ebraica, teoria economica
Filosofie economiche alla base della tradizione ebraica, di cui il Talmud, la raccolta millenaria della giurisprudenza rabbinica, rappresenta una fonte privilegiata d’informazione.
In alcuni casi l’impostazione prevalente non rimane costante. Per es., nell’antichità, quando si trattava di decidere se proteggere alcuni negozianti dall’ingresso di nuovi operatori nel loro mercato geografico, prevaleva generalmente l’opinione dei rabbini che argomentavano a favore della concorrenza. In epoca medievale, soprattutto nell’Europa centrale, era spesso vietato l’esercizio di attività e mestieri ai non residenti quando, in considerazione delle specifiche condizioni economiche dei mercati locali, si riteneva che non potesse essere garantita la sopravvivenza di una pluralità di operatori. Tuttavia, le fonti rabbiniche hanno sempre promosso la concorrenza nell’insegnamento della Torah, il Pentateuco. I rabbini che nel corso dei secoli svolgevano la funzione di guida all’interno delle loro comunità avrebbero potuto restringere a un gruppo specifico, in particolare a sé stessi, l’attività di insegnamento, creando un monopolio a loro vantaggio. Peraltro, questa era stata la scelta effettuata per i sacrifici, affidati dalla Torah in esclusiva alla casta sacerdotale. Viceversa il Talmud riconosce esplicitamente il ruolo positivo della concorrenza, chiarendo che il timore di ciascun insegnante che un rivale lo superi lo spinge a dedicare uno sforzo più intenso all’insegnamento, con la conseguenza benefica che una maggiore conoscenza viene disseminata.
L’importanza degli incentivi nella tradizione ebraica si riflette anche nelle indicazioni sulle forme di redistribuzione del reddito volte a sostenere i meno abbienti. Il filosofo, medico e giurista ebreo spagnolo Maimonide (1135-1204) suggeriva infatti che la forma migliore di assistenza ai poveri non è fare l’elemosina, ma dare loro un lavoro o fare loro un prestito. Lavorando, un individuo contribuisce alla società e acquista una maggiore dignità. Accettare denaro per un lavoro completato non è imbarazzante, ma, al contrario, è ragione di orgoglio. Allo stesso modo, dare un prestito a una persona, sia pure senza richiedere il pagamento di un interesse come indicato dalla Torah per i propri correligionari, segnala la fiducia del creditore e promuove comportamenti virtuosi. Peraltro, il divieto di prestare a interesse, limitato nella Torah ai soli ebrei e fatto proprio dalla religione cattolica erga omnes, ha condotto gli ebrei a specializzarsi nell’attività di prestito (non essendo essi soggetti ai divieti della Chiesa ed essendo loro proibite innumerevoli altre occupazioni).
Il contributo del popolo ebraico allo sviluppo del capitalismo trae soprattutto origine dal ruolo propulsivo del commercio svolto dagli ebrei espulsi dalla Spagna nel 1492. Le comunità sefardite che si formarono nel Cinquecento in Europa, nell’Impero Ottomano e nel Nuovo Mondo svilupparono rapidamente una complessa doppia identità, basata sull’attaccamento alla tradizione religiosa ebraica, associato contemporaneamente a un profondo senso di appartenenza al Paese di residenza. Come conseguenza naturale di questo processo identitario, gli ebrei sefarditi erano pienamente integrati nel mondo che li circondava, soprattutto nei Paesi dell’Impero Ottomano di religione mussulmana, e la comune origine spagnola favoriva lo sviluppo di una sofisticata rete di rapporti che legava ebrei e neocristiani tra loro, in una fitta rete di scambi commerciali che la fiducia reciproca consentiva e promuoveva. Diversa è la storia delle comunità ebraiche dell’Europa centrale, le quali vissero pressoché isolate fino ai primi del Settecento. Ciò è ricavabile anche da numerosi scritti rabbinici del Cinquecento e del Seicento che non approvavano l’accumulazione della ricchezza né auspicavano il lavoro (diverso dallo studio). Delle 12 ore di lavoro giornaliero che Maimonide suggeriva che ogni uomo dovesse svolgere, solo 3 erano dedicate al sostentamento personale, mentre le altre 9 alla esegesi dei testi sacri.
Nello stesso periodo alcuni autori cominciarono a sostenere che il commercio fosse un’attività eticamente superiore al lavoro manuale perché basato sulla fiducia negli altri e in grado di promuovere la cooperazione tra le persone. L’emergere di nuove opportunità di sviluppo accompagnava così la stessa evoluzione dell’etica. Tuttavia, a differenza dei luoghi d’insediamento delle comunità sefardite, dove agli ebrei veniva garantita un’ampia possibilità di commercio, nell’Europa centrale era quasi ovunque permesso agli ebrei commerciare soltanto in stracci e bestiame e fornire credito. Scarse quindi erano le opportunità di attività. Solo nel Settecento la liberalizzazione degli accessi ai diversi campi economici investì anche le comunità ebraiche, ma da allora la storia economica degli ebrei è parte integrante di quella dei Paesi di residenza.