TANTALO (Τάνταλος, Tantălus)
Insieme a Sisifo e a Tizio è uno dei puniti nell'oltretomba omerico (Odiss., XI, 582-592): rappresentato come un vecchio dentro a un laghetto, presso alberi carichi di frutta, ma non può di nulla giovarsi per la sete e la fame che lo tormentano, perché a ogni atto del suo desiderio l'acqua è pronta a ritirarsi e a prosciugarsi nell'alveo e il vento spazza i rami di frutta sino alle nubi, per volere divino. È uno dei miti più diffusi della mitologia classica.
In età posteriore alla primitiva fioritura dell'epica appaiono particolari abbondantissimi e varianti del mito, per i quali è difficile discernere i tratti originarî da quelli aggiunti e posticci, sicché l'origine e il significato di questo mito si perdono nella difficoltà dell'analisi. Figlio di Zeus e di Plute, T. fu re di Lidia o Frigia, e aveva la sua reggia in prossimità di Smirne, sulla catena del Sipilo, nella città di Tantalide; e si è messo in relazione il mito di T. con la notizia di un terremoto che distrusse questa città, cedendo al mare il terreno. Dei figli di T. sono famosi Pelope e Niobe e su Pelope punta una delle leggende relative alla punizione eterna di T.: questi uccise il figlio per imbandirlo maliziosamente in un convito agli dei, fra i quali Demetra ne consumò una spalla, mentre gli altri si accorsero dell'empietà. Oltre a generiche colpe che gli sono attribuite, chiese a Zeus la vita uguale ai divini; rubò l'ambrosia e il nettare dalle tavole degli dei per distribuirne fra i mortali; rubò Ganimede; e sostenne che il sole fosse puramente materia infuocata, negandone la divinità. Tratti essenziali comuni pare di scorgere col mito di Prometeo, benché una spiegazione naturalistica della leggenda sembri ancora la più seguita, e la più improbabile. Si tende forse ad accostarlo alla figura di Atlante, di cui pare ch'abbia comune la radice del nome (che significa "portare, sopportare"), senza pensare che l'idea della fatica, quasi della pena imposta ad Atlante di reggere il mondo è solo una sentimentale coloritura letteraria del mito. La spiegazione degli antichi, che vedevano in T. la personificazione dell'avarizia, non vale più di quella moderna, che lo identifica con il sole, il quale scende nel mare senza bere e caccia via sorgendo gli astri della notte (= i frutti del mito), o di quella che pensa la genesi della leggenda dalla pittura, male interpretata, del naufrago proteso verso un appoggio vegetale. Si preferisce mettere in disparte i tratti religiosi del mito, considerandoli come un'aggiunta prodotta dalla fioritura delle mistiche ideologie nella Grecia dei secoli VII e VI a. C., con un procedimento che appare piuttosto antiquato. È tuttavia da ricordare, in rapporto all'idea di T. come personificazione delle forze e dei cataclismi naturali, che buone fonti antiche ci rappresentano come pena di T. il terrore di una rupe che minacciando gli sovrasta eternamente sul capo.
L'arte figurata ebbe un soggetto frequentissimo in T., o solo o insieme a Tizio e a Sisifo; sappiamo da Pausania, X, 31, 12, che, nella figurazione dell'oltretomba nella Lesche dei Cnidî a Delfi, Polignoto unì nella stessa pittura i due tipi della pena di T., cioè la rupe incombente e il supplizio dell'acqua e della frutta.
Bibl.: E. Hylén, De Tantalo, Upsala 1896; O. Gruppe, Griech. Myth und Religionsgeschichte, Lipsia 1906, p. 1877 seg.; W. Schener, in Roscher, Myth. Lex., IV, ii, col. 75 segg.; C. Robert, Die griechische Heldensage, I, Berlino 1920, p. 286 segg.