Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella filosofia scolastica l’origine delle forme dei corpi composti è uno dei problemi maggiormente dibattuti nel XIII e XIV secolo. Si tratta di stabilire cosa accade alle forme dei quattro elementi nei corpi misti e come è introdotta la forma del composto. La teoria dei minimi naturali, ovvero le parti più piccole in cui un corpo può essere ridotto senza che scompaia la sua forma, costituisce un tema di discussione che facilita il recupero di concezioni corpuscolari, che erano state confutate da Aristotele. Benché marginali, nel Medioevo si levano alcune voci a favore della concezione atomistica della materia. La più significativa è quella dell’occamista Nicola d’Autrecourt.
Nella fisica aristotelica la materia costituisce uno dei tre principi, insieme a forma e privazione. Intesa come materia prima, essa è pura potenzialità, in sé indeterminata, in quanto ogni sostanza è unione (sinolo) di materia e forma. Oltre a essere definita in termini negativi, la materia prima aristotelica è definita anche come sostrato (substratum, ciò che giace sotto) comune a tutti i corpi; è ciò che permane ed è determinabile da qualsiasi forma. Essa è anche principio di individuazione: è la materia che individua la forma, è ciò che fa sì che un determinato cavallo sia differente da un altro cavallo. La forma è transeunte e determinante, è ciò per cui qualcosa è ciò che è. Ad esempio, la forma fa sì che un certo animale sia un cavallo e non un cane. Il terzo principio è la privazione, principio di cambiamento in ogni ente, è ciò che induce la materia ad acquisire una nuova forma in un soggetto che già ne abbia una. Nel mondo sublunare la materia prima si determina in quattro coppie di qualità, ovvero le qualità primarie: caldo, freddo, secco e umido. Da ogni coppia di qualità si formano i quattro elementi: fuoco (caldo e secco), aria (caldo e umido), acqua (freddo e umido), terra (freddo e secco). Tutti i corpi del mondo terrestre sono formati dalla combinazione dei quattro elementi, e in essi possono essere nuovamente risolti. Le differenti proporzioni in cui sono presenti gli elementi determinano le proprietà sensibili dei corpi.
Il corpo composto (misto) si genera dai quattro elementi attraverso l’azione delle due qualità attive (caldo e freddo), nonché attraverso l’introduzione di una nuova forma. Nella filosofia scolastica i quattro elementi sono i costituenti ultimi dei corpi naturali, ma, in quanto sostanze fisiche, sono essi stessi formati di una forma e di una materia: una materia prima, priva di qualità e puramente potenziale, e una forma sostanziale. La dottrina della forma sostanziale è centrale nella filosofia scolastica – molto più che in Aristotele e nei primi commentatori. La forma sostanziale in sé non possiede la capacità di agire, ma opera solo attraverso le forme accidentali (a essa subordinate). Aristotele definisce attive solo il caldo e il freddo (il primo separa, il secondo unisce), passive il secco e l’umido. I filosofi della natura scolastici sostengono invece che tutte e quattro le qualità primarie possono essere sia attive che passive. Le qualità seconde di un misto si dividono in due gruppi: quelle tattili (pesante e leggero, denso e raro, ruvido e liscio, duro e molle), che derivano direttamente dalla forma sostanziale, e gli odori, sapori e colori, che derivano da una mescolanza delle qualità primarie; i suoni derivano invece dal moto locale. Nella concezione scolastica i quattro elementi possono trasformarsi gli uni negli altri, ovvero la stessa porzione di materia che in un primo momento aveva la forma della terra può successivamente assumere la forma dell’acqua. Sia nel caso delle forme sostanziali degli elementi che in quello dei composti l’introduzione di una forma sostanziale richiede sempre la distruzione della forma precedente.
Un corpo misto, ovvero un composto e non un semplice miscuglio, ha origine a partire dalle quattro qualità primarie, mentre la forma sostanziale viene introdotta successivamente. Il modo in cui gli elementi sono presenti nel composto e l’origine della forma del misto sono problemi fondamentali della filosofia scolastica del XIII e XIV secolo. Mentre il ruolo della materia non presenta difficoltà – gli elementi entrano nel misto e la loro materia diviene materia del corpo che compongono – per la forma sorgono dei problemi, poiché è difficile spiegare come le forme degli elementi rimangano nel misto e quale sia il rapporto tra le forme dei quattro elementi e la forma del composto.
Nella filosofia araba sono presenti due principali soluzioni del problema della forma del corpo misto. Secondo Avicenna, le forme degli elementi rimangono immutate nel composto, mentre le loro qualità (che derivano dalle forme) subiscono un indebolimento (remissio). Le qualità degli elementi non generano la forma del misto, ma determinano la disposizione necessaria perché sia introdotta la forma sostanziale del misto. In una materia debitamente disposta il Dator formarum, un’intelligenza celeste che conferisce le forme, introduce la nuova forma, che si aggiunge alle forme sostanziali dei quattro elementi.
Averroè sostiene invece che non solo le qualità ma anche le forme degli elementi subiscono un indebolimento e permangono nel composto come forme diminuite (formae remissae). Secondo Averroè la forma del composto è una forma media, che deriva dalle forme indebolite dei quattro elementi. La concezione di Averroè va però incontro a un’obiezione: per Aristotele, le forme non subiscono alcun aumento o diminuzione; le forme sono come numeri, ogni mutamento ne modifica la specie. Un cavallo non è più cavallo di un altro cavallo, né lo è maggiormente in un momento anziché in un altro, mentre può essere più caldo o più freddo di un altro. La filosofia scolastica esclude che le forme possano subire un indebolimento, mentre ammette che ciò possa avvenire per le qualità.
Tommaso d’Aquino afferma che le forme sostanziali degli elementi non permangono nel misto in atto, ma solo in potenza, mentre le quattro qualità prime entrano nel composto. Si genera così, a partire dalle qualità degli elementi, una qualità media, che prepara l’introduzione nella materia della forma del misto. La concezione tomista non costituisce la sola soluzione del problema del composto e della sua forma sostanziale. Ruggero Bacone ritiene che la forma del misto non proviene dall’esterno a opera di un influsso celeste, ma ha origine dalla potenza della materia. Di particolare interesse, anche se non ha molto seguito, è la teoria del francescano Pietro Aureolo, per il quale la forma del misto è composta dalle forme elementari, che, perdendo alcune loro caratteristiche, si uniscono in una forma indivisibile e omogenea. Non si pone quindi la necessità di introdurre una nuova forma sostanziale.
Secondo i filosofi aristotelici ogni sostanza è quantitativamente determinata entro un limite massimo e un limite minimo. Ciò è abbastanza evidente per gli esseri viventi: un albero, un animale, un uomo, possono esistere solo all’interno di determinate dimensioni. Anche per i cosiddetti corpi omogenei, sia semplici (elementi) che misti (ad esempio la carne, il latte), esiste un limite minimo e massimo. Il limite massimo è dato dalla finitezza della materia del mondo, il minimo dalla natura stessa della materia: se si oltrepassa un determinato limite nella divisione di una sostanza, quest’ultima cessa di esistere. Si tratta di una divisione teorica, non fisica, e il minimo di un corpo non ha esistenza reale, ma è un limite alla divisione.
La dottrina dei minimi naturali (minima naturalia) sembra contraddire il principio aristotelico della infinita divisibilità del continuo fisico-materiale. Differenti soluzioni sono proposte nel XIII secolo: Alberto Magno afferma che, benché nel continuo matematico non si debba postulare un minimo, nei corpi fisici bisogna postulare una parte così piccola (ad esempio di carne) che una parte minore non avrebbe più i suoi caratteri. Simile la soluzione fornita da Tommaso d’Aquino, che distingue la divisione in senso matematico dalla divisione dei corpi naturali: un corpo inteso in senso matematico è divisibile all’infinito, ma un corpo naturale non lo è. Se un corpo è inteso in senso matematico e si considera quindi solo la quantità, nulla si oppone alla divisione; ma nel corpo naturale, inteso in senso fisico, la forma richiede una quantità determinata di materia, al di sotto della quale non può esistere. Ruggero Bacone sostiene che le sostanze continue siano illimitatamente divisibili, ma, al di sotto di un certo limite, perdono la loro capacità di agire in quanto non sono in grado di resistere alle forze esterne che agiscono su di esse. La concezione di Bacone è ripresa da un altro francescano inglese, Riccardo di Mediavilla: Dio potrebbe dividere il fuoco in parti così piccole che non potrebbero bruciare altre sostanze, né stimolare i sensi.
In questo modo egli ammette l’esistenza di particelle minime separate dall’intero. È questa un’affermazione difficilmente accettabile dai filosofi scolastici, perché potrebbe aprire la strada alla teoria corpuscolare della materia, negata da Aristotele. Una prima ammissione dell’esistenza fisica dei minimi si trova in Averroè, secondo il quale il minimo è la prima cosa che esiste quando una sostanza è generata e l’ultima quando una sostanza è distrutta; esso non è un puro e semplice limite concettuale, ma ha esistenza fisica e, a suo avviso, i processi chimici hanno luogo tra minimi. Gli scotisti del XIV secolo, come Walter Burley, ammettono l’esistenza fisica dei minima limitatamente alle sostanze organiche. I nominalisti, come Giovanni Buridano, sostengono che sotto un determinato limite di grandezza una sostanza (semplice o composta che sia) non è più stabile. Alberto di Sassonia pone invece l’accento sulle condizioni e le forze che operano su una determinata sostanza, sostenendo che non c’è un minimo assoluto, ovvero una dimensione fissa sotto la quale una sostanza cessa di esistere e che il minimo non è determinabile se non in relazione alle condizioni esterne.
Occorre sottolineare che la dottrina aristotelico-scolastica dei minimi presenta alcune differenze – e non di poco conto – rispetto alla concezione atomistica di origine democritea. 1. I minima naturalia hanno proprietà di tipo qualitativo (le qualità della sostanza di cui sono parti minime), mentre gli atomi democritei hanno solo proprietà quantitative (forma, grandezza, moto). 2. I minimi reagiscono gli uni con gli altri subendo alterazioni interne, mentre la spiegazione atomistica del mutamento chimico suppone l’aggiunta o sottrazione di particelle non divisibili né modificabili, nonché un mutamento della loro disposizione reciproca.
Benché generalmente criticato dai filosofi cristiani per ragioni filosofiche e teologiche, l’atomismo è adottato da alcuni filosofi e scienziati arabi del IX e X secolo, quali i Mu’tazili, attivi a Bassora (Iraq) e il medico persiano al-Razi. I primi sostengono che i corpi sono composti di particelle di materia non divisibili, atomi dotati di moto o quiete, Razi sostiene che le proprietà dei corpi derivano dalla proporzione tra atomi e spazi vuoti. Anche tra i cristiani sono presenti, benché sporadiche, alcune voci a favore della teoria atomistica della materia. Guglielmo di Conches adotta una concezione corpuscolare della materia – i suoi corpuscoli sono dotati di forme e qualità –, ma nega che particelle atomiche si aggreghino per dar luogo a quattro elementi. Maggiori aperture nei confronti dell’atomismo si trovano nelle opere di Nicola d’Autrecourt, seguace di Guglielmo di Ockham e critico della filosofia di Aristotele. Egli asserisce che le forme sostanziali derivano da differenti aggregazioni e moti di particelle indivisibili di materia. Concezioni corpuscolari sono presenti in una delle principali opere dell’alchimia medievale, la Summa Perfectionis dello pseudo -Geber, scritta da Paolo di Taranto, un alchimista attivo intorno alla metà del Duecento. L’autore della Summa descrive la combinazione chimica dei corpi come un processo che ha luogo a livello delle parti minime dei corpi (minimae partes). Le parti minime dei quattro elementi si uniscono per formare lo zolfo e il mercurio, le due sostanze di cui – secondo la concezione alchemica – sono composti tutti i metalli.