CUTOLO, Teodoro
Nato a Napoli il 4 genn. 1862 da Carlo e da Antonietta Giannone, si formò nell'azienda paterna, una società di rappresentanza di prodotti agricoli e industriali con sede in via Calzettari alla Corsea (Gambella). Nell'ultima decade dell'Ottocento la sua specializzazione, all'interno della Carlo Cutolo e figli, nel commercio di ferro e di ferramenta (Rivista economica, XXII, [1898], 43, p. 353), è da collegare agli stretti rapporti di affari, suoi e di suo padre, con l'industriale e fintanziere israelita Massimo Levi, che nel 1882 aveva dato vita ad un piccolo stabilimento con un centinaio di operai nella periferia orientale di Napoli, nella località denominata Mulino dell'Inferno, per la produzione di punte di Parigi, fili di ferro e fili zincati per la viticultura e per linee telefoniche e telegrafiche (Trevisani; Rispoli). Ma la vera svolta nella storia degli affari di famiglia fu costituita, alla fine del secolo XIX, dall'acquisto del pacchetto di controllo della Banca popolare di Napoli e di una partecipazione nella Società di assicurazioni diverse (S.A.D.). La prima era un'anonima costituita a Napoli il 26 ag. 1882 a rogito del notaio Francesco Scotti (Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, Roma 1882, parte supplementare, pp. 746 ss.), che nel 1899 si era trasformata in una banca di credito industriale (Boll. uff. d. soc. per azioni, XVII [1899], I, 51, pp. 41 ss.); la seconda era uno dei più antichi istituti di credito napoletani, noto anche come Banca Filangieri, che aveva subito varie metamorfosi dall'anno della sua fondazione avvenuta nel 1824 e da ultimo era passata dalle mani di una sclerotica aristocrazia a quella di una dinamica borghesia affaristica, che l'aveva trasformata in una vera e propria banca mista, lanciata in ardite operazioni di carattere mobiliare e finanziario. Fu grazie al sostegno della S.A.D. che Massimo Levi, Carlo Cutolo e il C., affiancati da un piccolo gruppo di finanzieri e speculatori, riuscirono ad impadronirsi di tutti i gangli vitali dell'economia di Torre Annunziata.
La città vesuviana, con i suoi circa 30.000 abitanti, si presentava tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento come uno dei centri più attivi dell'arco orientale del golfo di Napoli. Con i suoi quarantasette mulini e pastifici a vapore e a gas, cui si aggiungeva un numero considerevole di piccoli mulini a mano, una ferriera di notevoli dimensioni di proprietà della Società ferriere italiane, un indotto particolarmente numeroso (tipografie, stabilimenti meccanici, fabbriche di cassette di legno, compagnie di scaricatori, appaltatori di lavori di manutenzione, gasometro ecc.) era al centro di un complesso urbano che, senza soluzioni di continuità, iniziava dalla periferia orientale di Napoli e, attraverso San Giovanni a Teduccio, Portici e Torre del Greco, aveva termine a Castellammare di Stabia. La conurbazione era caratterizzata da un tessuto industriale di relativa densità, rappresentato con efficacia e aderenza alla realtà dallo scrittore Carlo Bernari nel suo romanzo Tre operai (Milano 1934), ambientato negli epicentri della conurbazione stessa (San Giovanni a Teduccio, Torre Annunziata e Castellammare di Stabia) nella seconda decade del Novecento.
Scossa alla fine del secolo da una grave crisi di carattere soprattutto finanziario, causato dagli enormi debiti contratti per l'ammodernamento degli impianti, l'industria molitoria e pastaria torrese, condotta ancora con sistemi familiari, era sull'orlo dei tracollo, quando intervennero la S.A.D., Levi, Carlo Cutolo e il C., i quali, insieme con altri due o tre personaggi, procedettero ad una riorganizzazione di tutto il settore. Essi rilevarono i debiti e costituirono cinque società anonime (Boll. uff. d. soc. per azioni, XIX [1901], I, 13, pp. 184 ss.; 25, pp. 17 ss.) con cui assunsero l'esercizio degli impianti più validi (De Nicola, Cirillo e C.; Agostino Montella e figli; Manzo, Jennaco e altri; Gaetano Fabbrocino e altri, Francesco Cirillo e altri) e, con un sistema molto simile a quello del leasing, tenendo distinta la personalità giuridica degli amministratori da quella della proprietà, se ne assunsero l'onere organizzativo e finanziario, chiamando in qualche caso la proprietà solo alla direzione tecnica delle aziende (E. Capuano, Intuito economico nella crisi torrese, in Rass. ital. industriale..., VIII [1900], 5, pp. 113-117; M. Levi, Torre Annunziata, ibid., X [1902], 3, pp. 343-354; Reale Commissione per l'incremento industriale di Napoli, Relazione, Napoli 1903, p. 234). Nel 1902 i Cutolo, padre e figlio, costituirono anche un'anonima per il commercio dei cereali con sede a Napoli e succursale in Torre Annunziata (Società commissionaria agricola e industriale, in Boll. uff. d. soc. per azioni, XX [1902], I, 44, pp. 12 ss.).
Il controllo dell'industria pastaria da parte del C. e del gruppo fu solo un momento di una manovra a più largo raggio che tendeva ad impadronirsi di tutte le leve economiche della cittadina vesuviana. Tale manovra si sviluppò con il controllo parallelo dell'acquedotto (Zahigkeit, L'acquedotto di Torre Annunziatá e la Società anonima di S. Maria delle Foci, in Rass. ital. industriale..., X [1902], 73 pp. 302-306; Boll. uff. d. soc. per azioni, XVIII [1900], I, 23, pp. 163 ss.), con la trasformazione della Società anonima ferroviaria Napoli-Ottaiano (che gestiva l'omonimo tronco a scartamento ridotto e a trazione a vapore fino a San Giuseppe Vesuviano, inaugurato nel 1898 su una lunghezza di Km 23,550) nella Società anonima strade ferrate secondarie meridionali. Questa trasformazione seguiva l'autorizzazione alla costruzione di un nuovo tronco, che, utilizzando la tratta comune Napoli-Barra, doveva raggiungere Poggiomarino passando per Torre Annunziata. La società aveva ottenuto anche il prolungamento fino a Sarno della linea attivata, in modo da congiungere in un anello tutti i paesi alle falde del Vesuvio (di qui il nome di Circumvesuviana con cui la società fu nota al grosso pubblico).
Le nuove linee ferroviarie in progetto dovevano rispondere soprattutto a due scopi: rendere più rapidi ed economici i collegamenti fra Torre Annunziata e il capoluogo, rompendo il monopolio della Società delle strade ferrate del Mediterraneo che era concessionaria dell'esercizio del vecchio tronco costruito dai Borboni, il cui servizio era sottoposto a durissime critiche dagli industriali locali (si veda l'intervento del C. all'Associazione dei commercianti e degli industriali di Napoli, di cui era consigliere, nella seduta del 22 nov. 1899, in Rass. ital. industriale..., VIII [1900], 1, p. 116); applicare la trazione elettrica al nuovo tronco nella tratta Napoli-Valle di Pompei. Si veniva così a realizzare un intreccio di interessi fra industrie del trasporto e industria elettrica, sorrette dalle stesse forze finanziarie, sicché si spiega bene la decisione del Consiglio di amministrazione della Società delle strade ferrate secondarie meridionali di affidare alla Società meridionale di elettricità, fondata nel 1899, con il sistema del forfait, la costruzione della nuova linea, il prolungamento della vecchia, gli espropri, la fornitura del materiale fisso e mobile e di ogni altro accessorio (Boll. uff. d. soc. per azioni, XIX [1901], I, 52, pp. 171 ss.).
In tutta questa vicenda il C., oltre ad apparire come sindaco della Società delle strade ferrate secondarie meridionali, figurava nel Consiglio di amministrazione della Società napoletana per imprese elettriche ad alcuni anni dalla sua fondazione, avvenuta nel 1899 (Credito italiano, Notizie statistiche sulle principali società per azioni, Roma 1910, p. 208), e come il più grosso azionista ed amministratore della Società per applicazioni di energia elettrica costituita nel 1903 con sede in Torre Annunziata (Boll. uff. d. soc. per azioni, XXI [1903], I, 21, pp. 35 ss.). Con la costituzione di quest'ultima società veniva completato il controllo di tutte le industrie dei servizi della cittadina vesuviana nella prospettiva non solo di produrre e distribuire energia elettrica per i consumi domestici, ma di sostituire con forza motrice elettrica i motori dei molini e pastifici gestiti. L'esercizio di questi ultimi si rilevava molto più difficile del previsto: quei problemi di natura soggettiva, dovuti alla conflittualità dei lavoratori, secondo il Levi, "vittime delle illusioni di pochi facinorosi" (Levi, cit., p. 346), furono ingigantiti dal C., che aveva assunto la presidenza dell'Associazione degli industriali di Torre Annunziata e che si addossò l'onere dell'elaborazione di una nuova linea politica delle categorie che rappresentava, anche nell'interesse dei capitali che aveva investito nell'industria molitoria e pastaria.
I capisaldi di tale politica si riassumevano in primo luogo nell'intervento della forza pubblica e delle autorità di governo per reprimere gli scioperi e intimidire i dirigenti della locale Camera del lavoro, aderente alla Confederazione generale del lavoro; quindi nel licenziamento della mano d'opera ritenuta esuberante; infine nell'aumento della produttività con un nuovo regolamento interno. Questa strategia, sostenuta soprattutto dal Mattino, che nel 1903 era passato nelle mani del C. (celato dietro le anonime costituite per l'esercizio dei pastifici) e in quelle dei suoi amici, riuniti in una Società editrice meridionale (Boll. uff. d. soc. per azioni, XXI [1903], I, 36, pp. 66 ss.; F. Barbagallo, pp. 102 s.), fu abbozzata già dopo una sommossa contadina scoppiata a Torre Annunziata il 3 1 ag. 1903, che causò tre morti (Il Mattino, 2-3 sett. 1903), ma fu enunciata e portata avanti con un insolito vigore dopo uno sciopero di protesta dei battellieri e scaricatori di porto contro l'entrata in funzione dei Magazzini generali, che con moderni impianti di aspirazione scaricavano il grano direttamente dalle stive delle navi nei loro silos (13 apr. 1904).
Quando lo, sciopero divenne generale per l'adesione di tutti gli operai dell'arte bianca contro il licenziamento di 106 lavoratori, contro l'introduzione di un nuovo regolamento di fabbrica e l'entrata in vigore di nuove tariffe per il cottimo, gli industriali risposero con la serrata, e, animati dal C., resistettero per settantadue giorni alla pressione della piazza. Alla fine, pur facendo alcune concessioni, ebbero partita vinta sul riconoscimento del loro diritto alla piena e completa disponibilità della mano d'opera, nonché all'introduzione di un regolamento di disciplina che vincolasse gli operai alla subordinazione e al rispetto dei ritmi produttivi imposti dalle aziende (Il Mattino, 23-24 giugno 1904).
Nella sua qualità di principale esponente dell'economia e dell'organizzazione degli industriali di Torre Annunziata, il C. fu il più vigoroso sostenitore della fondazione di un'industria siderurgica a ciclo integrale nel Napoletano. Sollecitato quasi certamente dalla Società ferriere italiane, che aveva in programma la costruzione di un altoforno a coke nelle Ferriere ed acciaierie del Vesuvio, già ricordate, che fondevano soltanto rottame, il C., con competenza di addetto ai lavori, scrisse sul Mattino del 2-3 ag. 1903 un articolo in cui attaccò il monopolio del minerale elbano da parte dei Genovesi ed affermò che senza una moderna industria siderurgica era illusorio attendersi una vera ripresa industriale di Napoli. A provocare tale articolo era stato il disegno di legge governativo sul "risorgimento economico" di Napoli, il quale non prevedeva alcuna agevolazione nel settore che premeva al C., e l'intervento di questo suonava come un invito al governo a colmare la lacuna. Dell'articolo, firmato solo con l'iniziale del cognome (in omaggio ad una scelta dell'anonimato e della riservatezza che contraddistinse il C. per tutta la vita), era noto l'autore nella ristretta cerchia degli amici, tant'è che Marco Rocco, uomo politico ed azionista della Banca popolare di Napoli, nella seduta del 4 Sett. 1903 del Consiglio provinciale, facendo esplicitamente allusione al C., come ad "un esperto industriale della nostra città, uno di quei pochi presaghi dell'avvenire ed intelligente conoscitore delle forze nostre latenti", gli attribuì il merito di aver "richiamato, per mezzo della stampa locale, l'attenzione dei corpi costituiti sui mezzi più sicuri per conseguire il fine agognato di dare un largo e promettente sviluppo alle industrie siderurgiche" (Betocchi, p. 118).
Sottoposto alla pressione congiunta della stampa locale, della Camera di commercio e delle forze politiche ed economiche, il governo inserì nel disegno di legge un articolo aggiuntivo, il 16 (diventato 17nel testo definitivo della legge n. 351, 8 luglio 1904), che imponeva alla società concessionaria delle miniere elbane di riservare una parte del minerale, fino ad un tetto di 200mila tonnellate, agli industriali "aventi stabilimenti nelle provincie meridionali ed a preferenza in quella di Napoli". Quest'ultima dizione suonava abbastanza anomala in una legge che prevedeva incentivi solo per le industrie entro il perimetro del comune di Napoli e delle sue immediate adiacenze ("zona franca") e fu interpretata come una vittoria della Società ferriere italiane contro i Genovesi del gruppo Elba e Terni (Atti parlamentari, Camera, leg. XXI, Discussioni, pp. 14.804-13, 14.882-84; Mori, pp. 166-168).In realtà la Società ferriere sarebbe rimasta senz'altro soccombente nella guerra che l'opponeva ai Genovesi senza l'intervento del C. e dei suoi amici, particolare che fu del tutto ignorato nella polemica che si accese a livello nazionale. Tuttavia lo scontro fra i due gruppi si risolse in una intesa con la costituzione fifty-fifty nel 1905 dell'Ilva e con la conseguente decisione della nuova società di costruire l'altoforno non più a Torre Annunziata, ma a Bagnoli. Dell'Eva il C. divenne prima sindaco (1909), quindi amministratore, nell'anno stesso dell'attivazione dell'altoforno di Bagnoli e della costituzione del trust siderurgico (1911), infine (1913) uno degli amministratori delegati, chiamato anche a fare parte della Società ferro-acciaio, fondata dal trust nel 1911 per controllare il mercato dei suoi prodotti (Fatica, p. 10).
Fece parte del gruppo degli amici napoletani di Antonio Salandra (succeduto nel marzo 1914 a Giolitti nella presidenza del Consiglio) i quali si adoperarono, senza molto successo, per frenare la campagna neutralista e filotedesca di E. Scarfoglio (lettera di A. Marghieri ad A. Salandra, in data 5 genn. 1915 in Bibl. comunale di Lucera, Carte Salandra). L'interventismo e la guerra per gli industriali napoletani ed italiani dell'acciaio erano il coronamento dell'opera avviata per dotare l'Italia di una moderna industria pesante e per procurare a quest'ultima le commesse indispensabili al suo funzionamento. Nella grande espansione in tutti i settori dell'industria italiana e napoletana, di cui l'Ilva fu protagonista negli anni della prima guerra mondiale, ebbe successo il tentativo del gruppo finanziario Ilva di assumere il controllo del Mattino e in questa operazione, senza esporsi pubblicamente secondo il suocostume, il C. svolse una proficua mediazione, grazie anche alla posizione che aveva nel seno delle due società (Castronovo, p. 244; Barbagallo, p. 165).
La favorevole congiuntura determinata dalla grande guerra indusse il C. a prendere anche iniziative autonome, finalizzate più al rafforzamento delle posizioni familiari che collegate ai disegni del grande capitale finanziario. Così nel 1917, allo scopo di costruire e riparare "ogni specie di materiale ferroviario, aviatorio, bellico ed elettrico", trasformò in anonima l'opificio meccanico e fonderia Catello Coppola fu Antonio in Castellammare di Stabia (Boll. uff. d. soc. p. azioni, XXXV [1917], I, 47, pp. 31 ss.), chiamandovi nel Consiglio di amministrazione il cugino Guglielmo Cutolo, al quale più tardi cederà importanti cariche e col quale nello stesso anno fondò l'anonima L.I.M.A. (Lavorazioni industriali meccaniche ed affini) sul suolo già occupato dalla ricordata Massimo Levi e C., allo scopo più specifico di costruire e riparare "materiale bellico ed elettrico" (ibid., XXXV [1917]. I, 50, pp. 58 ss.) e alla S.U.F.L.A., Società per utilizzazione delle forze latenti (ibid., XXXV [1917], I, 50, p. 7), la quale, precorrendo i tempi, si proponeva la ricerca e lo sfruttamento di fonti energetiche di origine vulcanica nei Campi Flegrei.
Ancora nel 1917 il C. partecipò in proprio e con largo impiego di capitale (500 mila lire) alla trasformazione della Miani e Silvestri di Napoli nelle rinnovate Officine meccaniche e navali (ibid., XXXVI [1918], I, 4, pp. 38 ss.). L'operazione, voluta dall'industriale milanese Giovanni Silvestri (proprietario di due terzi del capitale azionario di 9.000.000 come ex Miani e Silvestri e di 900.000 in proprio) e sostenuta dal Credito italiano, mirava a conquistare all'azienda posizioni di assoluta preminenza nel settore delle costruzioni e riparazioni meccaniche e navali.
In quegli stessi mesi il C. programmò anche un piano di espansione articolato delle industrie del freddo e della birra locali. Già all'inizio del secolo il gruppo Cutolo aveva fatto il suo ingresso nella Società anonima ghiacciaie enevierenapoletane, mirando a creare un anello di congiunzione con i Magazzini generali, prima presso il porto di Torre Annunziata, poi anche presso quello di Napoli, costituiti per il deposito e mantenimento delle merci, soprattutto di genere alimentare. Durante la guerra furono poi costituite, con l'industriale Enrico Carbone, due società: la prima, nel dicembre 1917, Birra Carbone, ghiaccio, magazzini, frigoriferi, con l'intento di associare all'industria del freddo un prodotto in grande espansione come la birra (Boll. uff. d. soc. per azioni, XXXVI [1918], I, 2, pp. 10 ss.); la seconda, nell'estate del 1918, Società anonima industria frigoriferi meridionale (ibid., XXXVI [1918], I, 44, pp. 36 ss.) col dichiarato proposito di sviluppare l'industria delle conserve di derrate alimentari attraverso il freddo per meglio regolare l'importazione ed esportazione dei prodotti.
In questo cruciale 1917il C. si adoperò particolarmente, insieme con l'industriale elettrico Maurizio Capuano e con l'avv. Pasquale Grimaldi, per la costituzione di una associazione campana degli industriali grazie alla quale si potessero meglio coordinare le richieste di un più solido sostegno alla categoria da parte degli organi preposti alla mobilitazione industriale. Nacque così, nell'estate del 1917, l'Unione regionale degli industriali della Canipania (U.R.I.), non da contrapporre alla corrispondente associazione operaia che muoveva in quegli stessi mesi i primi passi, ma "avendo per iscopo la tutela degli interessi generali dei soci dell'industria" (cfr. Confederaz. fascista degli industriali, Unione fascista degli industriali della provincia di Napoli, Annuario industriale della provincia di Napoli, Napoli 1939, p. CIL; G. Russo, L'Unione degli industriali della provincia di Napoli, 1944-74, Napoli 1974, pp. 25 ss.).
Bisogna però precisare che questo organismo non andava soltanto a colmare un generico vuoto di organizzazione del padronato, ma coglieva con anticipo i problemi derivanti dalle trasformazioni createsi durante il conflitto nel mondo industriale napoletano. Si può osservare infatti che l'U.R.I. comincerà a svolgere un suo ruolo decisivo solo a guerra finita e quando, cominciate le prime lotte operaie, andrà a contrapporsi ad esse sempre più decisamente. Dal 1919, essendo diminuita l'influenza della Camera di commercio, l'U.R.I., divenuta ormai sezione della Confederazione generale italiana dell'industria, andrà identificandosi come il più lucido punto di riferimento degli interessi padronali, attraverso una rude politica di scontro con le maestranze operaie e col sindacato. Artefice principale, memore delle passate esperienze di Torre Annunziata, fu il C., spalleggiato dal Grimaldi più che dal discreto presidente Capuano. Tale impostazione comportò alcune pratiche ricorrenti, quali quelle di non rispettare accordi conclusi o di usare con violenza e come ricatto l'arma del licenziamento: tutto ciò all'interno di un quadro nel quale il momento politico veniva privilegiato rispetto a quello economico.
La crisi di riconversione dell'immediato dopoguerra colpì violentemente anche il gruppo Cutolo, soprattutto per via dei numerosi e rilevanti impieghi di capitale nei settori siderurgico e meccanico. Le società del ramo furono costrette a far dipendere la loro esistenza da sempre più avare commesse statali, avviandosi così ad una agonia che si protrasse per almeno un decennio. Valga per tutti l'esempio della citata L.I.M.A.: costituita con capitale sociale di 500.000 lire, lo elevò ad un milione nel novembre del 1917, a 2 nel dicembre, a 5 nel settembre 1918 per ridurlo poi ad uno e reintegrarlo contemporaneamente a 2 nel settembre 1921 attraverso il conferimento alla società dello stabilimento di una soppressa anonima del gruppo, la Società napoletana industrie meccaniche e affini (S.N.I.M.A.: cfr. Boll. uff. d. società per azioni, XLII [1924], III, 28, pp. 128 ss.). Altri rami di attività furono viceversa colpiti da crisi negli anni immediatamente successivi, come l'industria del freddo nel 1923-24. Ma a quell'epoca il C. aveva già rinunciato alle quote azionarie ed alle cariche societarie in favore del cugino Guglielmo (ibid., XLI [1923], III, 24, pp. 254 ss.). Vi furono anche iniziative che poterono resistere meglio al momento di difficoltà. È il caso dello Iutificio napoletano, del quale il C. fu presidente dal 1919 dopo la morte di R. Wenner, con cui aveva fondato nel 1906 la società (La Voce di Napoli, 8 giugno 1919). Lo Iutificio, attraverso "una politica decennale di austero raccoglimento", riuscì, all'inizio del 1929, ad elevare il proprio capitale da 3 a 475 milioni (Boll. uff. d. soc. per azioni, XLVII [1929], III, 3, pp. 235 ss.). Non certo secondaria per importanza e sicuramente lucrosa sul piano economico fu la costituzione della Società farmochimica Cutolo-Ciaburri in un ramo piuttosto nuovo per il gruppo. Si trattava di uno stabilimento che mirava a sfruttare l'incremento di cui parevano suscettibili le industrie di preparazione e smercio dei prodotti chimici e farmaceutici, proponendosi di esercitare l'attività "su vasta scala, avvalendosi all'uopo delle partecipazioni tecniche apportateci da competenti specialisti in materia" (Boll. uff. d. soc. per azioni, XXXVII [1919], I, 6, pp. 69 ss.). La società, costituita inizialmente con capitale di 500.000 lire, vedeva la larga partecipazione dei farmacisti Antonio Ciaburri ed Enrico Cutolo (congiunto del C.). Elevò nel 1920 il capitale ad 1 milione ed andò poi espandendosi con rapidità.
La caratterizzazione politica del C. non è di facile collocazione. Egli frequentò, con assiduità a partire dall'inizio del secolo, gruppi e persone di un arco che oscillava dal nazionalismo di un Bondi al radicalismo democratico di F. S. Nitti. A Napoli, in particolare, egli restò piuttosto vicino ad un filone che comprendeva esponenti imprenditoriali aperti, avanzati e spregiudicati (M. Capuano, G. Arienzo, V. Bruno, E. Marino, C. Moschitti), senza tuttavia mai esporsi politicamente, preferendo caratterizzare il suo impegno con una febbrile, varia e certo più discreta attività economica. Nel 1919 lo si ritrova assiduo partecipante alle riunioni per la costituzione del Partito economico, per il quale tuttavia non volle entrare in lista, delegando in rappresentanza del proprio gruppo l'amico Carlo Betocchi (Giornale della sera, 19-20 ott. 1919). Questi assunse la difesa della classe dei "produttori" di guerra respingendo ogni accusa di "superprofitti" (Voce di Napoli, 19 ott. 1919). Nel 1921 il C., intenzionato a partecipare alla tornata elettorale per le cariche della Camera di commercio (Giornale della sera, 25-26 nov. 1921), fu costretto a rinunciarvi di fronte alle numerose polemiche ed agli attacchi giornalistici, peraltro tipici e consueti nell'ambiente camerale (Giornale della sera, 30 nov.-1° dic. 1921 e 5-6 dic. 1921). Dopo la marcia su Roma e segnatamente rispecchiando la linea prevalente di M. Capuano, I'U.R.I. assunse atteggiamenti afascisti, per cui fu osteggiata dal P.N.F. che favorì la Camera di commercio retta dall'amico del fascismo B. Borriello. La prova più evidente di questi favori si ebbe in occasione delle elezioni politiche del 1924. Nel tentativo di esercitare una pressione sul governo Mussolini, il Capuano venne dato sicuro rappresentante degli industriali nel "listone". Ma quando l'U.R.I. rese nota la rosa dei suoi esponenti (ben sette nomi tra cui non figuravano né Capuano, né C. e neppure Canto) dalla quale doveva uscire il candidato, la federazione fascista bocciò tutte le designazioni e preferì optare per il più sicuro Borriello (Voce di Napoli., 4 e 18 dic. 1924). Nella fase di superamento della crisi Matteotti, settori oltranzisti, come quello guidato dal binomio Preziosi-Canto che si esprimeva attraverso il quotidiano Il Mezzogiorno, riservarono ampie critiche all'organismo industriale (Il Mezzogiorno, 25-26 genn. 1925). Dopo la morte del Capuano, avvenuta nell'agosto del 1925, il C. assunse la presidenza dell'U.R.I., imprimendo, in linea coi tempi, quell'auspicata svolta in conseguenza della quale, anche in ossequio alla forma, fu cambiata la denominazione in U.R.I.F. (Unione regionale industriali fascisti; cfr. Arch. centr. dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, 1926, fasc. 3-7-31, Cutolo al presidente del Consiglio, 12 genn. 1926). Il rinnovato organismo non mancherà in seguito ed in più di una occasione di approvare pubblicamente l'indirizzo della politica fascista e di collaborare in vario modo con i rappresentanti del fascismo locale (Il Mezzogiorno, 8-9aprile, 14-15 ag. 1926; Mattino, 15ag. 1926). Conseguentemente assai ridotto fu quell'impegno meramente economico che aveva caratterizzato la presidenza Capuano (Il Mezzogiorno, 17-18, 21-22giugno 1928). Il I congresso nazionale degli industriali italiani, che ebbe luogo in Roma nell'estate del 1928, rappresentò per il C. il momento di massima affermazione, sottolineato peraltro dall'ingresso nel comitato di presidenza della Confederazione generale degli industriali italiani accanto a Benni, Bocciardo, Agnelli, Morpurgo e Maino (La Voce di Napoli, 2luglio 1928). In questa occasione il C. si soffermò sulla scomparsa nel Napoletano della grande industria pesante, (che aveva caratterizzato la struttura socioeconomica cittadina a partire dalla legge speciale del 1904), auspicando per converso una sempre più diffusa espansione della piccola e media industria.
Partendo dalla stessa ipotesi di base, il C. si fece promotore, poco più di un anno dopo, del I congresso degli industriali del Mezzogiorno (Atti del I Congresso degli industriali del Mezzogiorno, Napoli 1930, pp. 1-5) nel corso del quale egli espose le sue idee sullo sviluppo del Mezzogiorno, attuabile solo all'interno di ciò che definì "un interesse nazionale totalitario". Problema centrale quello del credito, il cui afflusso più rapido avrebbe potuto sostenere il programma di opere pubbliche, l'edilizia privata, la piccola industria e l'artigianato. In secondo luogo, la questione della formazione, ai vari livelli, di dirigenti, impiegati ed operai. Infine l'istaurazione di un favorevole regime doganale per incentivare quei settori con "maggiori probabilità di riuscita", come la trasformazione dei prodotti agricoli e i trasporti.Gli effetti della grande crisi economica mondiale del 1929furono decisivi per i Cutolo. La solidità del gruppo cominciò ad essere fortemente comproinessa e ciò contribuì ad indebolire la posizione raggiunta in seno al massimo organismo degli industriali. Un primo chiaro segnale si ebbe già nel maggio del 1930, quando B. Canto, anch'egli caduto in disgrazia, costretto a dimettersi dalla presidenza della sezione industriale del Consiglio provinciale dell'economia, fu sostituito non dal C. ma da G. Cenzato (Arch. prov. di Napoli, cat. V-5-18, Consiglio provinciale dell'economia). Nella primavera dell'anno successivo il C. venne affiancato nella direzione dell'Unione industriale fascista della provincia di Napoli da Giovanni Balella, in qualità di commissario aggiunto alla presidenza, inviato dalla Confederazione generale italiana dell'industria, ufficialmente per lo studio dei problemi economici locali (La Voce di Napoli, 27giugno 1931). Ma dopo l'estate, le dimissioni dei vicepresidenti Marino e De Francesco, unite a quelle della maggioranza della giunta esecutiva, costrinsero il C. a capitolare (ibid., 21 sett. 1931). Nel frattempo egli vide aggravarsi ulteriormente la sua posizione patrimoniale, il che determinò una caduta violenta quanto rapida, per effetto della quale la notizia della sua morte, avvenuta a Napoli appena un anno dopo, il 23 ott. 1932, passò sulla stampa del tutto inosservata.
Fonti e Bibl.: Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Boll. uffic. delle società per azioni (sivedano gli anni dal. 1899 al 1932); M. Gambella, Guida commerc. di Napoli e provincia, Napoli 1890, p. 336; E. Trevisani, Riv. industriale e commerciale di Napoli e provincia, Napoli 1895, p. 79; C. Betocchi, III Congresso dei commercianti ed industriali ital. La legge per Napoli 8 luglio 1904 e i lavori preparatori, Napoli 1904; Biografia finanziaria italiana. Guida degli amministratori e dei sindaci delle società ital. per azioni, Roma 1929 e 1931, ad vocem (fornisce quadro delle cariche del C. in anonime di rilievo nazion.). Sono stati utilizzati anche i quotidiani di quegli anni, in particolare: Giornale della sera, Il Mattino, Il Mezzogiorno, La Voce di Napoli, tutti pubbl. a Napoli; inoltre i periodici Rivista economica (organo della locale Camera di commercio) e la Rassegna italiana industriale, agraria e commerciale (portavoce ufficiosa dell'Ass. dei commercianti e degli industriali di Napoli). Si v. inoltre: F. P. Rispoli, La provincia e la città di Napoli. Contr. allo studio del problema napolitano, Napoli 1902, p. 67; R. Colapietra, Napoli fra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, ad Indicem; M. Marmo, L'economia napoletana alla svolta dell'inchiesta Sareio e la legge dell'8 luglio 1904 per l'incremento industriale di Napoli, in Rivista stor. ital., LXXXI (1969), pp. 954-1023 passim; V. Castronovo, La stampa ital. dall'Unità al fascismo, Roma-Bari 1970, ad Indicem; M. Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli (1911-1915), Firenze 1971, ad Indicem; G. Russo, L'Unione degli industriali della provincia di Napoli, 1944-1974, Napoli 1974, ad Indicem; G. Mori, Studi di storia dell'industria, Roma 1976, ad Indicem; F. Barbagallo, Il "Mattino" degli Scarfoglio, 1892-1928, Milano 1979, ad Indicem; N. De Ianni, Per una storia economico-sociale del movim. operaio napoletano. 1914-1943, in Cahiers internat. d'histoire économique et sociale, 1980, n. 12, p. 351.