bancaria, teoria
Teoria del ruolo e delle funzioni da assegnare alle banche al fine di permettere il migliore funzionamento possibile del sistema monetario e creditizio, in tensione fra stabilità ed efficienza. Il dibattito teorico risale, almeno, allo scontro fra la scuola bancaria (Banking School) e quella valutaria o monetaria (Currency School) in Inghilterra nel 19° sec., ed è ancora di attualità. Tocca numerosi temi interconnessi, fra cui la creazione di moneta da parte delle banche, l’esistenza e la funzione della banca centrale (➔).
Secondo la scuola valutaria, condizione necessaria per la stabilità dei prezzi e del sistema finanziario è che l’emissione di moneta da parte delle banche sia garantita da una riserva d’oro di uguale valore, e quindi l’offerta monetaria sia fissa lungo il ciclo economico. Al contrario, secondo la scuola bancaria, le restrizioni all’emissione di moneta sono inefficienti; le banche devono essere libere di adeguare l’offerta a variazioni della domanda, detenendo riserve pari a una frazione della quantità di moneta e permettendo l’espansione del credito. In base a questa teoria, un aumento della quantità di denaro non è causa di inflazione se essa viene garantita, nel bilancio bancario, da un incremento equivalente di titoli a basso rischio, in particolare, come suggerito da A. Smith, cambiali commerciali a breve termine (da cui il nome di dottrina delle cambiali commerciali, real bills doctrine).
La teoria delle cambiali commerciali del 19° sec. è strettamente connessa alla possibilità, da parte delle singole banche, di emettere la propria moneta in un regime concorrenziale, come suggerito dalla scuola del free banking (➔ banking), secondo cui la concorrenza tra banche avrebbe frenato l’emissione di moneta in eccesso. Tuttavia il controllo dell’offerta di moneta, propugnato dalla scuola valutaria, è generalmente associato alla presenza di una banca centrale, unica emittente di moneta a corso legale. Fu questo l’orientamento preso in Inghilterra dalla legge b. del 1844, varata dal primo ministro R. Peel, che assegnò il diritto monopolistico di stampare moneta alla Banca d’Inghilterra, con garanzia totale (pari al 100% del valore) sotto forma di riserve auree e, in parte, di titoli del debito pubblico. Allo stesso tempo, la legge b. mantenne il regime di riserva frazionaria, permettendo alle banche di creare moneta tramite l’apertura di depositi (➔ deposito bancario), garantiti solo parzialmente da riserve (➔). La stessa suddivisione è alla base del sistema monetario contemporaneo. La moneta legale, emessa dalla banca centrale, è detta anche moneta fiat o esterna (outside money), perché rappresenta un asset detenuto dal settore privato nel suo complesso; la moneta b. è, invece, una moneta interna (inside money), perché è garantita da crediti privati detenuti all’interno del settore privato stesso, ossia in offerta netta nulla (➔ moneta).
Il dibattito sulla regolamentazione del portafoglio delle banche è rimasto attuale nel corso del tempo, a discapito dell’evoluzione delle forme di passività b., da cambiali commerciali, a titoli del debito sovrano, fino a titoli garantiti da mutui ipotecari (➔ MBS), e delle stesse attività, da banconote e depositi a quote di fondi comuni di investimento monetari (➔ fondo comune di investimento).
Proposte di maggiore regolamentazione del settore rientrano sotto il nome di narrow banking (➔ banking). L’obbligo di detenere riserve pari al 100% dei depositi, in particolare, è stato riproposto da L. von Mises e dalla scuola austriaca (➔ austriaca, scuola), all’interno di un regime di free banking, e dal piano bancario ideato dalla scuola di Chicago (➔ Chicago, scuola di) in seguito alla grande depressione (➔), che, al contrario, manteneva il ruolo della banca centrale. Il piano non fu recepito dalla legge b. del 1935, che però introdusse vincoli alle attività b., separando banche commerciali e di investimento, e instaurò l’assicurazione dei depositi.
All’estremo opposto, la dottrina delle cambiali commerciali, in regime di free banking o implementata da una banca centrale disposta a comprare titoli di debito commerciale, è stata ritenuta erronea, fra gli altri, da M. Friedman e la scuola monetarista, perché non in grado di determinare l’offerta di moneta, e poi riabilitata da J. Tobin, in parte, e dall’analisi di equilibrio generale di N. Wallace e T. Sargent. Questi ultimi hanno costruito un modello teorico in cui l’implementazione della dottrina delle cambiali commerciali è efficiente, ma comporta instabilità dei prezzi; l’obbligo del 100% di riserve, al contrario, assicura prezzi stabili al costo di separare in modo inefficiente i mercati della moneta e del credito.