Tempo e clima
Tempo e clima sono tra i primi fenomeni osservabili di cui l'uomo ha esperienza; essi sono da sempre oggetto di interesse in ambito sia individuale sia sociale. Gli eventi descritti dai due termini hanno un tale impatto sulle attività antropiche da determinare per il loro significato una condizione di sinonimia dello stato dell'atmosfera e più in generale dell'ambiente.
Il tempo meteorologico è l'insieme dei fenomeni fisici atmosferici che si osservano in un intervallo di tempo cronologico in un'area geografica definita. Poiché l'atmosfera è un gas e i fenomeni in essa osservabili dipendono dal volume del gas in esame, la definizione operativa di tempo richiede che sia noto e costante il volume su cui si effettuano le operazioni di rilevamento e quindi l'area di superficie terrestre da cui si eseguono le misurazioni. Avremo così il tempo su una città, su una regione, su una montagna e così via, fino a definire il tempo sulla Terra a un dato istante. Più è grande l'area sottostante il volume d'atmosfera su cui si osserva il tempo più si dovrà mediare sulle grandezze fisiche (quali la temperatura, l'umidità ecc.), fino a segnalare come indicatore del tempo del globo, per esempio, la temperatura media dell'aria rilevata a due metri dalla superficie. Questa definizione del tempo atmosferico è facilmente intuibile in quanto rispecchia le sensazioni immediate, la percezione di ciò che accade nell'aria: un temporale, un Sole raggiante e così via.
La definizione di clima, invece, per essere rigorosa, richiede l'uso del concetto di probabilità. Il clima di un luogo è dato dalla funzione di distribuzione della probabilità che a un dato istante si osservi un determinato tempo meteorologico. Questa definizione di clima non si può applicare direttamente in quanto non si hanno elementi né teorici né sperimentali che consentano di dire a priori quale sia la probabilità di osservare un certo tempo in un dato momento in un luogo definito. Per superare questa impossibilità a priori l'Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) raccomanda di calcolare le variabili statistiche del tempo su periodi di 30 anni di osservazioni continue giornaliere. In tal modo non si conoscono i valori assoluti della probabilità di ogni tipo di tempo atmosferico ma attraverso la frequenza degli eventi si potrà dire, per esempio, se un episodio di temperatura oltre i 40 °C in una certa città sia o non sia eccezionale. Per rendere più immediato il discorso utilizziamo un'analogia per descrivere le differenze e quindi le proprietà del tempo e del clima. Immaginiamo che il tempo sia un individuo. Esso è identificato univocamente dal valore della misura delle grandezze fisiche dell'atmosfera, è la fotografia degli eventi meteorologici. Il clima è la specie costituita dall'insieme di tutti i tipi di tempo che si possono osservare in un dato luogo in un certo tempo cronologico. Se il tempo è osservato come un individuo e il clima come la sua specie di appartenenza, ogni nuovo giorno il clima genererà un nuovo individuo: il tempo che osserviamo. La Terra è un pianeta in continuo divenire, nel suo complesso e nelle componenti (atmosfera, idrosfera, geosfera, biosfera e radiazione solare e terrestre) che determinano il clima, anch'esso in continuo divenire. Quindi il tempo che osserviamo, individuo di una specie in evoluzione, non si presenta mai con le medesime caratteristiche. A questa naturale variabilità climatica contribuisce, tuttavia, in modo sempre più significativo l'uomo, ed è urgente interrogarsi circa il peso delle attività antropiche sull'evoluzione climatica recente.
Gli studi sul clima, cui la società industrializzata riconosce una grande importanza quale fattore legato all'ambiente, hanno ricevuto un grandissimo impulso nel corso degli ultimi anni. Le conoscenze sul clima si sono così estese nel passato sino a giungere alle condizioni relative all'origine del pianeta stesso. Nel corso del tempo, sono state proposte molte definizioni del clima, in funzione di una varietà di grandezze (temperatura, umidità, precipitazioni, intensità dei venti ecc.) con cui si manifestano e si descrivono gli eventi meteorologici quotidiani in un luogo determinato. La continua evoluzione della definizione di clima testimonia le difficoltà di individuare una trattazione soddisfacente, rigorosa e universalmente accettata del suo stato e delle sue variazioni. Nell'esaminare le varie definizioni si nota come ognuna di esse presenti in maniera nuova il clima quale punto di partenza per descrivere e interpretare gli studi e i progressi delle conoscenze sul tema. È opportuno osservare inoltre che alla base di ogni definizione si è postulato, in modo più o meno esplicito, il fatto che il clima vari passando attraverso diversi stati che hanno la caratteristica di essere stabili al loro interno, o quanto meno lentamente variabili.
Ormai si ha coscienza che una funzione costante nel tempo non può descrivere il clima neanche per brevi periodi: la variabilità delle condizioni meteorologiche, su scala annuale, è indicativa anche dell'evoluzione climatica. Il ripetersi con sempre maggiore frequenza di fenomeni atmosferici estremi viene così interpretato come segno di variabilità climatica, anche se ciò sembra essere in contrasto con le definizioni, sia di natura teorica sia, soprattutto, di natura pratica, fin qui adottate. Gli studi attuali analizzano le caratteristiche di variabilità del clima nel passato, allo scopo di comprendere i meccanismi che ne determinano l'andamento per poterne stimare l'evoluzione nel futuro. Secondo la definizione più recente il clima è la funzione di distribuzione a priori delle probabilità e a posteriori delle frequenze delle situazioni meteorologiche che si attuano nel corso del tempo, dell'anno e più in generale delle epoche. Non ci si può quindi limitare allo studio delle sole condizioni medie, ma è necessario estendere le ricerche ai valori estremi e soprattutto alla variabilità delle grandezze caratteristiche. In tal senso è facile capire la differenza tra clima e , il quale descrive le singole condizioni atmosferiche che si susseguono nel tempo. Per quanto lunghe siano le serie di dati raccolti, il numero e la frequenza degli eventi meteorologici osservati sono sempre troppo limitati perché si possa asserire con certezza di aver determinato la funzione di distribuzione dei fenomeni meteorologici possibili e quindi il clima stesso.
Se il clima è la funzione di distribuzione delle probabilità di occorrenza di ognuno dei possibili stati fisici dell'atmosfera, tali stati sono il risultato dell'interazione tra i vari elementi che partecipano al cosiddetto sistema climatico: l'atmosfera, la radiazione solare, l'idrosfera, comprendente anche i ghiacci oceanici e continentali, la litosfera con i vulcani attivi e infine la biosfera con l'attività antropica, in grado di influenzare alcune caratteristiche dell'ambiente, quali la deforestazione su grande scala e la produzione di gas a . Questi sottosistemi sono connessi tra loro da processi fisici, chimici e biologici. Spesso tali processi combinati presentano un andamento ciclico che si ripercuote anche sul clima, dando origine a fluttuazioni quasi periodiche. Le leggi di conservazione di massa, energia, quantità di moto, insieme con quelle della chimica e con quelle, ancor più complesse, della biologia, governano il comportamento di ciascun sottosistema del sistema climatico. La complessità del comportamento finale del sistema climatico deriva sia dalla complessità propria di ciascuno dei suoi elementi, sia da quella d'interazione tra le parti, sia infine dalle differenze nei tempi di evoluzione caratteristici di ciascuna componente.
Da ciò consegue che il clima varia continuamente, con modalità anche molto diverse, presentando tendenze secolari, o salti bruschi, o entrambe le possibilità. Le medie possono variare come pure essere stabili, modificando in modo molto ampio le oscillazioni intorno ai valori medi. Questo accade a tutte le scale temporali, da quella geologica (dalle centinaia di migliaia alle centinaia di milioni di anni), a quella delle fluttuazioni climatiche (dalle decine alle migliaia di anni), fino alla scala umana degli anni e delle stagioni. Per comprendere quest'enorme variabilità nelle scale di tempo del clima, unita all'altrettanto grande variabilità osservata nello spazio, è stato proposto un gran numero di teorie e, nell'epoca degli elaboratori elettronici, sono stati sviluppati modelli fisico-matematici sempre più raffinati che tentano di spiegare queste variazioni. Ciascuna delle componenti del sistema climatico contribuisce, in misura differente, a determinare lo stato istantaneo del clima, che quindi non è, né è mai stato, una funzione costante nel tempo. Gli studi odierni di climatologia storica, e in generale di paleoclimatologia, hanno rivelato che in passato, almeno in prima approssimazione, il clima è variato sia lentamente e poco durante lunghi periodi sia rapidamente e molto durante tempi brevi.
La dinamica del clima è data dall'evoluzione temporale delle grandezze fisiche che regolano le interazioni tra le varie componenti del sistema climatico. L'indirizzo oggi più seguito nelle ricerche sul clima è quello dell'elaborazione di modelli numerici. Con la simulazione numerica mediante elaboratore elettronico si cerca di rappresentare, in un modello fisico-matematico, la fenomenologia dei singoli sottosistemi del sistema climatico. Ognuna delle componenti del sistema è rappresentata mediante un proprio modello matematico e le interazioni tra le varie parti sono simulate mediante scambi di energia e di massa. Il modello notevolmente più complesso è quello che descrive il sottosistema atmosfera, in quanto sede dei fenomeni più direttamente connessi con il clima stesso.
I risultati delle simulazioni del clima mediante modelli matematici consentono di esaminare i diversi scenari delle possibili evoluzioni climatiche nel prossimo futuro, scenari che dipendono anche dalle attività umane, interagenti con i diversi sottosistemi. Partendo dai dati, misurati direttamente nel recente passato, si è ricostruita l'evoluzione dell'ultimo secolo e si è simulata con successo la variazione del clima con la tendenza a un generalizzato aumento della temperatura media dell'aria a livello del suolo, e alla conseguente riduzione delle masse di ghiaccio polare e continentale.
L'attività umana di produzione e immissione nell'atmosfera di gas a effetto serra (anidride carbonica, clorofluorocarburi, metano ecc.) e particelle che assorbono la radiazione solare e terrestre (fumi, polveri ecc.) è divenuta particolarmente incisiva soltanto nella seconda metà del XX secolo. Si deve prendere atto pertanto che la tendenza al riscaldamento dell'atmosfera, e quindi la variazione del clima osservata negli ultimi anni ha una componente di origine naturale a cui l'attività umana si sovrappone con effetti ancora non ben definiti. I più recenti studi sul clima cercano di distinguere gli effetti naturali da quelli antropici. Si osserva che tutti i modelli impiegati per studiare l'evoluzione della temperatura media dell'atmosfera a livello della superficie terrestre concordano su un aumento generalizzato della temperatura stessa. Questi risultati devono essere valutati con attenzione, in quanto nei modelli di clima attuali non sono compiutamente descritti fenomeni molto complessi e ancora parzialmente sconosciuti, quali, per esempio, lo scambio di anidride carbonica tra gli oceani e l'atmosfera. D'altra parte, l'evidenza sperimentale mostra che dal 1860, anno delle prime accettabili osservazioni su scala planetaria, si ha una tendenza al riscaldamento.
La fine del XX sec. si è manifestata con la sequenza degli anni globalmente più caldi dall'inizio delle osservazioni sistematiche. I gruppi di studio promossi dall'Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) hanno richiamato l'attenzione sulla circostanza che, se le attività umane proseguiranno con gli stessi metodi odierni, nel prossimo secolo si potranno verificare pericolosi cambiamenti del clima mondiale. L'innalzamento del livello dei mari, anche di pochi metri, conseguente a uno scioglimento dei ghiacci, anche parziale, renderebbe inabitabili estese zone continentali e sommergerebbe molte delle numerosissime isole oceaniche abitate. L'aumento della temperatura media sarebbe seguito da una diversa distribuzione spaziale delle precipitazioni, che metterebbero a rischio l'esistenza di larghe fasce della vegetazione delle zone tropicali. La sensibilità delle attività umane, fino alla stessa sopravvivenza in regioni estreme, alle variazioni del clima come parte dell'ambiente ha portato l'ONU a dare impulso a studi sul clima, prima attraverso la creazione di un gruppo di lavoro internazionale su questo tema, denominato Intergovernmental Panel on Climatic Change (IPCC), e successivamente promuovendo la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e sullo sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992, in cui è stato proposto un protocollo d'intesa sulle attività umane che possono determinare variazioni ambientali tali da ripercuotersi anche sul clima. In quella sede 154 paesi hanno sottoscritto il protocollo che è divenuto operativo nel 1994. I paesi firmatari, riunitisi a Berlino nel 1995 in occasione della prima Conferenza delle parti sul clima (Conference of the parties, COP), hanno elaborato un protocollo attuativo e vincolante, per l'intesa di Rio, sulla riduzione di emissioni di gas a effetto serra. Nel dicembre 1997 si è tenuta a Kyoto la terza COP per l'adozione del protocollo attuativo.
L'attenzione verso il clima globale non deve far perdere di vista i problemi connessi con il clima a scala locale, il microclima. In regioni di limitata estensione, le attività umane hanno talvolta un rapporto con l'ambiente circostante tale da determinare variazioni ambientali permanenti, che a loro volta si ripercuotono sul microclima. Questo fatto è oggi noto come stress ambientale. Per esempio, l'inaridimento delle aree confinanti con i deserti è spesso causato dalla distruzione, volontaria o involontaria, della vegetazione subdesertica, già di per sé vincolata a esistere in condizioni climatiche di confine (scarsezza di precipitazioni, forte soleggiamento ecc.). Se su scala globale si osservano variazioni di frazioni di grado centigrado nei valori medi della temperatura, su scala locale si possono osservare variazioni di gran lunga maggiori capaci di alterare gli ecosistemi sino a modificare le specie della flora presenti, e di conseguenza tutte le altre specie animali dipendenti da questa, alterando infine anche il ciclo idrologico locale e quindi il microclima.
Gli studi più recenti sulla modellazione del sistema climatico sono orientati verso la ricerca dell'evoluzione della temperatura degli oceani, in pratica di quello che sembra essere l'elemento del sistema climatico più attivo dopo l'atmosfera, ma anche il più prevedibile. La temperatura degli oceani varia nel tempo più lentamente di quella dell'atmosfera e gli scambi energetici tra le masse d'aria e d'acqua sono decisivi per l'evoluzione del tempo meteorologico e del clima stesso. Partendo da modelli termofluidodinamici degli oceani si cerca, attraverso la quantificazione degli scambi energetici tra l'atmosfera e i mari, di produrre un'attendibile stima quantitativa dell'evoluzione delle condizioni fisiche presenti al contorno della stessa atmosfera. La conoscenza di tali condizioni per un fluido termodinamico come l'atmosfera è alla base di ogni forma di previsione scientifica dell'evoluzione del fluido stesso. La più recente linea di sviluppo della climatologia individua nella previsione dell'evoluzione della termodinamica degli oceani il punto di partenza per le previsioni meteorologiche stagionali e quindi di quella zona temporale di sovrapposizione tra gli eventi meteorologici e quelli ascrivibili al clima.
Molti studi sono stati dedicati alla ricostruzione e alla spiegazione delle condizioni climatiche che si sono susseguite sulla Terra nel corso dei circa 4,7 miliardi di anni della sua lunga storia. L'evoluzione del clima è stata caratterizzata dalle grandi tappe seguenti: durante i primi due miliardi di anni, da 4,6 a 2,3 miliardi di anni fa, nonostante la debole luminosità solare la Terra era libera dai ghiacci, forse a causa di un fortissimo effetto serra derivante dalla particolare composizione dell'atmosfera terrestre primitiva, che sembra contenesse una percentuale di anidride carbonica molto più elevata dell'attuale. La prima glaciazione di cui si sia osservata traccia avvenne 2,3 miliardi di anni fa; da allora fino a 900 milioni di anni fa sembra che la Terra fosse ancora libera dai ghiacci; nel periodo 900÷600 milioni di anni fa si sono succedute tre glaciazioni le cui tracce sono state individuate nelle basse latitudini, ma soltanto sui continenti; tra 600 e 100 milioni di anni fa il clima fu generalmente dolce, segnato tuttavia da due spinte glaciali importanti (i dati paleomagnetici indicano una forte correlazione tra la posizione dei continenti alle alte latitudini e la formazione di calotte glaciali); da 100 a 50 milioni di anni fa il clima continuò a essere mite e la Terra fu generalmente libera dai ghiacci. Il clima del Cretaceo superiore serve da guida per la modellazione del sistema oceano-atmosfera-biosfera: sembra che i fattori paleogeografici, l'alta concentrazione di anidride carbonica nell'aria e la circolazione oceanica abbiano avuto un ruolo importante per spiegare questo clima. Tuttavia resta inspiegabile la presenza di certe flore e faune osservate alle alte latitudini polari. Da 50 a 3 milioni di anni fa si ebbe un raffreddamento progressivo del clima globale, con la formazione della calotta antartica (tra 40 e 30 milioni di anni fa); la glaciazione delle medie latitudini dell'emisfero boreale iniziò circa 3 milioni di anni fa; da allora a oggi si stabilisce l'era glaciale del Quaternario climatico caratterizzata da una serie di cicli glaciali-interglaciali, attribuiti a cause astronomiche; in particolare, da 125.000 anni fa a oggi è avvenuto l'ultimo ciclo interglaciale-glaciale, con variazioni importanti del clima a cui sono associate oscillazioni altrettanto importanti del livello medio dei mari e della composizione dell'aria. Si esamini in dettaglio il periodo compreso tra 7000 anni fa a oggi:esso inizia con il massimo termico dell'Olocene ed è caratterizzato da una fase calda che si estende per quasi tutto il Medioevo, seguita dalla piccola era glaciale col-locabile tra il 1350 e il 1850 circa e da un successivoriscaldamento dalla seconda metà del XIX sec. sino ai giorni nostri, dove osserviamo addirittura un incremento nella rapidità di variazione della temperatura, valutabile, negli anni Novanta, in oltre mezzo grado centigrado al secolo.
I dati relativi alla temperatura e alle precipitazioni, raccolti nell'ultimo secolo, sono i più precisi e dettagliati (in alcuni casi tale precisione si estende a un periodo di oltre duecento anni). Da questi dati emerge che dalla metà del XIX sec. iniziò un riscaldamento atmosferico planetario. I dati ricostruiti devono tenere conto della circostanza che le stazioni di osservazione cittadina hanno subito un cambiamento dell'ambiente di misurazione che ha alterato le serie. Tenendo conto di quest'alterazione, un riscaldamento, anche se meno pronunciato, è in ogni modo presente. Le osservazioni, sia marine sia continentali, mostrano in entrambi gli emisferi un riscaldamento di circa mezzo grado dall'inizio del XX sec., con un cambiamento di tendenza intorno agli anni Venti. Sovrapposte a questa tendenza si sono osservate fluttuazioni decennali di grande ampiezza. Tra il 1940 e il 1970 si verificò un raffreddamento dell'emisfero settentrionale, accompagnato da un fenomeno analogo, ma meno marcato, in quello australe, e fu seguito da un riscaldamento repentino. Durante gli anni della Seconda guerra mondiale (1939-1945) si ebbe in Europa un clima particolarmente inclemente, con inverni freddi, autunni piovosi ed estati torride.
Il riscaldamento nelle stazioni continentali ha raggiunto l'entità di un grado tra il 1980 e il 1988. La causa di quest'accelerazione del riscaldamento è controversa, ma si propende per un aumento dell'effetto serra dell'atmosfera, dovuto a un aumento della concentrazione di anidride carbonica e altri gas. Le precipitazioni non hanno subito cambiamenti rilevanti nella quantità totale dal 1890 al 1997, ma presentano differenze nella ripartizione stagionale che fanno sospettare un'alterazione nella loro funzione di distribuzione. La stagione tra la fine del 1997 e l'inizio del 1998 (estate australe e inverno boreale) è stata caratterizzata dalla fenomenologia meteorologica e oceanica connessa con il cosiddetto Niño, il riscaldamento anomalo di una larga area superficiale dell'Oceano Pacifico sudequatoriale.
La costanza complessiva delle precipitazioni non si osserva più se l'analisi è condotta per fasce di latitudini. Alle latitudini superiori ai 35° N si sono intensificate, mentre nella fascia subtropicale gli ultimi trent'anni mostrano significative riduzioni delle piogge. Queste alterazioni per latitudine non si registrano nell'emisfero australe, dove le precipitazioni sono aumentate dal 1940, con l'esclusione dell'estate australe. Per tutte le stazioni continentali della Terra si assiste, tra il 1890 e il 1986, a un aumento sia annuale sia stagionale, con l'eccezione dell'estate boreale soprattutto dal 1940 al 1960. Tutte le analisi si complicano quando si passa a scale regionali più limitate. Il raggruppamento dei dati mostra che il riscaldamento, che ha caratterizzato il periodo 1947-1997, si è accentuato nel 1975, ma non in modo regolare; in certe regioni si è addirittura avuto un raffreddamento: l'Atlantico del Nord e il Pacifico settentrionale si sono raffreddati di circa un grado dal 1947. Si osserva anche un differente livello di riscaldamento tra i due emisferi: quello australe ha registrato un aumento delle temperature oceaniche e continentali maggiore di quello boreale.
Le serie di osservazioni per gli Stati Uniti non mostrano variazioni rilevanti dal 1895 al 1985, con l'eccezione di un aumento delle precipitazioni autunnali negli ultimi vent'anni del periodo. I modelli di simulazione del clima predicono un aumento della temperatura, coerente globalmente con quello osservato, ma non sono ancora soddisfacenti per quanto attiene al dettaglio geografico degli eventi. Gli errori lungo le varie fasce di latitudine sono ancora elevati: questo mostra come il sistema climatico sia complesso. Per riprodurre il clima partendo da modelli fisico-matematici è necessario considerare tutti i fattori che intervengono, compresa la variabilità naturale. La ricostruzione del clima del passato, con la sua variabilità alle diverse scale spaziali e temporali, è la via da percorrere per comprendere i meccanismi che regolano l'evoluzione del sistema climatico e per predire in termini probabilistici il clima futuro.
Nessun metodo né alcuna disciplina consentono da soli di ricostruire la storia del clima, scandita dalla successione degli eventi osservati, ma tutti concorrono alla conoscenza con apporti più o meno importanti.
L'informazione climatica proviene da fonti molto diverse, in funzione anche della distanza, nel tempo, dal presente. Queste fonti sono: (a) i dati meteorologici e oceanici misurati direttamente dagli strumenti specifici in un numero sempre crescente di stazioni (ottenuti anche grazie a telerilevamento principalmente da satellite) ‒ tali informazioni sono disponibili su scala planetaria da circa un centinaio di anni fa a oggi; (b) la documentazione storica che, interpretata ai fini dello studio del clima, si estende agli ultimi millenni; (c) i dati detti , ottenuti in base a vari elementi: le composizioni isotopiche (dell'ossigeno, del deuterio e del carbonio) misurate nei sedimenti oceanici e lacustri, nelle calotte polari, nelle stalattiti e nelle stalagmiti, negli anelli degli alberi e negli strati geologici; le testimonianze delle faune e delle flore del passato, quali i pollini, le microfaune marine, gli Insetti, i Mammiferi, i Molluschi, le piante fossili; le prove geologiche e geomorfologiche, fornite dallo studio di morene, evaporiti, paleosuoli, varve, dune, scogliere coralline e così via. Questi dati, analizzati simultaneamente e in modo coerente, consentono di creare un'immagine razionale delle variazioni climatiche avvenute lungo particolari momenti della storia della Terra.
Le paleotemperature oceaniche, ricavate dall'esame dei sedimenti, forniscono un metodo estremamente interessante quando sia applicato a lunghe sequenze di osservazioni; tuttavia, occorrerebbe che la sedimentazione fosse avvenuta in modo ideale, cioè senza pause, senza turbolenza né bioturbazioni, condizione estremamente lontana dalla realtà. Ciononostante, i grafici delle paleotemperature oceaniche permettono di costruire il quadro di base per le altre discipline. Le faune e le flore forniscono elementi di datazione e indicazioni sui paleoambienti e i paleoclimi. Le morene danno informazioni sulle fasi di massima estensione glaciale; i terrazzi marini forniscono dati soprattutto sui livelli estremi di elevazione raggiunti dal mare in corrispondenza delle massime temperature verificatesi durante le fasi interglaciali; dai depositi di Löss e dai suoli fossili si ricavano informazioni più complete sulla cronologia climatica, ma le correlazioni con i depositi glaciali e marini rimangono generalmente difficili. Queste tecniche di osservazione, insieme con i risultati del paleomagnetismo sulla deriva dei continenti e la modellazione fisica, permettono di ricostruire e di spiegare le variazioni climatiche avvenute nel corso dei tempi più remoti.
Le registrazioni naturali, influenzate dal clima stesso, a diverse scale temporali, sono modificate da bioturbazioni e altre trasformazioni fisiche e chimiche. La loro interpretazione in termini di variazioni climatiche è dunque difficile ed è necessario usare tecniche di elaborazione che eliminino il maggior numero di questioni complesse: per esempio, le funzioni di trasferimento basate sull'analisi multivariata, utilizzate per i sedimenti marini, gli anelli degli alberi e i pollini. I valori Proxi sono datati conteggiando gli strati annuali (come nel caso degli anelli degli alberi, delle varve lacustri e delle torbiere, e per gli strati delle carote di ghiaccio), con (come i casi dell'isotopo 14C del carbonio, e del rapporto di masse tra il cripton e l'argo, Kr/Ar), o con riferimento ad avvenimenti ben definiti avvenuti a scala planetaria, come i depositi di ceneri vulcaniche, i terrazzamenti marini e le inversioni del campo magnetico terrestre.
In generale, i metodi di datazione e il significato delle ricostruzioni divengono sempre più incerti e incompleti risalendo nel passato. Occorre infatti ricordare che le rocce formatesi nel corso della storia della Terra sono state soggette a erosione: più una roccia è antica, più ha avuto occasione di sgretolarsi, e di conseguenza le rocce relativamente più giovani sono largamente preponderanti.
La crosta terrestre ha conservato evidenti tracce della continua trasformazione subita nel corso del tempo, mentre l'atmosfera, che ha avuto anch'essa un'evoluzione insieme con la litosfera, non consente di risalire direttamente alla composizione chimica originaria. Le osservazioni spettroscopiche delle atmosfere planetarie e dei gas interstellari rivelano la presenza di ossigeno, ma combinato in composti e non isolato nella molecola O2. Questo ha portato a concludere che l'ossigeno molecolare, presente nell'atmosfera terrestre nella cospicua proporzione del 20%, sia dovuto alla sintesi clorofilliana, in altre parole a un processo di produzione biologica. Le teorie sulla formazione del sistema solare avvalorano l'ipotesi di un'atmosfera terrestre primitiva formatasi successivamente alla nascita del pianeta, ma la composizione chimica dell'atmosfera iniziale è tuttora oggetto di discussione.
La visione innovativa della meteorologia, definita negli anni recenti con sempre maggior chiarezza, considera l'atmosfera, con la sua dinamica da cui hanno origine i fenomeni meteorologici, come una parte inseparabile del sistema interagente formato dall'idrosfera, dalla radiazione solare e terrestre, dalla litosfera e dalla biosfera. In una tale visione unitaria l'evoluzione dell'atmosfera, e quindi dei fenomeni meteorologici, è il risultato dell'evoluzione della Terra come sistema complesso. L'aumentata incidenza sulle attività umane degli eventi eccezionali (alluvioni, tempeste ecc.), dovuta alla pressione crescente operata dall'uomo sull'ambiente (il cosiddetto stress ambientale), ha condotto gli studiosi a ricercare le cause degli eventi catastrofici anche nelle piccole variazioni di ciascuna delle componenti del sistema Terra, di cui l'atmosfera è la parte di gran lunga più sensibile e mutevole nella sua evoluzione quotidiana per il tempo meteorologico e, a più lunga distanza, per il clima. Il nuovo approccio teorico alla meteorologia ha orientato gli studi verso la comprensione dei meccanismi d'interazione tra i diversi sottosistemi, allo scopo d'individuare quali siano i motori reconditi del tempo meteorologico. Non si deve trascurare anche il fatto che la pressione antropica sull'ambiente rende tutte le attività umane molto più sensibili agli effetti degli eventi atmosferici. Nel corso degli anni Novanta del secolo scorso la meteorologia ha risentito più di qualsiasi altra disciplina di un effetto di globalizzazione, in quanto i fenomeni meteorologici che si osservano in un determinato luogo a un dato istante sono l'effetto di altri fenomeni che sono avvenuti nell'atmosfera e sugli oceani in ogni altra parte del mondo. Questa interconnessione mondiale tra gli eventi atmosferici, oceanici, della radiazione solare e terrestre, e più in generale della stessa biosfera, ha portato la meteorologia a orientarsi non più soltanto alla fenomenologia aerofisica, ma anche alla geosfera nel suo complesso; ciò senza trascurare il fatto che nelle aspettative comuni la previsione del tempo è tuttora l'obiettivo principale della meteorologia. Il valore economico delle previsioni del tempo è venuto infatti ad assumere un'entità tale da rendere molto piccolo il rapporto tra i costi di produzione di una previsione e i risparmi in termini di danni alle attività economiche direttamente legate agli eventi atmosferici, senza contare il risparmio di vite umane conseguente alle attività della meteorologia finalizzata alla protezione civile, ogniqualvolta si abbia successo nella previsione di eventi meteorologici estremi. Un risvolto della globalizzazione della meteorologia si osserva con la diffusione su Internet di quantità sempre maggiori di dati meteorologici, climatici e più in generale ambientali, osservati e previsti, accessibili liberamente.
Le osservazioni dello stato fisico dell'atmosfera continuano a essere l'elemento di base per ogni stima fisico-matematica degli eventi atmosferici futuri. La costituzione nel 1947 dell'OMM fu il primo passo verso l'attuale globalizzazione della moderna meteorologia operativa, finalizzata all'individuazione e alla previsione di tutti quegli eventi atmosferici che hanno diretta influenza sulle attività umane. La meteorologia è stata la scienza che per prima ha avvicinato i blocchi antagonisti creatisi alla fine della Seconda guerra mondiale, mediante i primi rapporti di cooperazione scientifica tra il mondo occidentale e quello sovietico, già a partire dagli anni Cinquanta, e cioè in piena Guerra fredda. La necessità di disporre in tempo utile delle osservazioni meteorologiche in ogni parte del mondo fece superare le contrapposizioni di allora e ha portato alla realizzazione del programma World weather watch (WWW) che ha permesso per la prima volta di sorvegliare l'intero pianeta con continuità temporale e con sempre maggiore dettaglio spaziale. Il carattere mondiale della meteorologia è ancor più accentuato dall'impossibilità di riprodurre in laboratorio i fenomeni che avvengono nell'atmosfera. Anche i più piccoli fenomeni, come, per esempio, i temporali isolati, si svolgono infatti in volumi di chilometri cubi con scambi di energie valutabili in migliaia di miliardi di joule (1012 J) e confrontabili con quelle delle esplosioni nucleari, ma che fortunatamente avvengono a temperature prossime a quella dell'ambiente. Le misurazioni e le osservazioni assumono così un'importanza fondamentale e devono essere fatte in ogni luogo della superficie terrestre, dal suolo sino ad almeno 30 km di quota, con la maggiore densità spaziale possibile. Oggi si hanno a disposizione metodi di telerilevamento da satellite che consentono di ovviare, fin negli angoli più remoti del pianeta, all'impossibilità pratica di istituire fitte reti di stazioni di osservazione nelle vastissime aree oceaniche e nelle grandi zone desertiche. Allo scopo di mantenere sotto un continuo controllo l'evoluzione dell'atmosfera sono attive decine di satelliti meteorologici suddivisi nelle due grandi categorie dei satelliti geostazionari (che osservano sempre la stessa porzione di Terra) ed eliosincroni (che sorvolano un dato territorio sempre alla stessa ora solare). Le misurazioni da satellite consentono di sondare volumi di atmosfera un tempo irraggiungibili direttamente dalle sonde da terra, e forniscono la sempre più necessaria continuità di rilevamento delle caratteristiche fisiche dell'atmosfera. La rete mondiale di osservazione è composta attualmente di oltre 10.000 stazioni di osservazione sulla superficie terrestre, su boe e su apposite navi meteorologiche e oceanografiche. Le grandezze osservate e misurate continuamente nelle stazioni terrestri sono principalmente la temperatura dell'aria, del suolo e della superficie del mare, la pressione atmosferica, l'umidità dell'aria, l'intensità della radiazione solare, l'intensità e la direzione del vento; inoltre alcune stazioni selezionate compiono misurazioni di grandezze particolari legate al clima e all'ambiente in generale, come la concentrazione di anidride carbonica e lo spessore dello strato di ozono.
Gli studi del meteorologo statunitense Edward N. Lorenz avevano precisato, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, i limiti relativi alla possibilità di prevedere l'evoluzione dell'atmosfera con metodi deterministici. In linea di principio, con le conoscenze attuali non si dovrebbe più parlare di previsioni deterministiche, ma soltanto di metodi deterministici usati per stimare l'evoluzione futura, in quanto è ormai noto dalla teoria del caos dinamico che qualsiasi previsione dell'evoluzione di un sistema complesso come l'atmosfera porta a risultati enunciabili soltanto in modo probabilistico. Ciò è vero anche nel caso in cui si supponga che il sistema in esame sia vincolato a evolversi secondo leggi deterministiche e quindi dai risultati univoci. Lo stesso Lorenz, per illustrare la sensibile dipendenza degli eventi meteorologici dalle condizioni iniziali, aveva introdotto il cosiddetto : il moto dell'aria dovuto al casuale battito delle ali di una farfalla, in un certo istante, può essere una tra le cause di un ciclone tropicale generatosi la settimana successiva a migliaia di chilometri di distanza. Questo significa che ogni stima del futuro, per essere realistica, dev'essere fondata sulle osservazioni del passato recente. Oggi è chiaro inoltre che non si può conoscere con assoluta certezza né lo stato fisico di un sistema complesso né riprodurre con precisione arbitraria la sua evoluzione, neanche con i modelli fisico-matematici più sofisticati. L'impossibilità di conoscere lo stato fisico in ogni punto dell'atmosfera per poterne stimare l'evoluzione futura costituisce tuttora uno dei maggiori limiti per le previsioni meteorologiche, e sino ad alcuni anni fa si è ritenuto che fosse il limite ultimo. Lo sviluppo della modellistica atmosferica attuato attraverso la simulazione matematica dell'atmosfera al computer aveva fatto sperare di poter ottenere previsioni sempre più accurate aumentando la rapidità di calcolo degli elaboratori. Le crescenti esigenze di conoscere e prevedere in anticipo il verificarsi degli eventi meteorologici hanno fatto sì che negli ultimi anni la meteorologia si sviluppasse, abbracciando anche settori propri di altre discipline scientifiche, tra le quali l'oceanologia, la geofisica della radiazione solare, la climatologia e la glaciologia.
Questo è il settore della meteorologia che negli ultimi anni si è maggiormente sviluppato, in quanto ha concentrato per decenni le speranze di giungere a previsioni sempre più accurate e a lungo termine. Nonostante sia ormai noto che non si possono realizzare modelli perfetti di sistemi complessi come l'atmosfera, lo sviluppo teorico e applicativo della modellistica fisico-matematica ha contribuito in modo notevole ai successi della meteorologia operativa, legata alla previsione quotidiana dei fenomeni e quindi di interesse comune. I più sofisticati modelli simulano l'atmosfera mediante una sua suddivisione in oltre cinque milioni di elementi tridimensionali, in ciascuno dei quali vengono risolte le equazioni della fluidodinamica che descrivono l'evoluzione dell'atmosfera. Su scala globale viene delineata la dinamica delle onde delle grandezze fisiche dell'atmosfera sino a circa 40 km di lunghezza d'onda, che, confrontati con la circonferenza massima terrestre di 40.000 km, danno un'idea del dettaglio con cui si descrive ormai la fluidodinamica atmosferica. In ciascuno degli elementi in cui si rappresenta suddivisa l'atmosfera vengono simulati i fenomeni più significativi, quali le precipitazioni acquee e nevose, le nubi e così via.
Con la simulazione quadridimensionale nello spazio e nel tempo della fluidodinamica atmosferica si sono affrontate le previsioni meteorologiche, giungendo però a dover elaborare diverse metodologie in funzione dell'estensione temporale della previsione stessa. Le previsioni a brevissimo termine (0÷12 ore), dette anche (da now ora e forecasting previsione), richiedono di disporre di dati di osservazione dettagliati della zona d'interesse. Il nowcasting si basa sull'osservazione di ciò che accade nell'immediato. La principale attività di supporto al nowcasting è fornita quindi dai sistemi di telerilevamento da satellite e dai radar meteorologici (radar in grado di rilevare le dimensioni e il moto delle gocce di pioggia). Per tempi di 12÷48 ore di stima, si hanno le previsioni a breve scadenza, che si basano sulla simulazione mediante modelli fluidodinamici dell'evoluzione dell'atmosfera, supponendo che tale evoluzione abbia un esito unico e determinato. Per tempi superiori ad alcuni giorni si producono le previsioni a una settimana con gli stessi modelli di quelle a breve termine, ma con informazione di partenza globale. In questo intervallo di tempo di previsione si è iniziato a studiare i risultati del metodo in cui si producono popolazioni di previsioni ottenute con lo stesso modello di simulazione, ma con dati iniziali leggermente diversi. Si simula l'atmosfera partendo da un numero abbastanza grande (alcune decine) di casi diversi tra loro per quantità inferiori all'errore di misura delle singole osservazioni, soddisfacendo così la condizione probabilistica cui è legata la conoscenza dell'evoluzione di un sistema complesso. Il risultato non è più una previsione certa ma la distribuzione dei possibili casi di tempo connessi e compatibili con la condizione iniziale e con il suo errore di partenza. Questo metodo è detto delle previsioni multiple d'insieme ed è tuttora oggetto di studio, non essendo ancora chiari i legami stocastici tra gli errori iniziali e gli stati finali del sistema atmosfera. I metodi esposti pongono alla base delle previsioni una o più condizioni iniziali sullo stato di partenza dell'atmosfera, perché si è dimostrato che la conoscenza dello stato iniziale è condizione necessaria per stimare lo stato finale, corrispondente alla previsione. Per le previsioni mensili, stagionali o addirittura annuali, non è possibile tuttavia seguire la logica della sola condizione iniziale, ma si deve tener conto delle variazioni delle grandezze fisiche che sono al contorno dell'atmosfera, principalmente gli oceani, le acque interne e le masse di ghiaccio, poiché gli scambi energetici tra l'atmosfera e l'ambiente che la racchiude mutano se osservati durante intervalli di tempo che vanno dalla settimana in su. Con questi presupposti sono iniziati i primi esperimenti per produrre previsioni stagionali. Ai modelli di atmosfera tradizionali viene affiancato un modello fluidodinamico dell'idrosfera, la quale, evolvendosi più lentamente dell'atmosfera, sembra essere predicibile per tempi più lunghi e quindi in grado di fornire quelle condizioni al contorno, sotto forma di scambio di calore latente, calore sensibile, evaporazione di masse d'acqua, che consentirebbero di prevedere la dinamica meteorologica per tempi più lunghi di una settimana, pur sempre con carattere probabilistico.
Le condizioni al contorno inferiore dell'atmosfera, date da temperatura superficiale degli oceani, umidità del suolo e copertura nevosa, talvolta hanno una memoria molto più lunga di quanto non abbia il tempo meteorologico e quindi, almeno in prima approssimazione, si può prevedere la loro evoluzione su scale di tempo di settimane o anche di mesi. Un fenomeno che, come si è osservato, influenza in modo sensibile lo stato e l'evoluzione della troposfera è il Niño, il riscaldamento anomalo e irregolare della superficie dell'Oceano Pacifico equatoriale, che si è manifestato con carattere quasi periodico (sinora circa ogni dieci anni). Nei mesi successivi alla comparsa del Niño, eventi meteorologici particolarmente intensi si verificano in molte parti del pianeta, a decine di migliaia di chilometri dalla fascia equatoriale. La conoscenza dello stato e dell'evoluzione delle condizioni fisiche presenti al bordo inferiore dell'atmosfera (come, per es., la temperatura superficiale delle acque oceaniche) consente quindi, in linea di principio, di predire, a più lungo termine, anche se solo indicativamente, l'evoluzione del tempo e forse anche del clima stesso.
La capacità di prevedere le variazioni della temperatura del mare si è accresciuta moltissimo negli ultimi anni grazie all'enorme quantità di dati raccolti dai satelliti artificiali dedicati alle scienze della Terra. Per l'oceano, in modo concettualmente analogo a quelli usati per l'atmosfera, sono stati sviluppati modelli fluidodinamici che ne simulano l'evoluzione dinamica e termica, e non solo il moto ondoso come avveniva in passato. I nuovi modelli termofluidodinamici dell'oceano ne simulano quindi anche l'evoluzione termica e dinamica. L'evoluzione dei modelli atmosferici e oceanici verso forme sempre più realistiche e sofisticate ha indotto meteorologi e oceanologi a cooperare al fine di produrre modelli di simulazione anche per l'interfase oceano-atmosfera. Si riproducono così al computer anche gli scambi di energia e di massa tra l'atmosfera e l'oceano. Ciò consente, con un meccanismo di retroazione (feedback), di correggere le previsioni dell'evoluzione dei due sistemi, atmosfera e oceano, in modo da fornire a ciascuno le proprie condizioni al contorno in forma più accurata di quanto non sia stato possibile in precedenza. Il risultato di questa cooperazione ha portato alla realizzazione, per la prima volta su basi scientifiche, di previsioni meteorologiche stagionali. Il caso del Niño nel 1997-1998 è stato un banco di prova arduo ma significativo per speranze di futuri successi. Il carattere di una previsione stagionale rimane, comunque, sempre di tipo probabilistico.
Le variazioni climatiche che si erano rese evidenti durante il XX sec. hanno continuato a manifestarsi anche nei primi anni del nuovo secolo; in particolare si è accentuato l'aumento della temperatura media dell'aria sull'intero globo. Le ricerche sulle variazioni climatiche più recenti sono sistematicamente raccolte dall'IPCC, costituito sin dal 1988, da due agenzie dell'ONU, l'OMM e l'UNEP (United Nations Environment Programme). L'IPCC riprende le ricerche sul clima effettuate in ogni parte del globo dai ricercatori dei singoli paesi ed elabora rapporti, principalmente con la finalità di dare un'indicazione alle autorità politiche nazionali e internazionali per indirizzarle, laddove sia possibile, verso attività economiche, industriali ed ecologiche che abbiano un impatto ridotto sui processi di continua evoluzione climatica. Al termine di ogni nuova raccolta d'informazioni vengono stilati dei rapporti il cui fine è orientare le strategie di tutti i paesi per affrontare i cambiamenti climatici e cercare di mitigarne le conseguenze soprattutto in quelli più poveri del mondo, che sono peraltro i più sensibili agli eventi meteorologici e climatici. L'IPCC è suddiviso in quattro sottogruppi specialistici e produce regolarmente i rapporti scientifici, tecnici e socioeconomici volti alla comprensione delle modalità con cui avvengono i cambiamenti climatici, le loro potenziali conseguenze e le possibili indicazioni per un adattamento agli effetti sull'ambiente e una riduzione degli stessi. Il primo sottogruppo indaga gli aspetti scientifici del sistema climatico e le origini dei cambiamenti del clima cercando di distinguere i cambiamenti naturali da quelli dovuti alle attività umane. Il secondo valuta la sensibilità e la vulnerabilità, sia dei sistemi naturali sia di quelli umani socioeconomici, in rapporto alle variazioni climatiche. Il terzo sottogruppo studia le possibili azioni dirette alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra quale meccanismo di limitazione e contenimento dei cambiamenti del clima. Il quarto sottogruppo, denominato Task Force on National Greenhouses Gas Inventories raccoglie le informazioni per un catalogo di quei gas che liberati nell'atmosfera ne aumentano l'effetto serra. L' IPCC ha prodotto nel 2007 il suo quarto rapporto aggiornando lo stato dell'arte delle conoscenze sulle variazioni climatiche in corso; allo scopo sono state esaminate circa 29.000 serie di dati.
In una semplificazione del clima e delle sue variazioni, un modello termodinamico di grande efficacia a scala globale considera il bilancio energetico della Terra attraverso il flusso dell'energia radiante. Il bilancio è la somma algebrica della radiazione suddivisa in quella entrante, principalmente di origine solare, e quella uscente verso lo spazio siderale, emessa sia per riflessione di quella solare sia per effetto termico come radiazione di corpo nero. Il risultato di un tale modello è la temperatura termodinamica di equilibrio dell'atmosfera quale si ricava dall'insieme delle osservazioni meteorologiche. Le variazioni percentuali e assolute della concentrazione atmosferica di gas a effetto serra, degli aerosol, della radiazione solare e delle proprietà della superficie terrestre alterano l'equilibrio termodinamico su cui poggia il sistema climatico. Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e anidride nitrosa (NO2) sono aumentate per effetto delle attività umane sin dall'inizio dell'era industriale e oggi hanno raggiunto valori molto superiori a quelli dell'età preindustriale misurati attraverso l'analisi dei paleoghiacci antartici e della Groenlandia. La concentrazione di CO2 è passata da un valore della fase preindustriale di circa 280 ppm (parti per milione) a 379 ppm nel 2005. L'intervallo di variabilità di questa concentrazione ricavato dai paleoghiacci va da 170 a 300 ppm nel corso di 650.000 anni. La crescita annuale dell'anidride carbonica durante il decennio 1995-2005 è stata di 1,9 ppm/anno, superiore alla crescita media osservata dall'inizio delle misurazioni della CO2. Dal 1960 al 2005 la crescita media è stata di 1,4 ppm all'anno. L'aumento è dovuto principalmente all'uso di combustibili fossili e in misura minore alla ri-duzione delle foreste che assorbono la CO2 atmosferica. L'emissione totale di CO2 è passata da (23,5±1,5)∙109 tonnellate/anno negli anni Novanta del XX sec. a 26,4±1,1)∙109 tonnellate/anno nel 2005. Il metano atmosferico ha avuto anch'esso un fortissimo incremento per effetto delle attività umane principalmente agricole raggiungendo nel 2005 una concentrazione di 1732 ppb (parti per miliardo) a fronte di un intervallo da 320 a 790 ppb lungo i 650.000 anni di rilevazioni dedotte dai paleoghiacci polari. Il rapporto 2007 dell'IPCC attribuisce un'altissima probabilità all'aumento di concentrazione dei gas a effetto serra quale causa principale dell'aumento della temperatura dell'atmosfera per effetto della diminuzione della radiazione emessa dalla Terra verso lo spazio. Si ritiene che la combinazione dei vari gas dia un contributo radiativo al riscaldamento terrestre di 2,3+2,53-2,0 W/m2 superiore a quanto stimato per gli ultimi 10.000 anni. L'aumento dovuto all'anidride carbonica è stato di circa il 20% dal 1995 al 2005 ed è stato il maggiore per un solo decennio dagli ultimi 200 anni. La variazione climatica in atto presenta un inequivocabile riscaldamento che diviene sempre più evidente dalle osservazioni di un aumento della temperatura dell'atmosfera, delle temperature rilevate alla superficie degli oceani, da un generalizzato fenomeno di fusione di ghiacci e nevi perenni e dall'elevazione del livello dei mari. Quest'ultimo è dovuto all'apporto di acque meteoriche e, in misura maggiore, all'aumento di volume della massa liquida per dilatazione termica.
Considerando i dodici anni più caldi dal 1850, anno d'inizio delle misurazioni strumentali della temperatura dell'aria, a oggi, undici di questi sono compresi nel periodo 1995-2006. La rapidità dell'aumento della temperatura si è raddoppiata nella seconda metà del XX sec. rispetto alla prima metà. Il temuto effetto delle isole di calore urbane sembra avere un risultato trascurabile sul riscaldamento globale, nella misura di soli sei millesimi di grado centigrado sulla terraferma e zero sugli oceani. L'aumento di vapor acqueo in atmosfera è compatibile con l'accresciuta capacità di contenimento per effetto dell'innalzamento della temperatura dell'aria. Ghiacciai e nevi perenni sono in diminuzione in entrambi gli emisferi e si ritiene che siano responsabili dell'aumento del livello dei mari nel periodo dal 1993 al 2003. Il livello globale degli oceani è aumentato di 1,8 (±0,5) mm/anno dal 1961 al 2003. Dal 1993 al 2003 l'altezza dei mari è cresciuta di 3,1 (±0,7) mm/anno. Si stima che il processo d'innalzamento sia iniziato nel XIX sec. e che la media dell'aumento nel XX sec. sia stata di 0,17 metri. I nuovi e più recenti valori sono stati ricavati dalle osservazioni dei satelliti geofisici. Nel clima di aree sia continentali sia regionali e intorno a bacini quali il Mediterraneo, si sono osservati numerosi cambiamenti, anche di lungo termine: la riduzione dell'estensione della calotta polare artica, la differente distribuzione delle piogge in quantità e tipo, la circolazione dei venti, periodi aridi ed eventi alluvionali con sempre maggiore frequenza. Con l'intento di discriminare la componente antropica delle variazioni climatiche da quella naturale, l'IPCC ha esaminato nel suo quarto rapporto anche ricerche paleoclimatiche. L'informazione paleoclimatica conferma l'ipotesi che il riscaldamento osservato nella seconda metà del secolo scorso sia anomalo in rapporto agli ultimi 1300 anni. L'ultima volta in cui le regioni polari ebbero una temperatura superiore a quella attuale risalirebbe a 125.000 anni fa, durante un'epoca interglaciale in cui il livello dei mari fu da 4 a 6 metri al di sopra dell'attuale e l'orbita terrestre lievemente differente. La conclusione del quarto rapporto IPCC pone molta attenzione sul fatto che la responsabilità dell'accelerazione delle variazioni climatiche in corso sia attribuibile con grande probabilità alle attività umane che determinano la variazione del bilancio termodinamico terrestre nel senso di un aumento della radiazione trattenuta dal pianeta. Le raccomandazioni per le autorità politiche convergono verso la necessità di ridurre l'impatto delle attività sul clima.
Le conoscenze acquisite di recente consentono di valutare alcune delle conseguenze delle variazioni climatiche sugli ecosistemi naturali e sulle attività umane. L'innalzamento della temperatura potrà essere seguito da diversi effetti tra cui gli aumenti della superficie dei laghi di origine glaciale, dell'instabilità dei suoli soggetti al permafrost, della frequenza delle valanghe. Per esempio nelle regioni polari artiche e antartiche le variazioni di temperatura e di superficie gelata cambieranno gli ecosistemi con conseguenze che potranno riguardare dai biomi nella zona di transizione acqua-ghiaccio ai superpredatori della catena alimentare, quali gli orsi polari e le orche. La variazione della temperatura porterà una differente distribuzione delle precipitazioni per localizzazione, per intensità e per quantità. I primi effetti riguarderanno l'agricoltura. In quella avanzata, dove i prodotti dipendono dall'irrigazione, sarà necessario reperire altrove le risorse idriche, che potranno venir meno o che comunque si distribuiranno diversamente nel corso delle stagioni. L'agricoltura dei paesi poveri potrebbe subire conseguenze disastrose allorquando le attese piogge stagionali non si presentassero o lo facessero in forme violente e quindi inutilizzabili. L'aumento del livello dei mari inciderà direttamente sugli insediamenti costieri e indirettamente sulle acque dolci costiere per effetto della penetrazione salina, che aumenterà in corrispondenza. In misura differente ogni continente sarà soggetto a queste variazioni ecologiche che soltanto per regioni limitate sembrano poter evolversi in un senso biologicamente positivo.
La locuzione inglese global change è entrata in uso anche nella lingua italiana per indicare i cambiamenti che si verificano nei differenti ecosistemi terrestri in conseguenza sia dei cambiamenti climatici sia dell'interazione tra tutti i sottosistemi fisici, chimici e biologici della Terra, nelle loro specifiche variazioni. La locuzione assunse un valore ufficiale quando fu introdotta nella legislatura dal Parlamento degli Stati Uniti con una legge del 1990 (Global change research act) che definì il global change come l'insieme dei "cambiamenti nell'ambiente dell'intero pianeta inclusi le alterazioni climatiche, la produttività agricola, gli oceani e le risorse idriche in genere, la chimica dell'atmosfera e gli ecosistemi che possono alterare la capacità della Terra di sostenere la vita". Ponendo maggiore e significativa importanza alle alterazioni che subisce l'ambiente nel suo complesso per effetto delle variazioni sia dei singoli sottosistemi sia complessivamente, all'espressione global change si va via via sostituendo quella di global environmental change (mutamento mondiale dell'ambiente). Non si deve però incorrere nell'errore di considerare il cambiamento ambientale globale quale effetto soltanto di azione umana, venendo quindi meno qualora cessasse tale azione. La trasformazione degli ecosistemi si è sempre avuta, in quanto la Terra è in continuo divenire da molto prima che l'uomo avesse su di essa capacità di modificazione paragonabile a quella attuale. Al riguardo, una grande incognita è rappresentata dal carattere di irreversibilità di alcuni fenomeni che soltanto da pochi anni incontrano l'interesse della ricerca. Un ulteriore problema riguarda l'azione settoriale dei ricercatori, che operano per discipline tradizionalmente separate ma connesse per lo studio dei cambiamenti climatici.
La Terra viene schematizzata come sistema complesso in cui si possono individuare sottosistemi tra loro concettualmente distinti ma fortemente interagenti. La visione analitica porta a suddividere un sistema complesso in sottosistemi quasi indipendenti che scambiano tra loro energia; questa è soltanto una semplificazione teorica che non si riscontra in natura.
Il concetto di global change si affermò tra gli scienziati alla fine degli anni Ottanta del XX sec., quando le misurazioni dei parametri caratteristici degli eventi meteorologici, effettuate in sequenza, iniziarono a discostarsi significativamente dalle serie di osservazioni raccolte negli anni precedenti e costituenti la base di valutazione e definizione del clima dei singoli luoghi per le varie stagioni. L'osservazione del cambiamento climatico divenne così evidente da far riflettere sulle conseguenze che si sarebbero avute in tutti i sistemi fisici e biologici dipendenti e interagenti con il clima in un processo continuo di causa ed effetto, con azioni e retroazioni tra le varie parti in mutua interazione. Fu allora che si cominciò a considerare il clima mondiale non più soltanto come una manifestazione a lungo termine delle caratteristiche fisiche della sola atmosfera. Il clima nella visione attuale è sia una delle cause del global change sia una delle sue conseguenze. Alla coscienza dell'importanza del global change si accompagna la ricerca di uno strumento di supporto alle decisioni politiche ed economiche, nazionali e internazionali, per un indirizzo dello sviluppo che sia efficacemente sostenibile. Risulta di primaria importanza l'obiettivo di aumentare le conoscenze sulle conseguenze possibili dei cambiamenti naturali e antropogenici nell'ambiente terrestre inteso nella sua globalità per monitorare, comprendere e cercare di prevedere e gestire con affidabilità scientifica tale cambiamento planetario. Affrontare il global change diviene una sfida cui l'umanità non può sottrarsi per le conseguenze che si potranno avere sulle condizioni di vivibilità di aree del pianeta sempre più ampie, destinate a divenire inospitali, come accadde alla fine dell'ultima glaciazione (periodo Wurmiano) circa 10.000 anni fa. L'area, ora occupata dal deserto del Sahara, era allora una regione fertile che beneficiava di piogge regolari. Le acque meteoriche un tempo precipitate sono oggi sfruttate in grande quantità, soprattutto dalla Libia e dai Paesi sahariani, attraverso pozzi e acquedotti che si estendono per migliaia di chilometri nel deserto. Si tratta di una riserva idrica non rinnovabile destinata a esaurirsi.
Ogni sottosistema in cui si suddivide la Terra è a sua volta un sistema estremamente complesso con una propria continua evoluzione che non avviene isolatamente ma attraverso la mutua interazione con gli altri; da questa complessità naturale emerge l'estrema difficoltà di esaminarne l'evoluzione. Di conseguenza è ancora più arduo predire l'evoluzione del global change in modo affidabile per periodi inferiori al decennio. Il parametro fisico di maggiore importanza utilizzato per misurare le interazioni tra i sottosistemi della Terra è l'energia scambiata tra le parti nelle diverse forme.
L'atmosfera riceve energia per conduzione, convezione, irraggiamento (solare e terrestre), calore latente di transizione di fase principalmente dall'acqua presente sotto forma di vapore, di liquido e di solido. Per la sua natura gassosa l'atmosfera è stata la prima a evidenziare il global change attraverso la mutazione climatica manifestatasi con il succedersi sempre più frequente di eventi meteorologici in precedenza considerati rari ed eccezionali. La composizione chimica dell'atmosfera per effetto dell'immissione di prodotti di combustione subisce anch'essa una modificazione che porta a diverse reazioni tra le sue componenti. Queste possono alterare il clima e quindi essere elementi attivi per il global change: per esempio i clorofluorocarburi, capaci di ridurre lo strato di ozono stratosferico () aumentando la quantità di radiazione solare ultravioletta che giunge sulla superficie terrestre, con conseguenze sulla vegetazione e forse anche sulla fauna.
L'idrosfera, comprendente gli oceani, i laghi, i ghiacciai e anche l'acqua dell'atmosfera, subisce il global change sia attraverso la riduzione sempre più evidente delle masse solide dei ghiacci sia attraverso la mutazione delle correnti oceaniche. La riduzione dei ghiacciai continentali si mostra con sempre maggiore evidenza. La prima conseguenza è la variazione delle condizioni microclimatiche dei luoghi con risposta quasi immediata da parte delle specie vegetali che estendono il loro habitat verso quote sempre maggiori (per es., nelle regioni alpine il livello superiore delle foreste di latifoglie sale fino a penetrare il dominio delle foreste di conifere).
I grandi serbatoi di acqua allo stato solido sono le due calotte polari e il ghiacciaio che ricopre la Groenlandia. Durante la passata glaciazione il volume dei ghiacci che ricopriva sia le terre emerse sia parte degli oceani aveva assorbito una quantità di acqua marina tale da far scendere il livello dei mari del pianeta di circa 60 m, liberando così ampi territori costieri e congiungendo al proprio continente quelle che attualmente sono isole. Il processo di global change che si sta osservando sembra andare nella direzione opposta, con la fusione dei ghiacci e quindi con un conseguente aumento del livello dei mari. Poiché le coste con elevazione di pochi metri sul mare sono estese e intensamente abitate, una prima grave conseguenza ambientale legata all'aumento del livello delle acque sarà la migrazione delle popolazioni costiere verso regioni più elevate con la necessità di cambiamenti delle esigenze di vita. A causa di una modellazione non sufficientemente sviluppata, risulta ancora difficile la valutazione degli effetti delle variazioni che subiranno le correnti oceaniche in corrispondenza del lungo e copioso rilascio di acque dolci e fredde conseguente alla fusione dei ghiacci polari. Un primo e ancora semplice modello della corrente del Golfo, la corrente che mitiga il clima delle regioni europee affacciate sull'Oceano Atlantico, mostra un probabile forte indebolimento del flusso oceanico dal Golfo del Messico sino alla Gran Bretagna. Tale variazione delle correnti marine renderebbe molto inospitali intere regioni. Nel passato in Inghilterra era coltivata la vite, pianta mediterranea, a significare che l'effetto termico della corrente oceanica trasferiva energia sufficiente a mantenere la temperatura dell'aria e quindi del suolo a valori favorevoli per piante che oggi non allignano più nel medesimo territorio.
Per quanto riguarda la biosfera, con le tre componenti vegetale, animale e umana, nella valutazione del global change, in particolare degli effetti su zoosfera e fitosfera, si può parlare di azione induttiva dell'antroposfera come l'insieme delle attività umane che abbiano un impatto sul sistema Terra in modo globale. La consapevolezza dell'importanza del global change ha portato i governi di quasi tutti i paesi a prendere iniziative dapprima volte a conoscere l'entità del cambiamento, allo scopo di cercare di porvi rimedio o comunque di adattare le attività in modo da risentire in misura minore dei cambiamenti comunque conseguenti. A tale scopo si citano le attività delle varie agenzie delle scienze del sistema Terra e della gestione dell'ambiente in particolare quelle specialistiche dell'ONU, della FAO per gli aspetti riguardanti la produzione alimentare e dell'OMM per la sorveglianza del clima. Con il progetto internazionale GEOSS (Global earth observation system of systems) si intende raccogliere tutti i dati di osservazione del pianeta, rilevati dalla superficie e soprattutto dai satelliti, per cercare di misurare analiticamente il global change affinché le conseguenti decisioni politiche siano prese tenendo conto di una situazione più generale di quella valutata dall'IPCC, che si occupa soltanto del clima. Predire le tendenze future minimizzando gli impatti ambientali è di particolare importanza specialmente riguardo problematiche quali la disponibilità idrica, l'alterazione dei cicli del carbonio e dell'azoto, l'inquinamento dell'aria, delle terre, e delle acque, la biodiversità, la tutela della copertura vegetale del suolo e dei suoli in genere.
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