Tappeti di pietra: evasione e autorappresentazione nei mosaici della tarda antichita
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella tarda antichità dalle province africane si diffonde la moda dei mosaici dai vivaci colori che illustrano, come veri e propri arazzi in pietra, i rituali sociali e i capisaldi della cultura letteraria e mitologica da cui i proprietari delle residenze di lusso vogliono mostrarsi circondati: l’aristocratico romano che ha commissionato i mosaici di età costantiniana per la sua villa presso Piazza Armerina ce ne ha lasciato l’esempio più monumentale e programmaticamente coerente.
La funzione dell’architettura domestica romana è molto diversa da quella odierna: se per noi la casa è essenzialmente lo “scrigno” che protegge la parte privata della nostra esistenza, per un aristocratico di Roma o per un notabile di un municipium italico essa è il teatro della rappresentazione sociale, il banco di prova in cui si costruisce o si consolida il consenso dei pari e l’ammirazione dei subordinati. La casa contribuisce con tutte le sue parti strutturali a questa messa in scena: percorsi, pareti, pavimenti non sono semplici divisori o superfici calpestabili ma potenti strumenti di comunicazione. Oggi possiamo forse difficilmente comprendere la cura riservata, per esempio, ai rivestimenti pavimentali, abituati come siamo a ragionare in termini di funzionalità o tutt’al più di valore intrinseco dei materiali prescelti; se ci caliamo però nei panni di un ospite ammesso alla frequentazione di una ricca domus e invitato, ad esempio, a prendere parte ad un banchetto dobbiamo annoverare, tra i vari piaceri offerti, anche la contemplazione di un quadro a mosaico ben visibile al centro del pavimento della sala, il cui soggetto, la raffinatezza dell’esecuzione e, perché no, la firma d’artista dicono sul padrone di casa ciò che egli vuole si sappia di lui.
La passione per i mosaici si afferma nel mondo romano già nel corso della media età repubblicana, quando gli aristocratici e i ricchi parvenus desiderosi di impressionare i loro ospiti imparano ad apprezzare sia la tecnica sia il linguaggio artistico mediante i quali i mosaicisti di Rodi, Alessandria e Pergamo realizzavano, con minute tessere in pietra o vetro, complesse composizioni degne della migliore tradizione pittorica greca. Per rispondere a questa domanda, si importano dalla Grecia o dall’Asia Minore dei quadretti figurati detti emblémata, eseguiti in tessere minute da atelier specializzati e destinati ad essere alloggiati al centro di un pavimento a semplici motivi geometrici: la sola Pompei ne ha restituito circa 40 esemplari, tra cui il più prestigioso, il Mosaico di Alessandro che decorava un ambiente della Casa del Fauno, costituisce un vero e proprio dipinto in pietra.
Con l’avvento dell’impero i costosi quadretti a mosaico si fanno più rari e anche l’esuberanza cromatica cede il posto ad un più discreto bianco e nero; alla perdita del colore si ovvia con la maggiore estensione dei mosaici che tendono a coprire, simili a veri tappeti in pietra, l’intero pavimento della stanza, come rivelano soprattutto le testimonianze di Ostia. Dietro questo cambiamento c’è probabilmente un’evoluzione del gusto verso una maggiore sobrietà; tuttavia anche i mutamenti sociali in atto devono aver giocato il loro ruolo nell’abbandono della decorazione figurata: lo svuotamento di significato delle carriere politiche connesso all’affermazione del principato riduce infatti le esigenze di autorappresentazione degli aristocratici, mentre i nuovi ricchi, che non hanno ambizioni di successo politico, affidano ad altri mezzi (le dimensioni degli ambienti, il pregio dei materiali) la propria ricerca di decoro.
Perché l’abitazione privata ritorni ad essere il luogo dell’ostentazione del lusso bisognerà attendere la fine del III o il IV secolo, quando il nuovo ceto dirigente costituito dai potentiores provinciali, ovvero dalle élite locali che, forti del possesso di terre, accedono alle più alte funzioni di stato, si dota di villae che emulano i palazzi imperiali.
In questa data l’arte del mosaico raggiunge il suo apice soprattutto nelle ricche province nordafricane, in particolare nell’Africa Proconsularis corrispondente all’attuale Tunisia, complice l’esistenza di una classe dirigente di grande agiatezza desiderosa di fare della propria dimora uno strumento di autopromozione e di dimostrare la propria totale adesione alla cultura romana. Le maestranze locali si specializzano nei lussuosi rivestimenti che ricoprono per intero i pavimenti delle sale da ricevimento e dei peristili con veri e propri arazzi a vivaci colori, realizzati grazie alla varietà di marmi colorati fornita dalle cave africane: le ville scavate nelle località antiche di Utica presso Cartagine, di Hadrumetum (Sousse), di Thysdrus (oggi El Djem) e, più nell’interno, di Bulla Regia e Thugga (l’odierna Dougga), hanno restituito infatti un ricchissimo repertorio di mosaici oggi visibile al Museo del Bardo di Tunisi.
Il repertorio dei soggetti appare abbastanza standardizzato, tanto da far pensare all’impiego di modelli, o cartoni, usati ripetutamente all’interno di ogni bottega; tuttavia i vari nuclei vengono giustapposti entro composizioni che rivelano un’unità programmatica, alla cui ideazione il committente non doveva essere estraneo. La superficie si presenta talora suddivisa in tanti compartimenti delimitati da cornici che ospitano motivi figurati isolati ma correlati tra loro tematicamente: i segni dello zodiaco, ad esempio, o le figure allegoriche che rappresentano le stagioni e i mesi dell’anno. Altre volte le figure appaiono disposte liberamente in ariose composizioni che occupano tutto lo spazio disponibile, mettendo in scena anche delle vere e proprie narrazioni.
Particolarmente graditi risultano i soggetti tratti dall’ormai vetusto repertorio del mito, sempre utile però ad illuminare il padrone di casa con i bagliori del classicismo al tramonto. Tra i miti più rappresentati, quello di Dioniso trionfante, alla guida di un carro trainato da tigri e pantere e incoronato dalla Vittoria: l’immagine del dio dell’ebbrezza e del suo seguito doveva apparire allo spettatore come la rappresentazione di un’esistenza beata e priva di affanni e insieme come un’allusione a un percorso mistico di rinnovamento e rinascita. A un universo ideale di felicità e bellezza rimandano anche i mosaici a soggetto marino, in cui pesci e pescatori si mescolano con le favolose creature del corteo di Nettuno e di Venere: un soggetto, quest’ultimo, particolarmente idoneo agli edifici termali o ai bagni privati per il loro legame con l’acqua.
Talvolta l’elemento liquido, appena suggerito da linee ondulate, diventa il pretesto per rappresentare sul pavimento di casa l’universo intero: questo accade ad esempio quando, in una fascia che corre lungo il perimetro del pavimento o che fa da cornice ad una vasca, si dispongono in sequenza gli episodi di un ciclo mitologico, come quello dei viaggi di Perseo e delle peregrinazioni di Odisseo. All’interno del ciclo omerico il mosaicista può scegliere anche un singolo episodio: di particolare favore sembra godere, ad esempio, l’incontro tra l’eroe, legato all’albero della nave, e le Sirene dal corpo di uccello che dal loro isolotto tentano di ammaliarlo con il canto e con la musica. Ne possediamo infatti esemplari provenienti non solo dalle domus africane di Utica e di Thugga, ma anche da alcune ville coeve in Italia e nella penisola iberica. Il tema infatti non solo si presta a valorizzare la presenza dell’acqua, ma connota l’ambiente in cui è rappresentato come idoneo alle arti e alla musica, di cui le Sirene, insieme alle Muse, sono l’emblema nell’arte tardoantica.
Una seconda categoria di soggetti ci consente uno sguardo privilegiato sulla vita dei signori dell’Africa romana: numerosi mosaici illustrano infatti le loro attività predilette durante i soggiorni in villa. La caccia innanzitutto: cavalieri a piedi e a cavallo, accompagnati dai loro cani, inseguono e trafiggono i più diversi esemplari di fauna selvatica. Anche le attività utilitarie hanno il loro spazio, come i lavori agricoli che scandiscono l’alternarsi delle stagioni, dai quali dipende in gran parte la ricchezza del signore. Nel cosiddetto Mosaico del Dominus Iulius, rinvenuto a Cartagine, il fundus (il possedimento fondiario) è rappresentato come un microcosmo perfettamente funzionante, dominato al centro dall’edificio imponente della villa, cinta da mura turrite e da un loggiato dietro il quale si intuiscono le coperture a cupola di un impianto termale, secondo la tipologia delle residenze di lusso tardoantiche. Tutt’intorno, contadini e contadine svolgono i lavori consueti sotto la supervisione benevola del padrone e della sua sposa.
Un legame ancor più diretto con la vita reale e con le istituzioni sociali contemporanee rivelano i mosaici con scene di anfiteatro: la rappresentazione, in un contesto privato, della cerimonia collettiva che più di ogni altra rappresenta uno strumento di aggregazione civica in tutte le città dell’impero denuncia la piena assimilazione del padrone di casa alla cultura romana. La profusione di iscrizioni che registrano con minuzia i nomi propri dei combattenti, uomini e belve, e dei cavalli nelle scene di circo consente di ricondurre queste immagini ad eventi reali, di cui il padrone di casa è stato con ogni probabilità il promotore e il finanziatore: la decorazione musiva ha dunque anche la funzione di commemorare la munificenza di un notabile locale per rinsaldare la sua rete clientelare. In un mosaico rinvenuto nel villaggio di Smirat, non lontano da El Djem, ad esempio, un certo Magerio si fa ritrarre, a metà del III secolo, in posa solenne nell’angolo di un mosaico in cui si succedono quattro episodi di lotta tra uomini e leopardi; una lunga iscrizione commemora il generoso munus (donativo) con il quale egli ha ricompensato i gladiatori e per il quale è stato salutato dal pubblico con una lunga ovazione.
A dispetto della ricchezza di soggetti e della qualità artistica dei mosaici africani, la mancanza di un’accurata documentazione di scavo, soprattutto per i vecchi rinvenimenti, impedisce spesso una piena comprensione del legame con l’originario contesto architettonico e, di conseguenza, con l’ideologia degli abitanti. Per incontrare un progetto decorativo unitario bisogna spostarsi sull’opposta sponda del Mediterraneo, ovvero in Sicilia dove, presso l’attuale Piazza Armerina nella località detta in antico Filosofiana, la Villa del Casale con i suoi 3500 m² di superficie pavimentata rappresenta il più esteso complesso musivo antico che ci sia giunto.
Prima della metà del IV secolo il proprietario, un latifondista appartenente all’aristocrazia senatoria romana, commissiona la decorazione della sua residenza di campagna a maestranze specializzate provenienti dall’Africa settentrionale: d’altronde già da un secolo e più stile e soggetti dei mosaici africani sono di gran moda in tutto il Mediterraneo, anche grazie alla mobilità degli artigiani. Probabilmente le équipe di artigiani al lavoro a Piazza Armerina (l’analisi stilistica consente infatti di distinguere diverse mani) dispongono di un repertorio di cartoni, che adattano però agli spazi da decorare, alla loro destinazione funzionale, nonché alle esigenze del cliente. Qualora costui, come è stato proposto, fosse proprio quel L. Aradius Valerius Proculus Populonius che fu governatore della provincia negli anni 327-331, legato da interessi personali sia alla Sicilia che all’Africa, il soggetto della decorazione apparirebbe non una combinazione di motivi di genere, ma ritagliato sulla figura del committente: esso dimostrerebbe infatti un suo diretto coinvolgimento nel commercio di animali africani per l’anfiteatro, sia a titolo personale sia in espletamento di funzioni pubbliche. All’apice della carriera, in qualità di Prefetto dell’Urbe, dovette garantire infatti anche regolari rifornimenti di fiere per gli spettacoli di Roma.
I celebri mosaici della Grande Caccia e quello con le Corse del Circo rivelano infatti una tale attenzione ai dettagli da far supporre un legame con spettacoli reali, forse proprio quelli allestiti grazie ai buoni uffici del padrone di casa: essi occupano infatti spazi frequentati dal pubblico dei visitatori e dei postulanti, ai quali rammentano il rango del loro ospite e la sua munificenza. La Grande Caccia rappresenta un vero e proprio manuale illustrato delle tecniche venatorie idonee ad ogni specie animale: sul pavimento di un lungo corridoio absidato che fa da tramite tra il grande cortile centrale e una sala destinata probabilmente alle udienze, soldati a piedi e a cavallo accerchiano pantere, antilopi, rinoceronti e leoni o li attraggono con delle esche, trasportano su carri le prede verso le città portuali d’Africa e d’Oriente dove le imbarcano, sotto lo sguardo attento dei funzionari, verso la destinazione finale, probabilmente il porto di Ostia e quindi Roma stessa. È ancora a Roma, e in particolare nel Circo Massimo ben riconoscibile attraverso la dettagliata caratterizzazione della spina e delle altre strutture ornamentali, che si svolge la corsa di carri raffigurata lungo il vano d’accesso al quartiere termale.
Dal braccio sud del peristilio, gli ospiti di riguardo venivano guidati verso un’efnorme sala a tre absidi collegata ad un portico a ferro di cavallo, probabilmente una coenatio (sala da pranzo), dove si svolgevano i ricevimenti che richiedevano un’ambientazione particolarmente sontuosa e formale. Conseguentemente solenne è il soggetto dei mosaici che ne decorano i pavimenti: essi illustrano il trionfo di un dio sui suoi avversari, che appaiono totalmente prostrati dalla sua vendetta. Al centro della sala, infatti, sono raffigurate le fatiche di Ercole: i suoi avversari (si riconoscono oggi il leone di Nemea, l’idra di Lerna, Gerione, i cavalieri traci del re Diomede) soccombono davanti alla invincibile forza dell’eroe, il quale appare impegnato nella lotta contro i Giganti nell’abside di fondo della sala e infine trionfante, mentre riceve la corona che lo consacra come dio, nell’abside di sinistra. Altrettanto inesorabile appare la vendetta di Dioniso nei confronti di Licurgo che, per aver cercato di colpire la ninfa Ambrosia, vede i suoi arti mutarsi in tralci di vite nell’abside destra. L’appello alla cultura mitologica dei commensali è un elemento ricorrente nella decorazione delle sale da banchetto; qui non si può escludere che, attraverso la scelta dei soggetti, si suggerisse tacitamente ai visitatori un accostamento tra le imprese degli dèi e i trionfi personali del padrone di casa.
Nei quartieri privati, o riservati a pochi, intimi frequentatori della villa, i toni si fanno meno roboanti e i mosaicisti scelgono soggetti che risultino gradevoli ad un aristocratico in villeggiatura: gli ospiti di una sala da pranzo affacciata sul lato nord del peristilio potevano, ad esempio, apprezzare le scene di caccia ricreativa alla lepre o al cinghiale raffigurate sul pavimento (la cosiddetta Piccola Caccia), a cui partecipano, dopo aver offerto un sacrificio propiziatorio a Diana, personaggi dai ricchi abiti con i loro attendenti e con i loro cani da caccia e che, in una scena centrale, trovano ristoro in un pic-nic all’aperto. Chi si rilassava nelle terme ad ovest del peristilio poteva contemplare sul pavimento del frigidario la consueta, rassicurante distesa marina popolata da pacifiche e gioiose schiere di mostri acquatici (Nereidi, Tritoni, amorini pescatori) o lasciarsi accudire da solleciti inservienti, in un’atmosfera di lusso e benessere moltiplicata sui pavimenti del vestibolo e degli spogliatoi da immagini di frequentatori dei bagni che si svestono aiutati da servi.
Dalle pubbliche virtù ai piaceri privati: se ci spostiamo in quelli che si suppone fossero gli appartamenti padronali, le sequenze di piccoli ambienti affacciati sul corridoio della Grande Caccia, le immagini dei mosaici diventano graziose, di tipo epigrammatico, quando mostrano eroti bambini che scimmiottano allegramente le occupazioni dei grandi (vanno a caccia e a pesca, gareggiano nel circo, si sfidano in gare poetiche e musicali) o garbatamente allusive, come quando, nel cubicolo più riposto della villa, forse la camera da letto della domina, il pavimento mostra al centro, circondati dai mezzibusti beneauguranti delle Stagioni, una coppia di amanti in cui la dama svela generosamente le sue grazie.
I mosaici della villa tardoantica formano dunque, assieme al resto dell’arredo domestico, un vero e proprio sistema di cui le strutture architettoniche e le loro funzioni promuovono e orientano la percezione. I nuclei tematici in cui si articola la decorazione musiva – i ludi e i munera, la vita in villa, la cultura mitologica e letteraria – sono elementi di un repertorio convenzionale e di facile lettura che, nella relazione con i rituali sociali a cui fanno da sfondo, danno forma ad un discorso che consente al dominus di sincerarsi del proprio status sociale e culturale e di comunicarlo agli altri.