TARLATI, Tarlato (Tarlatino). – Nacque verso il 1280, ad Arezzo o in uno dei castelli della famiglia, da Angelo di Tarlato, ultimogenito (ma quarto maschio) di sei figli; secondo Giovanni Villani sua madre sarebbe stata una Frescobaldi di Firenze. Ebbe il nome tradizionale della famiglia, portato da altri tre personaggi, e forse per questo nella sua giovinezza fu conosciuto come Tarlatino. Tra i suoi fratelli, Pier Saccone e Guido (v. le rispettive voci in questo Dizionario)
All’epoca, il lignaggio dei Tarlati o da Pietramala non aveva ancora consolidato né la prima denominazione cognominale (derivata dal soprannome di un avo, di cui appunto Tarlato ripeteva il nome), né la seconda (derivata dal principale castello detenuto dalla famiglia, a poca distanza dalla città). Sulle origini della famiglia non ci sono certezze, ma pare sicura la loro connotazione signorile e rurale almeno dal XII secolo, con una spiccata propensione per la zona a est della città, verso la Valcerfone e la Valtiberina. In ogni caso alla fine del XII la famiglia era inurbata, pur mantenendo la sua base signorile nel contado; il Duecento fu il secolo della loro affermazione urbana. I Tarlati sperimentarono presto, dunque, la competizione politica, all’interno della locale parte ghibellina, pur senza egemonizzarne la guida. Le più recenti ricerche hanno evidenziato la multiforme strategia di affermazione sociale dei Tarlati: si trovano tracce di un loro inserimento tanto nell’economia urbana (in qualità di prestatori/banchieri), quanto nella chiesa locale, anche se non in posizioni di primo piano, quanto infine nel circuito podestarile della regione, che comportava una rilevanza politica non limitata e un’universale rinomanza. Tali circostanze, unite alla solida base signorile e alla prolificità, motivarono un’ascesa politica non disprezzabile. Nella generazione dei figli di Angelo di Tarlato, ai diversi membri del vasto consortile fu affidato un ambito d’azione differente.
Mentre Guido fu avviato alla carriera ecclesiastica e Pier Saccone a quella politico-militare, la vocazione di Tarlato pare essere stata essenzialmente militare, anche se non mancò qualche incarico politico. Invero, durante gli anni di signoria del fratello Guido (vescovo dal 1312 e signore di Arezzo dal 1321) Tarlato (che nel 1316 si era frattanto sposato – si è conservato l’atto di procura per contrarre il matrimonio – con Giovanna figlia del conte Fuccio da Santa Fiora, acquisendo verosimilmente una buona dote) figura molto di rado nella documentazione. Tuttavia già da questo periodo si nota una sua particolare disposizione alla costituzione di una signoria rurale che andasse a ingrandire quella ereditata. In ciò furono fondamentali il ruolo dei fratelli ma anche la disponibilità finanziaria: nel 1318-20 egli acquistò il castello di Montecchio di Bibbiena dai precedenti signori, sborsando la cifra di 3300 lire. Nel 1323 acquistò dai Guidi un ottavo del viscontado d’Ambra (una delle quattro partizioni del contado aretino), subito però ceduto a un altro ramo dei Guidi stessi e forse riacquistato nel 1331. Ci sono tracce di una sua attività economica che potrebbe giustificare questa disponibilità di denaro: nel 1318 cedette ai Camaiani un complesso di crediti che adombra un suo probabile coinvolgimento nel prestito a interesse. A questi acquisti monetari si devono aggiungere le sue conquiste personali, fatte con le armi o mediante accordi: in qualche modo infatti egli era entrato in possesso di Chiusdino e Montieri, sulle Colline metallifere maremmane, dato che nel 1338 li donò a Niccolò dei Cerretani di Siena.
Il favore del fratello Guido gli fruttò poi, nel 1324, la podesteria di Castiglion Fiorentino (allora Aretino), centro di pertinenza imperiale ma sul quale i Tarlati avevano già iniziato a costruire un dominio familiare, a cominciare da Pier Saccone, vicario imperiale dal 1311. Può darsi che egli tenesse la podesteria per lunghi anni, a dispetto della nomina che si voleva semestrale, dato che nel 1336 risulta ancora podestà del piccolo centro, come può darsi che ottenesse ulteriori incarichi dopo il primo. Di certo la rettoria del castello fu da lui prevalentemente esercitata tramite vicari, date le maggiori incombenze che gli toccarono in questi anni.
L’anno cruciale per le fortune della famiglia fu il 1327. La discesa di Ludovico il Bavaro in Italia riaccese le speranze di tutti i ghibellini della penisola e ad Arezzo i Tarlati furono i suoi primi e più forti sostenitori. L’improvvisa morte di Guido, vescovo e signore (1327), e l’avvicendamento con Pier Saccone accrebbero sensibilmente il ruolo di Tarlato; anche se non fu ufficialmente associato alla signoria, non è dubbio che egli si rivelasse un ausilio indispensabile per il fratello, ora assorbito dal governo della città. Nel 1328, insieme a Pier Saccone, Tarlati fu creato cavaliere a Roma dall’imperatore, in occasione della nuova sua incoronazione, e successivamente sulla via del ritorno lo accompagnò da Arezzo a Pisa, ove fu nominato dal Bavaro «vicarius generalis Pisane civitatis et comitatus pro imperatoria maiestate» (Ronzani, 2013, p. 127): una carica prestigiosa, che tuttavia egli riuscì a mantenere per poco tempo dopo la partenza dell’imperatore, finendo cacciato, nel giugno del 1329, da una rivolta dei pisani.
Tornato ad Arezzo, Tarlati riprese il ruolo di braccio destro del fratello signore. I documenti di questi anni infatti mostrano i due fratelli spesso appaiati, senza che nessun riconoscimento formale toccasse tuttavia al minore dei due. Ma il suo ruolo appare importante nella lunga trattativa diplomatica con la S. Sede svolta nel 1331 per far assolvere la città dall’interdetto. In effetti l’unico titolo che la documentazione gli riconosce è quello di governatore dell’episcopato aretino (con il fratello), sostanzialmente per l’amministrazione dello stesso, dato che pur in presenza di un nuovo vescovo di nomina pontificia (impossibilitato a entrare in città), la famiglia controllava la gestione dei cospicui beni dell’episcopato. È verosimile tuttavia che in questi anni abbia guidato numerose imprese militari personali, solo parzialmente ricordate dalle fonti in maniera diretta, dato che del suo controllo di numerosi castelli veniamo a sapere nel momento in cui li cedette.
Nel 1337 infatti Pier Saccone, stretto dappresso dalle armate fiorentine e perugine collegate, preferì cedere la signoria della città a Firenze in cambio di condizioni vantaggiose. Tarlati non solo partecipò con il fratello agli accordi, ma oltre a ciò in virtù di questi e di ulteriori accordi fu costretto a cedere ai nuovi dominatori numerosi castelli da lui controllati.
Il ruolo di privato cittadino cui la forzata smobilitazione lo costrinse mal si addiceva a un ‘militare di vocazione’. Nel 1341, alla notizia della cessione di Lucca ai fiorentini, Pisa si mosse in armi per scongiurare quella che poteva essere una grave iattura per la città, e i fiorentini si mobilitarono a loro volta per soccorrere la città assediata: Tarlati volle partecipare all’impresa, onorando l’alleanza fiorentina, con un contingente di cavalieri. I pisani tuttavia sconfissero l’oste di soccorso, prendendo molti prigionieri, ma Tarlati scampò arditamente alla cattura rifugiandosi a Lucca. Ma poco dopo, appreso di una congiura che si preparava ad Arezzo contro il suo dominio, il governo di Firenze fece catturare Tarlati (così come il fratello Pier Saccone); affidato alla custodia dei lucchesi, riuscì a fuggire rifugiandosi nel campo pisano. Non stupisce dunque che l’anno successivo (1342), quando Cecco Magalotti e Roberto Tarlati organizzarono un rientro in armi ad Arezzo dei ghibellini, Tarlati si mettesse alla testa del contingente di fuoriusciti. L’impresa non riuscì, ma nel 1343 l’avvento del duca di Atene a Firenze cambiò le carte in tavola: Pier Saccone fu liberato e Tarlato fu addirittura, secondo Villani, chiamato a far parte del Consiglio del nuovo signore. Perciò i rapporti con Firenze si distesero (nonostante la veloce fine della signoria del duca); anche ad Arezzo si giunse a una pacificazione con la famiglia: nel 1345 il podestà fiorentino restituì a Tarlati alcuni beni che gli erano stati confiscati.
Allo stesso periodo probabilmente risale una lettera non datata diretta a Bocchino Belforti, signore di Volterra. La missiva, oltre a dimostrare una notevole consuetudine fra i due, certamente non nata il giorno avanti, segnala un ruolo di potere e una vasta clientela politica per l’aretino, ancor più significativi se si pone mente al fatto che ormai il lignaggio non esercitava più alcun dominio su Arezzo.
In un’importante committenza religiosa dell’ormai anziano Tarlati, è con lui attiva anche la moglie Giovanna: nel 1348 infatti entrambi figurano finanziatori della nuova chiesa del convento della Verna. L’affezione per una delle culle del francescanesimo non dimostra solo le esigenze spirituali dei committenti, ma anche un forte legame territoriale, dato che in questi ultimi anni Tarlati si era ormai stabilito nel castello di Chiusi della Verna (già dei Cattani di Chiusi). Nello stesso 1348 infatti egli vi dettò il suo primo testamento, che oltre a un lascito per i camaldolesi stabiliva una dote di 500 fiorini per la figlia Gora. Probabilmente malato, Tarlati sopravvisse per altri cinque anni, come prova il suo secondo testamento del 1353, nel quale menzionava un solo figlio maschio, Cecco, assente e lontano, come erede universale e, in caso di scomparsa di quest’ultimo, le nipoti Agata e Lucia. Dovette morire nello stesso anno, dato che non figura più menzionato in nessuno degli atti riguardanti la famiglia e in primo luogo la pace di Sarzana, che si preoccupava di salvaguardare i Tarlati come aderenti del vescovo di Milano, Giovanni Visconti.
Fonti e Bibl.: Arezzo, Archivio Diocesano e Capitolare, Pergamene Ex archiviis variis, n. 523; Fraternita del Clero, Testamenti e memorie, n. 92; Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, 9934, c. 22r (12 dicembre 1316). Annales Arretinorum maiores et minores, in RIS, XXIV, 1, a cura di A. Bini - G. Grazzini, Città di Castello 1909-1912 (anche in U. Pasqui, Documenti, IV, pp. 37-76 e 77-81); U. Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, II-IV, Firenze 1916-1932 (il vol. IV ristampato ad Arezzo 2012); Cronica dei fatti d’Arezzo di ser Bartolomeo di ser Gorello, in RIS, XV, 1, a cura di A. Bini - G. Grazzini, Bologna 1917-1922 (anche in U. Pasqui, Documenti, IV, pp. 97-255, con il titolo Cronica in terza rima di ser Bartolomeo di ser Gorello); G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Parma 1991, ad indicem.
L. Berti, Arezzo nel tardo Medio Evo (1222-1440). Storia politico-istituzionale, Arezzo 2005, passim; A. Barlucchi, Le istituzioni e la politica trecentesca, in Arezzo nel Medioevo, a cura di G. Cherubini et al., Roma 2012, pp. 135-144; Id., Note sulla signoria aretina del vescovo Guido Tarlati, in Le signorie cittadine in Toscana. Esperienze di potere e forme di governo personale (secoli XIII-XV), a cura di A. Zorzi, Roma 2013, pp. 169-193 (in partic. pp. 171 s.); L. Fabbri, Un esperimento di signoria familiare: i Belforti di Volterra, ibid., p. 244; M. Ronzani, L’imperatore come signore della città: l’esperienza pisana da Arrigo VII a Carlo IV, ibid., p. 127; G.P.G. Scharf, La lenta ascesa di una famiglia signorile: i Tarlati di Pietramala prima del 1321, in Archivio storico italiano, CLXXII (2014), pp. 203-248; P. Licciardello, Un vescovo contro il Papato: il conflitto fra Guido Tarlati e Giovanni XXII (1312-1339), Arezzo 2015; G.P.G. Scharf, I prodromi della nobiltà di due famiglie urbane: i Camaiani e i Guasconi di Arezzo, in Annali aretini, XXIII (2015), p. 193; P. Licciardello, Arezzo e i Tarlati, tra scomunica e interdetto (1319-1344), in corso di stampa.