesoro, delle situazioni mensili: del bilancio, dei debiti pubblici, della circolazione monetaria, della Banca d'Italia.
Il conto mensile del tesoro.
Il documento più importante che pubblica il tesoro in Italia è il Conto mensile del tesoro, che rimonta all'antico regno di Sardegna, e che in origine era un semplice conto di debito e di credito, di carico e di scarico dei tesorieri e cassieri sottoposti a rendiconto verso l'antica Camera dei conti, destinato ad acclarare, mensilmente e annualmente, tutte le operazioni di cassa - sia di bilancio, sia di tesoreria - in contraddittorio con gli agenti.
Quando venne iniziata la pubblicazione di tale conto, esso aveva la forma di un riassunto dei varî prospetti contabili, compilati per uso interno dell'amministrazione, e non poteva riuscire di grande utilità per il pubblico, per il quale sarebbe occorso qualche cosa di più semplice, di meno tecnico e di più chiaro. Per molti anni questo documento fu trascurato anche dai cultori della pubblica finanza. Ma, in seguito alle importanti operazioni finanziarie e di tesoreria extra-bilancio, causate dalla guerra libica e dalla guerra mondiale, tutta l'attenzione degli studiosi si riversò sul Conto mensile del tesoro, che mostrava l'andamento reale e completo della situazione finanziaria. Le discussioni e i commenti, numerosi e discordi, che intervennero sopra questo documento, indussero il governo fascista ad alcune riforme chiarificatrici e a una pubblicazione (L. Pace, Note sul conto del tesoro, con prefazione del ministro delle Finanze, febbraio 1924).
Ciò nonostante, il Conto del tesoro continua a presentare difficoltà di lettura per la maggior parte dei lettori. Per ovviare a tale inconveniente si potrebbe adottare il sistema inglese, di compilare, cioè, per il pubblico, un conto diverso da quello che serve per l'uso interno dell'amministrazione del tesoro.
Presentemente il Conto del tesoro comprende i seguenti prospetti:
1. Movimento generale di cassa, che riassume gl'incassi e i pagamenti avvenuti durante quel dato periodo dell'anno finanziario, in conto entrate e spese di bilancio, e in conto debiti e crediti di tesoreria, e che presenta il fondo di cassa all'inizio e alla fine di quel dato periodo.
2. Situazione del tesoro, che dimostra il miglioramento (o peggioramento) verificatosi a causa degl'incassi e dei pagamenti di bilancio durante il periodo trascorso.
3. Situazione dei debiti e crediti di tesoreria (debito fluttuante, conti correnti con amministrazioni statali, incassi e pagamenti da regolare, anticipazioni e sovvenzioni), la quale presenta, per ciascun debito e credito di tesoreria, il saldo al 30 giugno dell'anno finanziario scaduto, gli aumenti, le diminuzioni e il saldo alla fine del periodo considerato.
4. Incassi di bilancio - distintamente per ciascuna voce di entrata, per la competenza dell'esercizio in corso, per i residui degli esercizî precedenti, nel mese ultimo e nell'intero periodo - posti a confronto con gl'incassi dell'anno finanziario precedente.
5. Pagamenti di bilancio, separatamente per ciascun ministero, per la competenza dell'esercizio in corso, per i residui degli esercizî precedenti, nel mese ultimo e a tutto il detto mese, posti in confronto con i relativi pagamenti dell'anno precedente.
6. Pagamenti di bilancio riassunti per titoli.
7. Elenco delle contabilità speciali in essere alla fine del periodo.
8. Elenco dei conti correnti infruttiferi in essere alla fine del periodo.
9. Elenco dei conti correnti fruttiferi in essere alla fine del periodo.
10. Situazione della circolazione metallica, distintamente per metalli e monete.
11. Situazione riassuntiva dei debiti pubblici interni, in confronto con quella al 30 giugno scorso, e con quella alla fine del mese precedente.
Il 1° prospetto "Movimento generale di cassa" è una sintesi del conto di cassa dello stato e del movimento del danaro. Il 2° prospetto "Situazione del tesoro" presenta i saldi al 30 giugno (scadenza dell'anno finanziario) e a tutto il mese del periodo considerato per le seguenti voci:1. fondo di cassa (all'inizio, alla fine, e quindi aumento o diminuzione); 2. crediti di tesoreria (all'inizio, alla fine, e quindi aumento o diminuzione); 3. debiti di tesoreria (all'inizio, alla fine, e quindi aumento o diminuzione); 4. situazione del tesoro (all'inizio, alla fine e quindi miglioramento [+] o peggioramento [−]). Questa 4a voce rappresenta, nelle due prime colonne, l'onere proprio della tesoreria, non compreso nella parte passiva del bilancio né fra i debiti patrimoniali dello stato; mentre nella terza colonna rappresenta il saldo attivo (+) o passivo (−) che risulta dal confronto fra gli incassi e i pagamenti per entrate e spese di bilancio (come si può rilevare dal 1° prospetto, 4a colonna, 1a cifra). Il 3° prospetto è la "Situazione dei debiti e crediti di tesoreria". Sono veri e proprî debiti della tesoreria quelli compresi nelle voci "Debito fluttuante", "Conti correnti" e "Contabilità speciali a favore di aziende pubbliche"; mentre i debiti compresi sotto la voce "Incassi da regolare" sono partite contabili destinate a venire gradualmente compensate o regolate. I saldi dei conti correnti e delle contabilità speciali rappresentano i fondi disponibili delle amministrazioni intestatarie, per le quali la tesoreria fa il servizio di cassa. Sono veri e proprî crediti della tesoreria quelli compresi sotto la voce "Anticipazioni", poiché si tratta di somme che dovranno essere restituite allo stato, mentre gli altri crediti sono partite contabili da regolare, sia per compensazione con gli "Incassi da regolare" compresi fra i debiti di tesoreria (come avviene, per es., nella lìquidazione dei crediti del contabile del portafoglio), sia con la regolazione di titoli provvisoriamente inevasi (come, per es., per i "mandati collettivi non interamente estinti" che potranno essere portati fra i pagamenti di bilancio solo quando tutti gl'intestatarî di ciascun mandato saranno stati pagati). Questo 3° prospetto è la sintesi della gestione della tesoreria. I prospetti 4°, 5° e 6° non hanno bisogno di chiarimenti. I prospetti 7°, 8° e 9° sono analisi delle voci rispettive comprese fra i debiti di tesoreria: contabilità speciali, conti correnti infruttiferi e conti correnti fruttiferi.
La circolazione metallica (bronzo, nichelio e argento) è compresa fra i debiti patrimoniali dello stato, e non fra i debiti della tesoreria (prospetto 10°).
La situazione riassuntiva dei debiti pubblici (prosp. 11°) comprende tanto i debiti patrimoniali quanto i debiti della tesoreria che costituiscono un vero e proprio carico verso terzi.
Il Conto del tesoro pubblica in allegato un "Riassunto della situazione di bilancio", dove sono esposte, tanto per le entrate, quanto per le spese: le cifre della prima previsione, le variazioni, la previsione definitiva, gli accertamenti, l'avanzo (+) o disavanzo (−) accertato durante il periodo considerato, e tutto ciò in confronto con le risultanze del corrispondente periodo dell'anno finanziario precedente.
Bibl.: G. De Flamini, La materia e la forma del bilancio inglese, Roma 1904; R. G. Hawtrey, The exchequer and the control of expenditure, Londra 1921; L. Pace, Note sul conto del tesoro, febbraio 1924; W. F. Willoughby, The National Budget System, Baltimora 1927; V. de Marcé, Le contrôle des Finances en France et à l'étranger, I, Parigi 1928, R. Stourm, Le budget, ivi 1900.
Per un buon commento mensile al Conto del Tesoro, v. M. Mazzucchelli, in Rivista bancaria.