sussidiarieta
sussidiarietà s. f. – Principio che esprime la preferenza per la collocazione delle funzioni di governo presso il livello più vicino ai cittadini. Di matrice tomista, sviluppata dalla dottrina sociale della Chiesa (encicliche Rerum novarum del 1891 e Quadragesimo anno del 1931), la s. ha trovato ulteriore estensione nel Trattato di Maastricht del 1992, in materia di rapporti tra Unione Europea e stati membri, e da ultimo è stata recepita dall’art. 118 della Costituzione italiana, in occasione della riforma del Titolo V (l. cost. 3/2001). Solitamente si distingue tra due diversi profili: la s. verticale, fra pubblici poteri gerarchicamente ordinati; la s. orizzontale, nel dialogo tra pubblici poteri e autonomia privata dei cittadini. L’art. 118 , Cost. 1° co., in tema di s. verticale, conferisce anzitutto ai comuni la titolarità delle funzioni amministrative, con ciò intendendosi propriamente quelle attività giuridiche intese alla cura concreta degli interessi della collettività: ne emerge il principio della preferenza per l’amministrazione comunale, in quanto ente d’origine antica e immediatamente rappresentativo della comunità locale. In tal senso, la norma costituisce esplicazione del tradizionale principio del decentramento amministrativo, riconosciuto dall’art. 5 della Costituzione. Per altro verso, lo stesso art. 118 prevede un meccanismo flessibile di bilanciamento: qualora infatti la dimensione degli interessi curati assuma un ambito territoriale più ampio, e quindi il comune non sia in grado di provvedere adeguatamente alla tutela degli stessi, allora le relative funzioni saranno conferite rispettivamente a province, regioni e Stato, a seconda del livello migliore. In tale ambito perciò la s. si collega ad altri due principi costituzionali: la differenziazione, che impone di tener conto delle diverse caratteristiche dei vari livelli di governo; e l’adeguatezza, secondo la quale l’amministrazione cui sono conferite le funzioni deve essere idonea a garantirne l’esercizio sotto il profilo organizzativo. Sul punto, la Corte costituzionale (sent. 303/2003) ha affermato che, per giustificare il trasferimento di funzioni in senso verticale, è necessario che la valutazione dell’interesse pubblico coinvolto sia proporzionata e non irragionevole, all’esito di uno stretto scrutinio di costituzionalità, e inoltre che vi sia un’apposita intesa tra gli enti coinvolti. Quanto invece alla s. orizzontale, è l’art. 118 Cost., 4° co. a prevedere che tutti gli enti di governo (dallo Stato ai comuni) favoriscano l’autonoma iniziativa dei cittadini, sia uti singuli che come associati: il principio, richiamando l’art. 2 Cost., riconosce che le attività d’interesse generale non sono monopolio dei pubblici poteri. Ne discende, in linea generale, che ove tali attività siano realizzate dai cittadini con criteri di efficienza, efficacia e imparzialità, esse non possano essere sostituite da iniziative pubbliche con lo stesso oggetto, ma anzi vadano aiutate e finanziate se possibile. In particolare, dette attività consistono in operazioni e prestazioni materiali a carattere negoziale, fornite per es. da associazioni di volontariato, caratterizzate dalla non essenzialità del fine di lucro, sicché non coincidono con le attività amministrative in senso proprio. Tuttavia, secondo la dottrina, la norma non impedisce l’intervento pubblico in tutti quei settori in cui esso sia ritenuto necessario dal legislatore in base a valutazioni politiche, o sia addirittura costituzionalmente doveroso (es. istruzione). In conclusione, la differenza tra i due profili analizzati è la seguente: la s. verticale inerisce ai rapporti fra autorità e autorità, con riguardo al buon andamento e all’imparzialità dell’azione amministrativa; la s. orizzontale, invece, pone a confronto autorità pubblica e libertà privata, nell’ottica del pieno sviluppo della dignità umana.