TEBE
. La più grande e famosa città dell'antico Egitto (long. 32°,6, lat. 25°,7), da Θῆβαι secondo la chiamarono i Greci. La città sorgeva sulle due rive del Nilo in corrispondenza della odierna Luxor (el Uqṣur) e el-Karnak. Il nome nazionale di Tebe Wŏśe> Wŏjśe (W'ś.t) deriva forse dallo scettro we'eś adorato nei primordî in essa. Già nella IV dinastia è attestata l'esistenza di una provincia Wŏśe, la IV dell'alto Egitto, della quale Tebe era dunque la metropoli. Di quanta importanza politica fosse allora non si intuisce. La sua fortuna venne iniziata dai nomarchi in essa residenti durante la X dinastia, i quali si ribellarono ai faraoni eracleopolitani é con un'aspra guerra quasi secolare riuscirono a conquistare tutto il paese e a dare a questo una nuova famiglia reale, la XI. Le tombe di questi gloriosi Enjótef e Menthótpe sono le prime testimonianze monumentali a noi pervenute. A quel tempo risale la denominazione Nî'e "la città" per eccellenza (njw.t, trascr. assira Ni'i, ebr. N' male vocalizzato No). Quali abbellimenti avesse Tebe sotto il medio regno è quasi oscuro. Un po' le nocque che i sovrani della XII dinastia, la più creativa, abitassero l'Egitto di mezzo. Quando sopraggiunsero gli Hyksôs, neppure la città rimase immune dagl'invasori; ma dopo cent'anni qui si levò un principe che bandì la guerra santa contro lo straniero e Tebe divenne la capitale di un impero. La sua posizione è tra le più felici del paese, circondata da una pianura senza fine. Il Nilo la divideva in due, ma le tre grandi isole facilitavano le comunicazioni. La parte principale della città è ad oriente con due grandi quartieri: Epteśôwe "il (più) valutato dei luoghi", a settentrione, ove oggi è Karnak, e Oppe "il gineceo" a mezzogiorno, a Luxor. Grandi palazzi risplendenti di vivi colori vennero elevati da ogni lato; vaste isole furono edificate dai ricchi funzionarî e dai nobili; un'estensione immensa di case albergò gli opulenti cittadini. Presso i templi giganteschi comunicanti per viali o canali con il Nilo, centro della vita, verso il quale stanno rivolti, si debbono porre le dimore dei sacerdoti, gli uffici amministrativi dei beni sacri, i magazzini, le stalle; per i principali forse anche un corpo di guardia. Lunghe vie, ampie piazze, il porto erano popolati da una folla variopinta che lucrosi commerci facevano arrivare da ogni parte del mondo di allora. Il lato occidentale di Tebe, Ḫaftetaḥrenbôweś "quella che sta davanti al suo Padrone (cioè il dio Amôn di Epteśôwe)" come si chiamava, era quasi tutto riservato alla necropoli; ma anche là c'erano i templi che diciamo funerarî, eretti dai faraoni per lo svolgimento delle liturgie a proprio beneficio negli annuali della morte e in determinate feste e posti sotto il patrocinio di una divinità. Vi abitavano quelli addetti a questo servizio religioso e gli altri che davano opera per le tombe come scalpellini, muratori, decoratori, imbalsamatori e simili. Tebe era cinta di un muro, ma il suo perimetro non si può rintracciare. A capo di ciascuna parte della città era preposto un governatore; e un corpo di polizia, Nubiani e Negri, assicurava con il bastone l'ordine. Le immense ricchezze che affluivano là da ogni paese dell'impero, i numerosi prigionieri di guerra, quelli almeno riservati agli ergastoli dello stato, favorirono senza dubbio l'ampliamento della città e nessuna età fu tanto gloriosa per essa quanto quella del magnifico Amenhótpe III. Durante la follia del suo successore Tebe venne abbandonata; ma non pare che fossero abbattuti santuarî. Anzi ne vennero costruiti per il nuovo dio e il danno si limitò a vedere cancellato dai monumenti il nome di Amôn. Venti anni dopo Tutanḫamôn trasferì di nuovo la capitale qui. I re della XIX e della X dinastia, impegnati nelle continue e dure guerre asiatiche, preferirono abitare nel Delta orientale, dove era più facile stare in contatto con gli eserciti operanti in quelle lontane regioni; ma Tebe non fu trascurata e insigni edifici sorsero ad accrescerne l'antico splendore. Dalla XXII dinastia incomincia la lenta decadenza della città. I faraoni si fissano definitivamente nel Delta e traggono con loro la schiera degl'impiegati e il mondo degli affari e Tebe rimane una città santa del regno. I gran sacerdoti del dio Amôn, rimasti soli padroni del campo, colgono l'occasione per costituirsi ben presto un grosso principato che abbracciava, oltre l'alto Egitto, cioè Ptireś "il paese meridionale", la ricca provincia della Nubia. Qualche volta i lontani sovrani si ricordavano della città santa, restauravano i templi che già cadevano, ne elevavano qualcuno nuovo, esentavano magari i cittadini dalle tasse; ma ciò non valeva a infonderle nuovi palpiti di vita. Una sorte peggiore doveva toccarle. La lotta fra l'etiope Tharkô (690-664) e Assarhaddon aveva condotto gli Assiri sin là (667) e pare che la rispettassero. Qualche anno dopo si ripresero le ostilità tra Tantamâne (663-656) e Assurbanipal con poca fortuna e Tebe venne miseramente saccheggiata (663). I bimbi furono sfracellati contro le mura; uomini e donne ridotti a schiavi; le immagini sacre, i tesori dei palazzi, i vasi d'oro e di argento, le pietre preziose, le stoffe dipinte, tutto fu preda della brutale soldataglia assira. Forse in questo tempo giunse sino tra gli Ioni la notizia di Tebe dalle cento porte, nella quale le case rigurgitavano di tesori (Iliade, IX, 381-4, interpolato). La rinascenza saitica avrà sentito l'importanza morale dell'antica storia egizia scritta sulle pietre di Tebe e non mancò di riparare le rovine; ma il teatro della nuova storia sorgeva lungo il Mediterraneo e i sette giorni almeno di viaggio che la separavano dall'apice del Delta decisero ancora del destino della vecchia gloriosa capitale. È attribuito a Cambise un altro spogliamento dei templi tebani, ma è pura calunnia. Con i Lagidi Tebe tenne alta la testa e si ribellò la prima volta a Filopatore ed Epifane, sostenendo per diciannove anni un sovrano nazionale; la seconda volta combatté per tre anni Tolomeo X Sotere II; venne espugnata nel 196 e 85 a. C. e raso al suolo l'abitato. La capitale del IV nomo dell'alto Egitto fu trasferita a Pathyris (Gebelēn); poi a Hermonthis (Armant). Neppure dei Romani subì tranquilla il dominio e Cornelio Gallo dovette conquistarla a viva forza. Alle sventure si aggiunse pure un forte terremoto che lese nel 27 a. C. parecchi edifici. Nel periodo della dominazione romana alcuni obelischi vennero portati via per ornare Roma. La città perdette la sua configurazione e si formarono varî villaggi. Con il trionfo del cristianesimo, chiese e conventi sorsero tra i vecchi santuarî; si ha menzione di Τρία Κάστρα nell'ambito di Tebe, non bene identificabili. Da essi tolse nome el-Uqṣur.
Sull'ampiezza della città le fonti egizie tacciono e non è dato stabilire con certezza quali luoghi fossero abbracciati da essa. Dei Greci che la descrissero, Diodoro (I, 46) le assegna 140 stadî di periferia; Batone di Sinope 3700 arure di superficie, ossia circa ha. 915. I suoi resti offrono lo spettacolo più imponente al mondo, sia per la vastità, sia per la grandiosità, sia per l'importanza storica. Anche un profano rimane stupito davanti alle meraviglie di quello che fu il maggior tempio di Tebe, elevato nel quartiere settentrionale di Epteśôwe, ad "Amôn-Sole re degli Dei". Là, al principio della XII dinastia, c'era un modesto santuario; ma Thutmóse I non lo giudicò più degno dell'impero da lui creato e lo ampliò con un cortile anteriore, limitato prima da un pilone (IV), poi da un altro interno (V) che collegò tra di loro; vi eresse un portico nell'interstizio e ornò l'ingresso con due obelischi. Hatšepsówe abbatté le 16 colonne per fare posto ad altri due obelischi più grandiosi. Poco dopo, Thutmóse III modificò le costruzioni; ne pose altre nell'interno; ad oriente aggiunse la magnifica basilica delle feste; prima del V internamente ancora un pilone (VI); un paio di obelischi avanti a quelli di Thutmóse I. Il re magnifico Amenhótpe III si limitò a mascherare alcuni difetti con una nuova facciata massiccia (il pilone III). Tuttavia mancava al tempio una sala ipostila e questa fu l'opera di Rameśśêśe I, Setôhe I e Rameśśêśe II. Essa ebbe una superficie di 5000 mq. (lunghezza m. 52; larghezza m. 103) e il soffitto era sorretto da una selva di 134 colonne, le dodici centrali di m. 24,30. Rameśśêśe II, che compì questa meraviglia, recinse tutto il santuario e all'entrata costruì un vestibolo con sue statue e un viale di arieti sacri. Occorreva completare l'edificio con un cortile e un nuovo pilone: il primo fu cominciato nella XXII dinastia; il secondo dai Tolomei, che però non riuscirono a compierlo. Sopra ogni muro del santuario i faraoni hanno scolpito con maggiore o minore arte le scene dei loro trionfi e quelle della loro pietà verso gli dei, soprattutto verso Amôn.
A metà del tempio, sul fianco sud, presso il lago sacro, un'altra successione di corti e di piloni (VII-X) conduce per un viale di sfingi al santuario della dea Mût. Questa era in origine un avvoltoio venerato presso il lago in foggia di ferro di cavallo, Ješrew, ed era divenuta la moglie di Amôn. La si era pure identificata con l'Uréo-Sáḫme e così appare nel tempio tebano a lei ricostruito da Amenhótpe III. Un altro viale conduce da qui alla dimora del dio Ḫónz, "il traversatore" (ossia la Luna), figlio dei due, famoso per il suo oracolo. La costruzione è della XX dinastia. Davanti, Evergete I elevò un grandioso portale. Sul lato settentrionale era venerato il dio della guerra Mont, altro signore di Tebe fin dalla XI dinastia.
Un lungo viale arrivava sino ad Oppe, il quartiere meridionale di Tebe. Il nome "Gineceo" era stato dato al tempio, perché là si trovavano donne concubine del dio Amôn e la stessa regina vi fungeva da sua moglie. Una visita solenne avveniva al capo d'anno; poi il dio, itifallico, ricevette culto nello stesso luogo quale "Amôn del gineceo". L'edificio attuale di Amenhótpe III possiede una sala ipostila e cortili ornati di eleganti colonne. Rameśśêśe II lo accrebbe di un pilone, sul quale incise scene e relazioni della sua guerra contro i Hittiti. Due obelischi ornavano l'ingresso e statue colossali si trovano anche sulla facciata.
Nella regione occidentale proseguono le meraviglie di Tebe. Un altro luogo sacro ad Amôn era At-Sé'me, dove oggi è Medīnet Habu (un convento copto del sec. V). Un grazioso periptero di Hatšepsówe che là si trova, venne ampliato poi, fino ai Tolomei. Ma il monumento principale è il palazzo con il tempio grandioso di Amôn costruito da Rameśśêśe III. La cinta di entrambi imita le fortezze della Siria e due torri vigilano l'ingresso. Disegni e iscrizioni si riferiscono alle campagne del faraone contro i Nubiani, i Libî, gli Asiatici e a rappresentazioni religiose. A poca distanza, a Dēr el Medīnel, va notato un piccolo elegante santuario alle dee Hathôr e Mé'‛e fondato da Tolomeo IV, terminato dai suoi successori.
Famose sin dall'antichità sono state le tombe dei re. Da Thutmóse I sino a tutta la XX dinastia 61 faraoni (a tanto sinora ammontano) si sono fatti seppellire nelle due valli di Bībān el-Mulūk. Questi ipogei, che i Greci dissero siringhe per la somiglianza con il flauto, si sprofondano (qualcuno per più di 210 m.) nella montagna con lieve declivio. Le tombe sono composte per lo più di una scala d'accesso, una o varie anticamere, corridoi, una sala centrale in cui era il sarcofago, qualche magazzino per la suppellettile funebre. Le pareti sono coperte di testi religiosi riferentisi all'oltretomba, al viaggio notturno del sole, invocazioni a questo dio. La più bella fra tutte per finezza e ricchezza di ornati è quella di Setôhe I, scoperta dal Belzoni nel 1817 e lunga m. 100. In un'altra regione, chiamata a torto Bībān el-Ḥarīm, quasi fosse la vallata delle regine, si trovò la tomba di Nefrtére, moglie di Rameśśêśe II, di altre regine della XX dinastia; ma anche quelle dei figli di Rameśśêśe III.
Le commemorazioni funerarie di questi personaggi non si poterono fare presso le loro tombe; perché la stretta valle non permetteva di costruire edifici. Questi furono trasferiti sulla pianura dove lo spazio non mancava.
L'esempio più antico di tempio funerario è quello di Nebḥpetîe Mentḥótpe dell'XI dinastia, che si fece seppellire a Dēr el-Baḥrī e presso la sua tomba rupestre elevò una piramide di mattoni sopra due terrazze fiancheggiate da portici. Il tempio di Amenhótpe I è a Dira‛-abu-n-naga; quello di Thutmóse II a Shêkh ‛Abd el-Qurnah; a Dēr el-Baḥrī, quello che Hatšepsówe consacrò per i riti funebri suoi e dei parenti sotto l'auspicio di Amôn, degli dei della necropoli Hathôr e Anubi. L'architetto ha immaginato un santuario consueto con pilone, tre cortili, una sala ipostile; ma dopo il primo cortile ha costruite due terrazze riconnesse con rampe e sostenute da mura, in facciata con portici di pilastri e su esse ha disposto i restanti elementi dell'edificio. Alcune pitture concernono la nascita divina della regina e la spedizione al Pwêne. Presso Shēkh ‛Abd el-Qurnah sono i templi di Thutmóse III; di Amenhótpe II, di Thutmóse IV; di quello di Amenhótpe III rimangono ora i due colossi che ornavano l'entrata, famosi col nome di Memnone (dal prenome del faraone ch'era Nebmarîe). Molto più grandiosi sono i templi eretti da Setôhe I per suo padre a rl-Qurnah e da Rameśśêśe II per il suo servizio funebre presso Shēkh ‛Abd el-Qurnah, la famosa tomba di Osymandyas (ossia di Wesimarîe) di Diodoro.
Le tombe dei privati cittadini per lo più alti funzionarî dell'impero, sono anch'esse scavate lungo la montagna libica sul lato che guarda Tebe e per la vivacità e la bellezza della loro decorazione non sono certo inferiori alle tombe reali, anzi per il valore storico le superano. Esse si trovano raggruppate a Dirâ‛-abu-n-naga (dell'impero); ad El-‛Asâsîf (della XXV e XXVI dinastia, una lunga 263 m.); a Šhēkh ‛Abd el-Qurnah (XVIII dinastia); ad El-chôcha (XVIII dinastia); a Deir el-Medīnah (impiegati della necropoli della XIX e della XX); a Qurnetmur‛ai (XVIII-XIX). Grazie ad esse la vita di ogni giorno della superba capitale ci è divenuta nota e familiare sin nei più intimi particolari così come per nessun'altra città. (V. tavv. LXXIX e LXXX).
Bibl.: Gli scritti intorno ai monumenti di Tebe compongono due volumi dell'opera di B. Porter e R. Moss, Topograph. Bibliography of anc. Eg. Hierogl., Oxford 1927-29: I, The Theban Necropolis; II, The Theban Temples. Opere generali: A. Blackman, Luxor and its Temples, Londra 1923; J. Capart, Thèbes, la gloire d'un grand passé, Bruxelles 1928; G. Legrain, Les Temples de Karnak, Bruxelles 1929; M. Pillet, Thèbes, Karnak et Louxor, Parigi 1930; id., Thèbes, palais et nécropole, ivi 1930.