SULPICIO, Giovanni Antonio detto Sulpicio (Sulpizio) da Veroli (Johannes Sulpitius Verulanus)
Nacque a Veroli, nel frusinate, probabilmente da Antonio di Alessandro e Nanna Cercia. L’anno di nascita è da collocarsi intorno al 1440 (Pecci, 1912, p. 30): il suo componimento encomiastico Hilaritas publica de reditu Angeli Lupi, definito «iuvenile», è dedicato al vescovo Angelo Lupi, che governò la diocesi di Veroli tra il 1457 e il 1463 (ibid., p. 31; il testo è riportato nel codice, ritenuto autografo, della Biblioteca Vallicelliana di Roma, F.20). Alla città natale dovette l’appellativo «verulano», con il quale firmò i suoi lavori; si è ipotizzato, inoltre, che il nome Sulpicio possa essere stato un suo soprannome accademico. Ebbe almeno un figlio, Clemente, a cui dedicò un componimento poetico posto alla fine del suo Prosodiae compendium (Roma, Biblioteca Vallicelliana, F.93: Sulpitius ad filium; cfr. Pecci, 1912, pp. 30 s.).
Secondo alcune scritture notarili, il «magistro Sulpitio de Verulis» nel 1471 acquistò una casa nel rione Castello (Gabriele, 2004, p. 26, n. 2), dov’è documentata anche la presenza di colui che è stato identificato con suo nonno Alessandro, padre di Antonio e Pellegrino (ibid., p. 27, n. 6). Sua madre Nanna, figlia di Leonardo Cercia, nel suo testamento del 1478 nominò eredi universali i suoi figli Paduano, Giovanni, Aurelia, Perna e Alessandro (ibid., p. 28, n. 8).
Dopo aver completato gli studi, insegnò nella città natale e a Roma. Intorno al 1472 si trasferì a Perugia, con tutta probabilità al seguito del vescovo Lupi, che nel novembre 1471 era stato eletto vicelegato del cardinal Giacomo Ammanati (Perugia, Biblioteca Augusta, 1828, c. 38; cfr. Scaccia Sacrafoni, 1980, p. 381, n. 5; Pecci, 1912, p. 31). Dal 1472 circa Sulpicio fu lettore di oratoria e poesia presso lo Studium di Perugia, come testimonia un breve di Sisto IV del 1475, nel quale si confermava lo stipendio annuale derivante dalla sua docenza (cfr. Bini, 1816, p. 655; Ermini, 1971, p. 606). Già in questi anni aveva maturato una certa fama, che dovette raggiungere persino Roma, se è vero che in una lettera del 10 aprile 1474 il fanese Francesco Ottavio Cleofilo lo annoverava tra gli umanisti romani (Dionisotti, 2003, p. 30). Proprio da Roma ricevette un richiamo a tornare a insegnare nella capitale pontificia, come lo stesso Sulpicio riferiva in una sua lettera a Ludovico Podocataro, medico e futuro cardinale, databile all’autunno 1476, nella quale tra l’altro confidava di temere il contagio della peste (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat. X, 175 [=3621], c. 202; cfr. Scaccia Scarafoni, 1980, p. 381).
Nel 1476 a Urbino fu ospite del duca Federico da Montefeltro e scrisse un componimento poetico nel quale elogiava il palazzo ducale e descriveva una caccia del signore (i versi sono tràditi dal codice Urb. Lat. 1193 della Biblioteca apostolica Vaticana; cfr. Pecci, 1912, p. 32; Franceschini, 1959, p. 52). Per onorare la morte di Grifone Baglioni (1477), figlio di Braccio, celebre condottiero perugino, scrisse il lungo poema Grypho (Roma, Biblioteca Vallicelliana, F.20; Pecci, 1912, pp. 73-94).
Trasferitosi a Roma, divenne professore allo Studium Urbis, dov’è documentato negli anni 1481-84 e 1494-96 (Chambers, 1976, pp. 83, 89; Dorati da Empoli, 1980, p. 123). A Roma ebbe l’opportunità di entrare in contatto con Pomponio Leto, e fece parte del circolo accademico da lui fondato; assieme agli altri accademici pomponiani, firmò un epitaffio incluso nella raccolta di versi elegiaci (Londra, British Library, Add. Ms. 22805), curata da Vasino Gamberia, per la morte di Orsino Lanfredini (1488), figlio di Giovanni, ambasciatore fiorentino a Roma sotto papa Innocenzo VIII.
È certo che non perse mai i rapporti con la sua terra di origine, alla quale dedicò anche il componimento Campaniae fletus (Roma, Biblioteca Vallicelliana, F.20; Pecci, 1912, pp. 94-99).
Agli anni del suo magistero a Perugia risale la prima impressione dell’Opus grammaticum sive de octo partibus orationis (Perugia s.d.), dedicata al vescovo Lupi e stampata insieme al De moribus puerorum carme iuvenile (un poemetto didattico sulle buone maniere indirizzato ai giovani allievi; cfr. Il “Carme giovanile”, 1980). Si è ipotizzato che la gestazione dell’opera grammaticale debba risalire agli anni del magistero a Veroli (Pecci, 1912, p. 31), mentre la sua stampa è da collocarsi prima del giugno 1475: l’esemplare conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma (Vol.Inc. 359/1), appartenuto a Giovanni Ugolini di Monte Ubiano, cui fu dato in dono dallo stesso Sulpicio, suo precettore, reca un’annotazione manoscritta con la data «die 15 mensis iunii 1475» (Pecci, 1912, p. 31).
L’Opus grammaticum dovette conoscere una larghissima diffusione, come dimostrano le numerose edizioni in tutta Europa fino alla metà del Cinquecento (cfr. Scaccia Scarafoni, 1980, p. 382; una seconda edizione, con dedicatoria a Falcone Sinibaldi, chierico di camera e segretario apostolico, comparve a Roma nel 1481 per i tipi di Stephan Plannck, insieme al Carme e al De figuris di Donato). Il De moribus puerorum, in seguito, fu stampato da solo o accluso ad altre opere, grammaticali o morali, come l’antologia in 12 libri curata da Josse Bade (Jodocus Badius Ascensius), Silvae morales (Lione, Johannes Trechsel, 1492), e commentato e trasposto in lingua gallico-latina da Guillaume Durand, maître al Collège de la Trinité di Lione (Lione, Étienne Dolet, 1542).
Nel 1476 apparve la sua Metrica (Johannes Schriber, Perugia), che suscitò una controversia, acuita forse da rivalità personali, con gli umanisti Paolo Pompilio e Dionigi Nestore (cfr. Blasio, 1992, p. 293, n. 16). Pubblicò altri opuscoli di carattere grammaticale e metrico, che testimoniano la sua continuità nell’attività didattica allo Studium Urbis: il De versuum scansione (Roma, Bartholomaeus Guldinbeck, 1480 circa), il De quantitate syllabarum in componendis versibus (Roma, Stephan Plannck, post 1483; l’esemplare in Veroli, Biblioteca Giovardiana, Dep. Mss. 31.5.10, riporta la dedica ad Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III, che fu allievo di Sulpicio), il De componendis et ornandis epistolis necnon orationibus (Roma, Eucharius Silber, 1490 circa), De carminis et syllabarum ratione (Roma, Eucharius Silber, 1492 circa; ristampato intorno al 1506 circa, con dedica a Giovan Battista della Rovere, figlio di Bartolomeo Grosso della Rovere e pronipote di papa Giulio II) e il De constructione partium orationis (riportato nel codice della Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 10763, dedicato a Giovanni Mazzancolli).
Si produsse pure come commentatore di autori classici, tra cui Frontino (De aquaeductibus, Roma, Eucharius Silber, 1483-ante 1487, in collaborazione con Pomponio Leto), Vegezio (De re militari, Roma, Eucharius Silber, 1487; la successiva edizione del 1494 include anche lo Στρατηγικός [Strategikòs] di Onasandro, tradotto dal greco da Nikolaos Sekoundinos), Lucano (Pharsalia, Venezia, Simon Bevilacqua, 1493, che include un commento di Ognibene Bonisoli da Lonigo) e Quintiliano (Institutiones oratoriae, Venezia, Pellegrino Pasquali, 1494, che comprende anche il commento di Lorenzo Valla e Pomponio Leto; una porzione del testo era già comparsa nel Commentariolus in Quintilianum de compositionis ratione, Roma, Eucharius Silber, 1487); sono note due copie autografe di Sulpicio recanti le correzioni pomponiane al testo del De rerum natura di Lucrezio (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob.Lat. 1954; Baltimore, Walters Art Museum, W.383 [De Ricci 434], risalenti entrambi al 1466; cfr. Palmer, 2014, pp. 242, 246). Sono tràdite anche alcune sue letture, rimaste manoscritte, dei Paradoxa di Cicerone (Montecassino, Biblioteca dell’Abbazia, 652) e di Virgilio (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 9631; si veda anche il breve testo Quum iterum profitemur Aenaida Romae in Roma, Biblioteca Vallicelliana, F.20). Il codice vallicelliano contiene, inoltre, due epitaffi che risultano dalla traduzione «ex vernaculo» di Dante, una serie di componimenti poetici dalla fisionomia pedagogico-moralistica o religiosa, tra cui sermoni e orazioni (Adhortatio ad confitendum; De Christi nativitate, 2002; Oratio ad Deum, 2004; Ad divum Iacobum; Sermo ad galerum; Sermo ad avarum; Sermo ad Paulum Alexio; In Bardum), e il poemetto periegetico Templorum quadragesima stationes, nel quale traccia un percorso delle stazioni quaresimali con alcuni riferimenti alla storia topografica di Roma.
Nonostante l’ampia succitata produzione, Sulpicio deve la sua fortuna soprattutto alla prima edizione a stampa del De architectura di Vitruvio (I sec. d.C.), ispirata dai comuni interessi filologici del sodale Pomponio Leto. L’editio princeps, pubblicata senza indicazione di data, luogo ed editore, fu ragionevolmente stampata a Roma da Silber o Georg Herolt (Heroldt) tra il 1486 e il 1487. Il volume si apre con una salutatio rivolta al lettore, nella quale dichiara i meriti del suo lavoro di collazione, compiuto «ad publicum usum» e non solo per lo stretto circolo degli umanisti (Guardo, 2004). Com’è noto, la tradizione testuale del trattato vitruviano manca di qualunque apparato figurativo: lo stesso Sulpicio auspica, dunque, a corredo del testo una futura elaborazione iconografica da collocarsi negli spazi che ha voluto lasciare nei margini («in marginibus spatia servabuntur, ut quom vel nostro vel aliorum studio edentur in lucem, suis locis possint affigi»; cfr. la succitata lettera al lettore). In questo senso va letta l’operazione realizzata dall’architetto Giovanni Battista Cordini (Battista da San Gallo detto il Gobbo) sull’esemplare conservato oggi alla Biblioteca dell’Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana (50 F 1; ed. facs. a cura di I.D. Rowland, Roma 2003), alla quale pervenne dalla Compagnia della misericordia di S. Giovanni dei Fiorentini. Sulle carte dell’incunabolo l’architetto realizzò diversi disegni, con inchiostro di colore brunicio chiaro, e aggiunse postille, appunti e parziali traduzioni del testo, creando in questo modo un vero e proprio paratesto.
La lettera al lettore è seguita da una dedicatoria al cardinal Raffaele Riario, nipote di Sisto IV e promotore delle prime sperimentazioni teatrali dei Pomponiani, tra le quali la celebre rappresentazione dell’Hippolytus di Seneca, messa in scena nell’aprile 1486, forse all’aperto, nell’attuale piazza della Cancelleria: si distinse il giovane allievo Tommaso Inghirami, da allora noto con l’appellativo «Fedra» per la parte da lui interpretata in quell’occasione, diretto dallo stesso Sulpicio, il quale compose anche un prologo e redasse un argomento (tràditi dal menzionato manoscritto vallicelliano; ed. mod. in Pecci, 1912, pp. 56 s.; trad. it. in Cruciani, 1983, pp. 226 s.). Nella dedicatoria Sulpicio delinea un ritratto della Roma rinascimentale e delle sue trasformazioni urbanistiche sostenute dalla politica di Sisto IV e Innocenzo VIII, e col Riario si fa portavoce della città affinché interceda per un teatro e una sede per lo Studium Urbis, nuovi edifici pubblici la cui costruzione avrebbe potuto avvalersi del ritrovato modello vitruviano.
L’ultimo suo lavoro dato alle stampe è il Iudicium Dei supremum de vivis et mortuis (Roma 1506; ed. mod. a cura di M. Martini, Sora 1990; cfr. Vagni, 2016), un poema apocalittico in esametri su modello dell’epica classica, dedicato al cardinal Giovanni Antonio Sangiorgio. I versi, ricchi di reminiscenze dantesche, sono stati considerati come una possibile fonte per l’impianto iconografico del Giudizio universale di Michelangelo nella Cappella Sistina (Bussagli, 2011), e per gli affreschi della cappella Nova (detta di S. Brizio) del duomo di Orvieto a opera di Luca Signorelli (Teza, 2012).
Fu stimato tra i grammatici più illustri del suo tempo e dai massimi esponenti dell’Umanesimo, tra cui Erasmo da Rotterdam (Ep. 117; cfr. Henderson, 1987, p. 300), Paolo Cortesi (De cardinalatu, San Gimignano 1510, l. II, c. LXVIIIv) e Heinrich Bebel (De optimo studio iuvenum, in Oratio ad regem Maximilianum de laudibus atque amplitudine Germaniae, Phorce 1504, c. h[l]v).
Morì dopo il 1508, anno in cui il «domino Sulpitio de Verulis civi romano» compare ancora una volta in un atto notarile redatto a Veroli (Gabriele, 2004, p. 29, n. 13).
Il “Carme giovanile” di G. S. verolano, a cura di M. Martini, Sora 1980; De Christi nativitate, a cura di M. Martini, Sora 2002; Oratio ad Deum, a cura di M. Martini, Sora 2004.
G. Carafa, De Gymnasio Romano et de eius professoribus, Roma 1751, pp. 305 s.; F.M. Renazzi, Storia dell’Università di Roma, I, Roma 1803, pp. 197, 237 s.; V. Bini, Memorie istoriche della perugina università, Perugia 1816, pp. 581-583, 653-671; P. Bayle, Dictionnaire historique et critique, XIII, Paris 1820, pp. 561-563; B. Pecci, L’Umanesimo e la Cioceria, Trani 1912, pp. 29-111; C. Scaccia Scarafoni, La grammatica di S. verolano in un incunabolo ignoto ai bibliografi, in Studi di bibliografia e di argomento romano, Roma 1949, pp. 378-382; G. Franceschini, Per la storia della biblioteca di Federico da Montefeltro duca d’Urbino, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le Marche, s. 9, XII (1959), p. 52; R. Weiss, In obitu Ursini Lanfredini. A footnote to the literary history of Rome under pope Innocent VIII, in Italia medioevale e umanistica, II (1959), pp. 353 ss.; C.H. 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