Elementi essenziali del «giusto processo», costituzionalmente garantito (art. 111 Cost.), i requisiti della terzietà e dell’imparzialità del giudice garantiscono e tutelano la serenità, l’equilibrio, il distacco e l’indipendenza di giudizio del singolo giudice rispetto alle parti e all’oggetto della controversia.
Il giudice terzo è quello che si pone in una posizione di assoluta indifferenza e di effettiva equidistanza dalle parti contendenti. Per essere terzo e imparziale il giudice non deve: avere un interesse nella causa; essere parente fino al quarto grado, convivente o commensale abituale di una delle parti o dei difensori; avere una causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o i difensori; essere tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; aver dato consiglio o prestato patrocinio nella causa o avervi deposto come testimone o averne conosciuto come magistrato in altro grado del processo, per evitare di subire la c.d. “forza della prevenzione”, ossia quella “naturale tendenza a mantenere un giudizio già espresso o un atteggiamento già assunto in altri momenti del medesimo procedimento” (C. cost.). Se ricorre una delle citate ipotesi, tassativamente previste, il giudice, su istanza di ciascuna delle parti, può essere ricusato ed ha l’obbligo di astenersi, mentre ha la facoltà di astenersi se sussistono “gravi ragioni di convenienza” (art. 51 c.p.c.).
Terzietà e imparzialità del giudice sono garantite anche: dalle norme sulla sua incompatibilità, dalla limitazione dei casi della sua responsabilità civile, dalla predeterminazione legislativa delle regole di competenza ai fini dell’individuazione del “giudice naturale”, dall’inamovibilità del giudice e dalla sua autonomia e indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato e rispetto ai suoi colleghi, dalla soggezione del giudice soltanto alla legge, dal principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.