TARQUINIA (A. T., 24-25-26 bis)
Piccola città del Lazio settentrionale (provincia di Viterbo) situata a 149 m. s. m. Sorge sopra un poggio, sulla sinistra del fiume Marta, al limite fra i terreni del Quaternario a ovest (sabbie e ghiaie) e quelli del Terziario a est (calcari e scisti argillosi). Dalla sommità del poggio si gode un meraviglioso panorama sulla campagna circostante, sui Monti della Tolfa e sul mare (Isola del Giglio, Montecristo e Giannutri).
Nel 1656 Tarquinia contava 2350 ab. circa; nel 1701, 1900; nel 1782, 2920; nel 1811, 2762: durante tutto il periodo napoleonico la popolazione, come quella di tutti gli altri centri abitati del Lazio, subì una notevole diminuzione; ripreso il naturale incremento, gli abitanti salirono a 5672 nel 1870, a 7219 nel 1901 e nel 1931 a 8402. Il territorio circostante è intensamente coltivato a seminativi con viti e ulivi; la superficie del comune (207,66 kmq.) è così suddivisa: seminativi 77,2%; superficie agraria e forestale: boschi 16%, prati, pascoli permanenti 2,4%; colture legnose specializzate 1,2%; incolto produttivo 2,8%. È stazione ferroviaria sulla linea Roma-Pisa e inoltre è collegata mediante servizio automobilistico con Porto Clementino, piccolo scalo marittimo presso la foce del fiume Marta.
Storia e arte. - Tarquinia (etr. Tárchuna, Tarchna; gr. Ταρκυνία; lat. Tarquinii) fu città etrusca e romana, le cui rovine sorgono sopra un colle presso il centro medievale e moderno di Corneto, che oggi ne ha ripreso il nome. Fu capitale di uno tra i più grandi e potenti stati dell'antica confederazione etrusca, esteso dal mare al Lago di Bolsena; e la sua posizione dominante, allo sbocco del fiume Marta sul litorale Tirreno, ne favorì lo sviluppo culturale ed economico in relazione con i paesi del retroterra e con gli altri centri costieri.
La leggenda etrusca ne riportava la fondazione all'eroe Tarconte (Tarchunu), discepolo del genio Tagete e depositario della sacra scienza dell'aruspicina. Le origini del centro abitato risalgono probabilmente all'inizio del primo millennio a. C. e coincidono con lo sviluppo della cultura dell'età del ferro in Italia. I ricchi corredi funebri e i grandi sepolcri architettonici attestano la floridezza di Tarquinia già alla fine del sec. VIII e nel VII a. C. In questo periodo, come anche nel sec. VI, la città dovette esercitare sull'Etruria marittima una funzione politica di primo piano; diede a Roma, secondo la leggenda, la dinastia dei Tarquinî (v.); partecipò alle lotte per l'egemonia etrusca nel Lazio.
Dopo il 500 a. C. Tarquinia, come le altre città etrusche, entrò in un lungo periodo di crisi politica ed economica, da porre in relazione con lo sviluppo della potenza delle colonie greche nel Tirreno. Al principio del sec. IV si manifestò la minaccia di Roma che, distrutta Veio, cominciò a premere sui confini dello stato tarquiniese. Una serie alterna di conflitti culminò nella guerra del 358-351 a. C., che fu un vano tentativo da parte dei Tarquiniesi di stroncare la potenza romana in Etruria. Fu pattuito un trattato di pace di 40 anni, e in seguito Tarquinia entrò pacificamente, come stato federato, nell'orbita politica di Roma. Dopo la concessione della cittadinanza agli alleati (90 a. C.), la città fu municipio ed ebbe particolare splendore sotto gli Antonini. Sede di vescovato, subì un rapido declino nel Basso Impero e cessò di esistere come centro abitato già al principio del Medioevo, quando l'abitato si trasportò nel luogo di un vicino oppido assumendo il nome di Corneto. Il primo periodo della sua storia, che va fino al sec. XIV, è caratterizzato dal formarsi di un bellicoso comune che estese a poco a poco la sua potenza sul litorale antistante e sul mare. Guelfo e legato alla sede romana, esso resistette ad un assedio di Federico II e osteggiò l'affermazione imperiale di Enrico VII. Aspre guerre con Viterbo caratterizzano i suoi tentativi di espansione all'interno, mentre un trattato navale con Pisa ne sottolinea la presenza sul mare. Dopo le imprese militari dell'Albornoz, Corneto divenne il porto principale del Patrimonio: passò poi sotto la signoria più o meno larvata dei Vitelleschi, che culminò con la potenza del Cardinale Giovanni (v.) nella prima metà del sec. XV. In questo periodo la città divenne sede di diocesi e i suoi abitanti furono onorati della cittadinanza romana. Più tardi Corneto seguì la sorte dello Stato Pontificio e si trasformò in un piccolo centro provinciale, che riacquistò fama soltanto nel corso del sec. XIX in causa delle scoperte archeologiche avvenute nei suoi dintorni.
La città etrusca sorgeva sullo sperone roccioso del colle Piano di Civita: restano gli avanzi della grande cinta a blocchi squadrati, interrotta da porte, riferibile al sec. IV-III a. C.; tracce di abitazioni e di un santuario con i suoi ex voto. L'orientamento delle strade sembra quello regolare della castrametatio, a vie parallele e incrociate, che i Romani appresero dagli Etruschi. Sull'altura orientale del colle s'incontrano invece di preferenza ruderi di edifici di età romana, come le cosiddette Terme Tulliane che restituirono musaici e iscrizioni, e il grande podio a blocchi, forse costruzione di un tempio, detto Ara della Regina.
I sepolcreti si estendono tutti attorno alla città; ma la necropoli più ricca ed estesa occupa il Colle dei Monterozzi, parallelo al Piano di Curta, partendo dall'area della città odierna. L'interesse maggiore della necropoli tarquiniese è costituito dalle tombe a camera sotterranea adorna di pitture, riferibili a scene di vita (banchetti, giuochi, culto, ecc.) o di morte (il defunto sul letto, rimpianto intorno al defunto), a immagini dell'oltretomba (viaggio agl'Inferi, Averno etrusco e suoi abitatori). Esse costituiscono la più ampia e continua documentazione dello sviluppo della pittura etrusca dal sec. VI al II a. C. Di una cinquantina di tombe dipinte note, sono tuttora visibili quelle delle Leonesse, della Caccia e Pesca, della Pulcella, dei Leopardi, del Letto funebre, del Triclinio, dei Baccanti, della Caccia al cinghiale o Querciola, dei Festoni, del Morto, del Tifone, degli Scudi, del Cardinale, di Polifemo o dell'Orco, del Vecchio, dei Vasi dipinti, del Barone, delle Due bighe o di Francesca Giustiniani, dei Tori, del Morente, delle Iscrizioni, della Corsa delle bighe, del Mare, degli Auguri, del Pulcinella. Notevoli sono anche le tombe a tumulo (del sec. VII-VI) che dànno un aspetto caratteristico alla zona della necropoli.
Bibl.: L. Dasti, Notizie storiche-archeol. di Tarquinia e Corneto, Roma 1878; F. Weege, Etrusk. Malerei, Halle 1921; Corpus Inscript. Etrusc., II, fasc. 3; M. Pallottino, Tarquinia, in Mon. antichi dei Lincei XXXVI (1936).
Tarquinia è insigne anche per le memorie medievali e per i monumenti che vi si affollano dentro le mura difese da torrioni, per l'aspetto pittoresco dei suoi quartieri e in specie per quello detto Corneto Vecchio irto delle sue venticinque torri.
Contiguo a questo quartiere è il recinto del castello della contessa Matilde di Canossa indicato dai ruderi della cinta e dalle alte torri che s'innalzano nei lati accessibili e ne difendono l'antica porta. Intorno al 1121 qui giunsero le maestranze lombarde chiamate per la ricostruzione dell'antica chiesa castellana, detta perciò Santa Maria in Castello e vi portarono uno schema che sembra discendere dal S. Ambrogio di Milano.
La pianta e l'alzato palesano un edificio a tre navate costruito per un sistema di vòlte a crociera su nervature in pietra, interrotto a metà da una cupola di cui non rimangono che i pennacchi sferici, e nel quale desta grande interesse la soluzione delle tre absidi e specialmente di quella di mezzo, coperta da semicalotta rinforzata da costoloni radiali, sporgente su corpo poligonale all'esterno. Il prospetto iniziato dai maestri romani si presenta slegato nella sua massa e rifinito solo nelle tre porte e nella bifora centrale. La porta firmata da Pietro di Ranuccio è modellata con una timidezza che sembra evitare effetti di chiaroscuro e affidarsi al brillare del musaico distribuito in liste geometriche: la bifora, che gli è sovrapposta (1143) segue lo stesso principio. Nel presbiterio un ciborio d'altare firmato da Giovanni e da Guittone figli di Nicolò (1166) seguì lo schema romano a quattro colonnette architravate. Un discendente della stessa famiglia, Giovanni di Guittone scolpì (1209) l'ambone dell'Evangelio sul tipo dei pulpiti romani.
Alle stesse maestranze del sec. XII va attribuita la chiesetta di S. Giacomo Apostolo a una nave tutta voltata secondo il sistema lombardo. Nel quartiere antico è l'interessante chiesa di S. Pancrazio del sec. XIII. In vicinanza si trovano il palazzo comunale con i resti dell'antica struttura nella faccia posteriore e il gruppo di torri conosciuto col nome di Palazzo dei Priori.
Molte chiese minori dimostrano l'attività edilizia che si sviluppò nel piccolo centro nel periodo di transizione tra il romanico e il gotico. Nella SS. Annunziata (Orfanotrofio) la struttura interna è una delle più caratteristiche di tipo cluniacense rimaste in Italia; il prospetto fu forse eseguito dagli stessi maestri che lavorarono in Santa Maria Maggiore di Tuscania. La parrocchiale di S. Martino conserva nel prospetto buoni elementi dello stesso tempo. Così S. Giovanni Hierosolimitano ha l'ossatura del sec. XIII; così la chiesetta di S. Salvatore, con abside di tipo lombardo coronato da arcatelle su colonnine cordonali, che sembra molto più antica perché eseguita da artisti paesani. Del periodo gotico sono la chiesa di S. Francesco e la cattedrale distrutta da un incendio nel 1642, ricostruita nel 1656 circa, mirabile per importanza di masse e per l'unica parte rimasta in piedi che è il coro voltato a crociera nel Quattrocento, dove sono affreschi alle pareti rappresentanti storie della Vergine attribuite al Reatino e al Pastura (1508).
Anche l'architettura civile ebbe a Tarquinia un possente sviluppo. Il palazzo Vitelleschi, eretto dal cardinale Giovanni (1436) al tempo di papa Eugenio IV, forma anche oggi il principale ornamento della città per l'eleganza dei particolari e per l'importanza delle muraglie scolpite a bugnato sovrapposte a una zona basamentale di levigata cortina. Ora è sede di un ricco museo di antichità locali, che contiene il materiale proveniente dagli scavi dell'antica Tarquinia (suppellettili dei sepolcri primitivi a incinerazione e inumazione; ricche serie di vasi importati dalla Grecia, bronzi, terrecotte, rilievi arcaici, sarcofagi figurati, iscrizioni), e, tra le opere d'arte del Rinascimento, una Madonna di Filippo Lippi (1438).
La parte antica del palazzo Vitelleschi si sviluppò in un seguito di sale riunite in un corpo che si affaccia con grandi trifore sulla Piazza Cavour e prospetta lateralmente sulla Piazza Soderini, raggiungendo l'altezza di due piani su cui grava un bel coronamento a mensole. A fianco è la scala indicata sul prospetto da tre piani di piccole bifore. Un'aggiunta al palazzo deve ritenersi tutta l'ala che, congiunta con questa scala, risvolta sulla Via Mazzini formando quasi corpo separato a minore altezza, compiuto da loggia architravata. In questo corpo un bel portale a timpano di stile Rinascimento dà accesso al cortile chiuso per due lati da eleganti portici in sesto acuto sviluppati in doppio ordine. Il motivo delle logge esterne si ripete al terzo piano di questo cortile.
V. tavv. LIX-LXII.
Bibl.: E. Wille, Relazione della escursione sociale a Corneto Tarquinia, in Associazione art. fra i cultori di architettura in Roma, Roma 1904; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I: Il Medioevo, Torino 1927, p. 581 segg.