stress e adattamento
Ruolo delle neurotrofine nello stress
Le reazioni di adattamento allo stress coinvolgono numerosi mediatori, tra cui si possono annoverare le neurotrofine quali l’NGF (Nerve Growth Factor) e il BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor), proteine ad alto peso molecolare coinvolte nel differenziamento e nella maturazione delle cellule nervose. Evidenze sperimentali suggeriscono che questi fattori possano giocare un ruolo importante negli adattamenti fisiologici che accompagnano la risposta a stimoli stressanti, particolarmente per quanto riguarda la riparazione degli effetti dovuti a un aumento in circolo degli ormoni dello stress, come il cortisolo. La presenza delle neurotrofine in cellule appartenenti ai sistemi nervoso, endocrino e immunitario suggerisce un ulteriore ruolo nel coordinamento degli adattamenti allo stress. In quanto trasduttori di eventi stressanti, NGF e BDNF sono stati anche indicati tra i principali mediatori coinvolti nell’insorgenza di patologie derivanti dall’esposizione a stress a carattere cronico, quali i disturbi dell’umore.
Il principale rappresentante delle neurotrofine è l’NGF, identificato da Rita Levi Montalcini negli anni Cinquanta del 20° sec. quale sostanza rilasciata dal tessuto bersaglio e in grado di regolare la sopravvivenza e la maturazione dei neuroni simpatici del sistema nervoso periferico. In modelli animali è stato dimostrato che lo stress psicosociale può indurre un aumento di NGF tanto nella circolazione periferica quanto nelle regioni del sistema limbico. Tale rilascio è correlato, nei roditori, con il grado di incertezza vissuto dal soggetto. Il maggiore target fisiologico dell’NGF rilasciato in circolo è rappresentato dalle ghiandole surrenali, a loro volta coinvolte nella secrezione degli ormoni dello stress (corticosterone nei roditori). Quindi, è possibile ipotizzare lo stabilirsi di un feedback positivo tra grado di incertezza − e dunque un coping meno efficace − e attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. In questa ipotesi funzionale, l’NGF circolante potrebbe essere coinvolto nell’amplificazione della risposta neuroendocrina. Un aumento di NGF nel circolo sanguigno è stato riscontrato anche nella specie umana, associato a situazioni cariche di ansia e di stress, come dimostrato nei soldati di leva al primo lancio con il paracadute. Alti livelli di NGF sono stati anche riscontrati, nell’uomo, in situazione cariche di ansia, quali quelle sperimentate da chi si prende cura di un congiunto malato di Alzheimer. Anche lo stress di chi cerca di smettere di fumare può provocare un aumento dei livelli di NGF nel circolo periferico. Inoltre, un aumento di NGF è stato riportato come correlato neurobiologico della situazione d’innamoramento: questo dato suggerisce un coinvolgimento di tale neurotrofina nei meccanismi di attaccamento.
Il ruolo centrale svolto dal BDNF nella teoria neurotrofica della depressione è stato ampiamente dimostrato. Tale teoria prevede che la depressione e, più in generale, i disturbi dell’umore siano dovuti ad atrofia o morte di neuroni in determinati circuiti neuronali a seguito di una diminuita espressione di fattori neurotrofici, come per es. il BDNF, come conseguenza dell’esposizione a eventi stressanti. Tale ipotesi è suffragata, almeno in parte, dall’osservazione che in alcuni pazienti depressi si riscontra una piccola diminuzione nel volume dell’area ippocampale, una regione cerebrale coinvolta in processi cognitivi e affettivi. L’efficacia dei farmaci antidepressivi sembrerebbe dipendere dalla loro abilità nel promuovere un aumento nei livelli di BDNF, riscattando il suddetto trofismo neuronale. È stato anche ipotizzato che l’aumento nell’espressione di questa neurotrofina potrebbe innescare un meccanismo di reclutamento di popolazioni neuronali immature al fine di sostituire quelle degenerate in seguito a fenomeni di stress o a potenziare quelle rimaste.
Nella specie umana, una riduzione nei livelli circolanti di BDNF è stata associata con una maggiore suscettibilità ai disturbi dell’umore, anche in dipendenza di stress precoci. È stato dunque ipotizzato che una modifica nei livelli delle neurotrofine, durante fasi precoci di sviluppo del sistema nervoso centrale (➔ cervello, sviluppo del), potrebbe riflettersi in modifiche di lungo termine nella suscettibilità di quelle stesse aree a eventi avversi anche nell’individuo adulto. Ricerche di base condotte nei roditori e nei primati non umani confermano che il cervello in sviluppo è sensibile a sollecitazioni esterne e che tale suscettibilità si manifesta sotto forma di cambiamenti nell’espressione dei fattori neurotrofici NGF e BDNF. La direzione e l’intensità degli effetti dipendono strettamente dall’età in cui l’insulto è subito e dal suo andamento (acuto o cronico). Durante lo sviluppo, l’espressione di NGF e BDNF è stata localizzata nella regione ippocampale e in quelle corticali, aree del sistema nervoso centrale implicate nella patologia mentale e in cui avvengono importanti fenomeni di plasticità neuronale. Cambiamenti sostanziali, come una riduzione o un aumento eccessivo, nell’espressione di questi fattori durante fasi critiche di sviluppo causate da input esterni, potrebbero incidere sulla maturazione del sistema limbico, con conseguenze di lungo termine sul funzionamento neuronale, e comportare un’alterata risposta allo stress nell’individuo adulto.