Vedi SULCIS dell'anno: 1966 - 1997
SULCIS (Σοῦλγχα, Σύλκοι; Sulci, Sulcis)
Odierna Sant'Antioco, antica città sopra un'isoletta di fronte alla costa sud-occidentale della Sardegna cui è collegata da un istmo artificiale. L'isoletta era chiamata Μολιβώδης, dai Romani, Plumbea a causa dei giacimenti di piombo (oggi inesistenti) o soltanto del commercio di questo minerale. Secondo Strabone, Pausania e Claudiano S. sarebbe stata fondata dai Cartaginesi; ma dati archeologici oggi acquisiti ci permettono di credere che S. esisteva già nel IX od VIII sec. a. C. come colonia fenicia presso qualche preesistente abitato nuragico. Poco dopo la sua fondazione, S. fondò, qualche chilometro verso l'interno della costa sarda, un piccolo centro a Monte Sirai, e più tardi un altro piccolo centro a Mazzàcara.
Da altre fonti letterarie e da iscrizioni si ricava una serie di notizie, relative ad episodî della storia municipale di Sulcis. Nel 258 a. C. il duce cartaginese Annibale, vinto dai Romani a S. vi è crocifisso dalle sue milizie. All'epoca di Silla S. aveva costituzione non del tutto romana, considerato che i suoi magistrati, i quali si esprimevano contemporaneamente in punico e in latino, facevano bensì menzione di ordinamenti municipali romani, ma mantenevano nomenclature proprie dell'epoca punica, come quella di Principes Sulcitani, equivalente al consesso del Senato di Roma. Durante le guerre civili fra i capi politici di Roma repubblicana S., rivale di Cagliari cesariana, parteggiò per Pompeo e ospitò nel suo porto e diede aiuto a Nasidio, ammiraglio della flotta pompeiana. Perciò nel 46 a. C. Giulio Cesare vincitore punì i Sulcitani con una multa di dieci milioni di sesterzi, inoltre pretese l'ottava parte del grano invece della consueta decima e confiscò i beni dei capi del partito a lui ostile. Per il I sec. dell'Impero la vita pubblica è testimoniata da un'iscrizione in onore di Claudio e da una statua-ritratto di un principe giulio-claudio. In questo medesimo secolo S. diventa municipio latino. Fu favorita dagli imperatori Flavi, al tempo dei quali, forse un G. Asinio Tucuriano proconsole della provincia lastricò una pubblica piazza. Un'altra epigrafe coeva ricorda i quattuorviri del municipio, del quale era patrono un cavaliere romano. Sotto la stessa dinastia S. insieme con tutta la provincia fu iscritta alla tribù Quirina. Un'altra iscrizione si riferisce a una statua eretta dai Sulcitani nel 118 in onore di Adriano. Una tradizione non convalidata storicamente collega a S. il nome di Sant'Antioco medico e martire cristiano d'incerta cronologia.
Topografia archeologica. - Benché d'importanza rilevante questa zona archeologica, anteriormente al 1954, era stata solamente oggetto di scoperte fortuite, di piccoli scavi occasionali e soprattutto di depredazioni. A decorrere dalla data suddetta vi si fanno scavi sistematici diretti dalla competente Soprintendenza alle antichità, la quale ha istituito anche un antiquarium locale. L'area della città antica era circa quattro volte più vasta di quella dell'attuale villaggio. L'agglomerato urbano era orientato dietro a due porti, che si aprivano a N e a S dell'istmo. Niente più esiste. Le più vecchie case sono costruite con materiali dell'antica città. Qualche emblema di pavimento musivo è testimone della edilizia romana dei tempi imperiali. Sulle alture occidentali (Monte de Cresia) passava la linea delle mura, che volgeva a N e a S fin sull'arenile presso ai porti. Ancora visibili con le loro torri alla fine del sec. XVI, di esse nulla più sussiste, eccettuati due brevi tratti, uno sul Monte de Cresia ed un altro recentemente messo in luce ad O dell'altura del Fortino: grandi parallelogrammi lapidei messi insieme senza malta (con sbozzature marginali quelli di Monte de Cresia), imperfetta imitazione punica del muro isodomo greco. In cima alla collinetta del Fortino ubicata a N dell'attuale cittadina, avanzano due lati di un altare a pianta rettangolare, costruito con poderosi cubi trachitici connessi senza malta, sovrapposto ai resti di un demolito nuraghe. Sui ruderi di questo "alto luogo" cananeo è impostato il fortilizio sabaudo che dà nome alla contrada. Sul versante settentrionale della stessa collinetta è stato restituito alla luce un altro edificio sacro, di tipo classico, orientato ad E e cinto di un portico a colonne. Vi si riconoscono più fasi edilizie. Forse queste architetture erano incluse in un unico grande tèmenos. Molto più a N è stato scoperto nel 1958 un tophet, santuario non costruito nel quale s'immolavano bambini mediante combustione. I vasi fittili con i resti bruciati erano sepolti nel luogo del sacrificio. Il tophet sulcitano si presenta come un insieme di cortili rettangolari, ciascuno col suo muro di recinzione. Le urne erano interrate in crepacci naturali del roccione trachitico, sul quale è sistemato in parte il santuario. Alle urne erano associati piattelli, lucerne, minuscoli betili, figurine di terracotta, minuterie varie e numerosissimi cippi lapidei scolpiti a rilievo (v. punica, arte - Sardegna), alcuni con iscrizioni puniche votive, una delle quali menziona un Ba῾al Addir (= Signore Potente). Gli oggetti dello strato più basso di questo santuario (lucerne monoliclini, un vaso di stile geometrico siceliota, una stele di tipo cananeo) si datano dal IX al VII sec. a. C. Lo strato più alto giunge ai tempi romani repubblicani. L'esistenza di altri due templi è testimoniata ormai solamente da iscrizioni. Una è la famosa bilingue (C.I.S., i, i, 2, 149 = C.I.L., x, 7513), dalla quale risulta che un tempio alla dea Elat fu fatto erigere da Imilcone figlio di Idnibaal per decreto del senato municipale all'epoca forse di Silla. L'altra soltanto latina menziona i restauri fatti in un tempio di Iside e di Serapide. Nei fianchi dei due colli suddetti si estendono le vaste reti della necropoli punica. Questi ipogei, che per le proporzioni quasi monumentali eccellono sugli altri della stessa classe in Sardegna, furono utilizzati anche in epoca tardoromana con opportuni adattamenti: un arcosolio è affrescato con un busto-ritratto di defunta dei tempi costantiniani. Avanzi di altri dipinti parietali sono in una piccola catacomba sotto la chiesa arcipretale. In altri tre ipogei sono dipinti simboli giudaici e iscrizioni latine. Questa necropoli è rimasta famosa per il gran numero di corniole incise che ha reso nel secolo scorso. Al piano di campagna si estendevano campi di urne di cremati di età romana, dei quali se ne è recuperato uno durante recenti scavi. Un piccolo mausoleo romano si è conservato quasi integro. Ad E un ponte romano ad unico fornice, assai rimaneggiato, passa sopra un canale, aperto nell'istmo, la cui costruzione è auribuita dallo Spano ai Cartaginesi.
Bibl.: E. Pais, La Sardegna prima del dominio romano, in Memorie Accad. Lincei, VII, 1881, p. 80 ss.; A. Taramelli, S. Antioco, Scavi e scoperte di antichità, in Not. Sc., 1908, p. 145-62; A. della Marmora, Itinerario dell'isola di Sardegna, ed. it., Caserta 1918, I, p. 128 ss. (ivi preced. bibl.); E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, Roma 1923, I, pp. 20, 112, 361 ss.; P. Meloni, L'amministrazione della Sardegna da Augusto, in L'Erma, Roma 1958, prosop. 73 Tucuriano; G. Pesce, Sardegna punica, Cagliari 1961, pp. 43, 54, 56 ss., figg. 4, 6, 17, 20, 21, 24, 39, 47, 52, 54, 74, 77, 82, 102, 106, 116, 124, 126, 135, 136; id., Un dipinto romano di una tomba dell'antica Sulcis, in Boll. d'Arte, 1962, (con bibl.).