Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il grande successo incontrato nel Settecento dai metodi analitici fa compiere all’’algebra e alla geometria analitica enormi passi in avanti. Per questo non è facile distinguere uno sviluppo autonomo di queste branche della matematica rispetto a quello dell’’analisi infinitesimale. Nel corso del secolo hanno un notevole impulso gli studi sulla teoria della probabilità.
Algebra e geometria analitica
Newton e Leibniz considerano il calcolo infinitesimale come un’estensione dell’algebra. Ancora verso la fine del XVIII secolo, Lagrange sostiene che il calcolo infinitesimale e i suoi sviluppi sono soltanto generalizzazioni dell’algebra elementare.
Euler esalta l’algebra giudicandola superiore alla geometria sintetica degli antichi Greci. Nel nuovo calcolo, la maggior efficacia dei metodi analitici rispetto a quelli sintetici fa dell’algebra e della geometria analitica le discipline dominanti della matematica settecentesca. Pertanto, non è agevole distinguere uno sviluppo autonomo di queste branche della matematica, separandole dai progressi compiuti nel campo dell’analisi infinitesimale.
All’inizio del Settecento tra i testi più influenti nel campo dell’algebra e della geometria analitica troviamo due opere di Newton, l’ Enumeratio linearum tertii ordinis, pubblicata nel 1704 in appendice all’ Ottica, e l’ Arithmetica universalis (Londra, 1707). Lo studio analitico delle curve cubiche cominciato in queste opere da Newton viene proseguito da James Stirling nell’opera Lineae tertii ordinis Neutonianae (Oxford, 1717) e ulteriormente sviluppato da Colin MacLaurin nella Geometria organica (Londra, 1720).
Contemporaneamente, in Francia, gode di grande successo il Traité analytique des sections coniques (Parigi, 1707), opera postuma del marchese De L’Hospital. Più tardi, Alexis-Claude Clairaut pubblica un trattato divenuto famoso, le Recherches sur les courbes à double courbure (Parigi, 1731), il primo testo di geometria analitica solida. Pure i suoi Eléments d’algèbre (Parigi, 1746) conoscono un’ampia diffusione.
Anche l’ Algebra di Euler (Pietroburgo, 1770) è un’opera notevole dal punto di vista didattico. I suoi pregi derivano dal fatto che era stata dettata dall’autore, divenuto cieco in vecchiaia, a un domestico poco istruito. Conosce varie edizioni, diventando ben presto un modello per molti manuali scritti posteriormente. Alla geometria analitica Euler dedica il secondo volume della sua Introductio (1748). Questo libro ha contribuito più di ogni altro a fare dell’uso delle coordinate, sia nel piano che nello spazio, la base di uno studio sistematico delle curve e delle superfici. Euler presenta una teoria generale delle curve basata sul concetto di funzione, che era stata al centro del primo volume della sua opera.
Le opere algebriche di Clairaut e di Euler non hanno larga circolazione in Inghilterra, in parte per l’isolazionismo dei matematici inglesi e in parte perché oltremanica esiste una buona manualistica in questo campo; vasta circolazione, anche per le sue numerose edizioni, ha il Treatise of Algebra (1748) di MacLaurin, in cui si trova già enunciata la famosa “regola di Cramer”, prima che il ginevrino Gabriel Cramer (1704-1752) la pubblicasse nell’ Introduction à l’analyse des lignes courbes algébriques (Ginevra, 1750); con lo stesso titolo dell’opera di MacLaurin circola diffusamente in Inghilterra un Treatise of Algebra (Londra, 1745) di Thomas Simpson, ma non meno importanti sono gli Elements of Algebra (1740) di Nicholas Saunderson.
In Francia, un’opera molto diffusa negli ultimi decenni del XVIII secolo è quella di Etienne Bézout (1730-1783), dal titolo Théorie générale des équations algébriques (Parigi, 1779), in cui si danno regole simili a quelle di Cramer per risolvere sistemi di n equazioni lineari in n incognite. Bézout è noto anche per un famoso Cours de mathématique (Parigi, 1764-1769), opera a uso didattico in sei volumi, che diverrà ben presto un modello per tutta la manualistica matematica della seconda metà del XVIII secolo.
Geometria
Il grande successo incontrato nel Settecento dai metodi analitici fa compiere all’algebra enormi passi in avanti. Attraverso il calcolo infinitesimale, essa si rivela lo strumento più efficace per la soluzione dei problemi geometrici. Ciò va a discapito della geometria sintetica, che nel XVIII secolo subisce un momento di stasi, da cui uscirà solo nell’Ottocento. Alla stagnazione degli studi in questo campo contribuiscono anche altri fattori come l’espansione quantitativa dei nuovi campi di ricerca aperti dallo sviluppo del calcolo infinitesimale, che catalizzano l’interesse della maggior parte dei matematici del Settecento. Non si deve inoltre trascurare il fatto che il nuovo calcolo introduce un diverso stile nella ricerca matematica, cioè l’abbandono delle costruzioni assiomatiche rigorose e delle dimostrazioni di tipo deduttivo, che fino a quel momento erano considerate i contrassegni caratteristici delle scienze matematiche e in particolare della geometriaeuclidea.
Tuttavia, la geometria sintetica non viene completamente dimenticata. In Inghilterra, anzi, continua a trovare non pochi cultori, tra i quali primeggia Robert Simson, autore di un fortunatissimo manuale intitolato The Elements of Euclid (Glasgow, 1756).
Sul continente meritano menzione gli Eléments de géométrie (Parigi, 1741) di Clairaut, ma soprattutto l’ Euclides ab omni naevo vindicatus (Milano, 1733) del gesuita italiano Gerolamo Saccheri, il quale escogita un procedimento molto elaborato per dimostrare il famoso postulato euclideo delle parallele. Nel tentativo di dimostrare che la negazione del postulato porta a una contraddizione, egli costruisce inconsapevolmente una geometria non euclidea perfettamente coerente; tuttavia, convinto che la geometriaeuclidea sia l’unica valida, non si accorge della notevole scoperta da lui compiuta.
Sullo stesso problema tornerà, alcuni anni più tardi, lo svizzero Johann Heinrich Lambert, nell’opera Die Theorie der Parallellinien, scritta nel 1766, ma edita postuma solo nel 1786. In quest’opera Lambert si spinge oltre Saccheri, giungendo ad abbozzare una geometria su una superficie di tipo nuovo. Lambert tuttavia è noto soprattutto per aver dato la prima dimostrazione dell’irrazionalità di “pi greco” in una memoria presentata nel 1761 all’Accademia delle scienze di Berlino.
In Francia gli Eléments de géométrie di Legendre (Parigi, 1794) incontrano un grandissimo successo, ma i maggiori contributi alla geometria sintetica vengono da Lazare Carnot. Nel trattato De la corrélation des figures de géométrie (Parigi, 1801) cerca di dare alla geometria pura un grado di universalità paragonabile a quello goduto dalla geometria analitica. Egli dimostra come molti teoremi di Euclide possano essere considerati casi particolari di un teorema più generale per il quale è sufficiente un’unica dimostrazione. La Géométrie de position (Parigi, 1803) è un’altra sua opera di geometria pura di grande successo.
Gaspard Monge è invece il fondatore della geometria descrittiva. Il concetto che sta alla base di questa nuova geometria è quello della doppia proiezione ortogonale. Si prendono due piani, l’uno verticale e l’altro orizzontale, disposti perpendicolarmente l’uno rispetto all’altro, e su questi piani si proietta ortogonalmente la figura che si vuole rappresentare, indicando chiaramente le proiezioni di tutti gli spigoli e di tutti i vertici.
La proiezione sul piano verticale è nota con il nome di “elevazione”, l’altra proiezione viene chiamata “pianta”. Si ribalta il piano verticale, facendolo ruotare intorno alla linea di intersezione dei due piani, fino a che coincide con il piano orizzontale. L’elevazione e la pianta forniscono così una figura superficiale (bidimensionale) dell’oggetto spaziale (tridimensionale).
Monge illustra questi procedimenti nella sua Géométrie descriptive (Parigi, 1794), destinata a provocare una rivoluzione nella tecnica del disegno meccanico usata dagli ingegneri.
Calcolo delle probabilità e teoria dei numeri
Gli studi sulla teoria della probabilità hanno un notevole impulso nel corso del Settecento. Importanti sono le ricerche di Jakob Bernoulli. Nel 1713 esce postumo un suo trattato dedicato al calcolo delle probabilità, dal titolo Ars conjectandi, destinato ad avere una grandissima influenza sugli sviluppi settecenteschi di questa branca della matematica. L’ Ars conjectandi presenta una teoria generale delle permutazioni e delle combinazioni, resa più facile dalle formule binomiale e polinomiale e l’enunciazione della cosiddetta “legge dei grandi numeri”.
Anche il figlio di Johann Bernoulli, Daniel, si è distinto negli studi sulla probabilità e sulle sue applicazioni al commercio, alla medicina e all’astronomia. In un suo lavoro del 1738 apparso sui Commentarii dell’Accademia delle scienze di San Pietroburgo opera la celebre distinzione tra speranza matematica e speranza morale.
Grande notorietà hanno anche le opere di Abraham De Moivre: la Doctrine of Chances (1718), dedicata alla teoria dei giochi, che conosce numerose edizioni posteriori; la Miscellanea analytica (1730), un’opera importante anche nel campo della trigonometria analitica, e diversi lavori pubblicati sulle Philosophical Transactions.
Anche Euler e D’Alembert, a metà secolo, scrivono su argomenti quali i giochi d’azzardo, la rendita di un vitalizio, la vita media o la speranza di vita o il numero di anni che a una certa persona restano statisticamente da vivere.
Notevoli i contributi di Condorcet, tra i quali spicca l’ Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des décisions rendues à la pluralité des voix (Parigi, 1785). Per quest’opera e altri scritti minori egli viene considerato uno dei precursori della matematica applicata ai problemi sociali, soprattutto attraverso l’applicazione del calcolo delle probabilità e della statistica a tali problemi.
Nel Settecento anche la teoria dei numeri conosce importanti sviluppi, soprattutto grazie ai contributi di Euler, di Lagrange e di Legendre. Euler non pubblica nessun trattato sull’argomento, ma scrive diverse lettere e saggi sulla teoria dei numeri.
La ricca immaginazione con cui Euler tratta le serie lo porta a scoprire sorprendenti relazioni tra l’analisi e la teoria dei numeri. Con una dimostrazione relativamente semplice egli dimostra che la divergenza della serie armonica implica il teorema euclideo sulla serie infinita dei numeri primi. Con un’analisi considerevolmente più complessa, Euler dimostra che la serie infinita formata dai reciproci dei numeri primi è essa stessa divergente.
Egli effettua operazioni sulle serie infinite con la massima libertà. Non vanno dimenticati i suoi studi sulle coppie di numeri amicabili, sui numeri perfetti, sui numeri interi positivi. Euler è anche il primo matematico a pubblicare una dimostrazione del cosiddetto “teorema minore di Fermat” (Commentarii dell’Accademia di San Pietroburgo, 1736), ma non riesce a dare una soluzione definitiva del cosiddetto “ultimo teorema di Fermat”, anche se dimostra l’impossibilità di soluzioni intere nel caso in cui l’esponente sia n =3.
Anche Lagrange mostra un profondo interesse per la teoria dei numeri. Nel 1770 pubblica una dimostrazione del teorema secondo cui ogni numero intero positivo è la somma di non più di quattro quadrati perfetti.
Questo teorema porta ancora oggi il nome di Lagrange (sebbene Fermat, nel Seicento, pretendesse di averne dato una prova). Intorno alla stessa data Lagrange fornisce anche la prima dimostrazione di un risultato noto come teorema di Wilson: se p è un numero primo qualsiasi, il numero intero (p-l)! +1 è divisibile per p.
Legendre è autore del primo trattato dedicato esclusivamente a questo argomento, l’ Essai sur la théorie des nombres (Parigi, 1797-1798), in due volumi. Tra i vari risultati, in quest’opera è esposto un teorema, divenuto celebre, relativo ai numeri congrui, in base al quale, dati due numeri interi p e q, esiste un numero x tale che il suo quadrato diminuito di q sia divisibile per p, allora q è noto come resto quadratico di p.
Nell’ Essai Legendre affronta anche il cosiddetto teorema dei numeri primi, fornendo un enunciato quasi preciso della regola poi dimostrata nel XIX secolo. Il problema consiste nel descrivere la distribuzione dei numeri primi fra i numeri naturali. Fin dai tempi di Euclide si sapeva che il numero dei numeri primi è infinito; tuttavia è ovvio che la densità dei numeri primi decresce via via che si passa a numeri interi sempre più grandi. I matematici si erano sforzati di trovare una regola che esprimesse il numero dei numeri primi inferiori a un numero intero dato n come funzione di n.